Il dibattito sul futuro dell’Europa si apre durante una fase di forte rallentamento del processo di integrazione europea dopo il momento hamiltoniano del Piano di ripresa (Recovery Plan) legato alla prospettiva di un debito pubblico europeo per investire in beni pubblici europei come la lotta alle diseguaglianze, la transizione ecologica e la digitalizzazione.
Siamo in una situazione di stallo nelle ratifiche sull’aumento del massimale delle risorse proprie che richiede in base al trattato l’accordo unanime del Consiglio ma anche l’approvazione di tutti i parlamenti nazionali.
Dieci parlamenti nazionali non hanno ancora ratificato e lo stallo riguarda in particolare la Finlandia dopo la decisione della Corte costituzionale di imporre al Parlamento un voto a maggioranza super-qualificata, nei Paesi Bassi con i tempi lunghi per la formazione del nuovo governo. Lo stallo rischia di rinviare in autunno l’avvio del Next Generation EU o addirittura di metterne in dubbio la partenza.
Allo stallo sull’aumento del massimale delle risorse proprie si aggiunge il confuso e conflittuale dibattito fra i governi sull’introduzione di nuove risorse. Ciò riguarda specialmente l’imposta sulle società e sulle multinazionali e sui cosiddetti giganti del web (la web tax) nonostante l’apertura verso queste imposte dell’amministrazione Biden. Queste nuove risorse sono necessarie per evitare, a partire dalla scadenza nel 2028 del debito pubblico europeo, il ricorso ai contributi nazionali e cioè la prospettiva che il rimborso venga effettuato dai contribuenti di ciascun paese secondo la ricchezza nazionale con inevitabili reazioni negative delle opinioni pubbliche.
Le condizionalità inevitabili dei prestiti e delle sovvenzioni europee
Nell’attuazione del Recovery Plan attraverso i piani nazionali sarà essenziale che la Commissione e il Parlamento europeo verifichino che siano rispettati pienamente i criteri della sostenibilità sociale e ambientale degli investimenti così come le condizionalità legate allo stato di diritto. In questo quadro esiste la denuncia di molti deputati europei della recente legge adottata in Ungheria che tende a creare fondazioni sotto il controllo governativo a sostegno della “modernizzazione delle Università” usando i fondi del Next Generation EU.
La capacità fiscale autonoma europea è parte essenziale della sua autonomia strategica e del finanziamento futuro del bilancio europeo che riguarda tutta l’Unione europea a cominciare dall’area dei paesi che hanno aderito alla moneta unica accettando vincoli finanziari a fronte dei quali è indispensabile accelerare la realizzazione delle unioni bancaria, dei capitali, fiscale e dunque economica il cui primo passo dovrebbe essere quello di creare safe assets europei e cioè titoli privi di rischio perché legati ad un forte bilancio comune.
Si tratta di questioni essenziali quando si aprirà il dibattito sulla perennizzazione del Piano di ripresa e sulla riforma profonda dei meccanismi della governance economica europea a cominciare dalla revisione del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact.
Dell’autonomia strategica fanno parte – oltre alla sicurezza e alla difesa – la politica industriale e la progressiva indipendenza nella dimensione dell’intelligenza artificiale, la cybersecurity, l’energia e il ruolo internazionale dell’euro.
Un piano per sostenere gli investimenti a lungo termine
Fra gli elementi di novità della politica industriale vi è l’idea francese di un piano di investimenti europeo con scadenza decennale che dovrebbe essere presentato durante il semestre di presidenza della Francia (gennaio-giugno 2022)
Tenuto conto degli effetti dirompenti del COVID sul piano sociale si dovrebbe partire dal rapporto della task force presieduta da Romano Prodi e Christian Sautter sulle infrastrutture sociali con l’obiettivo di un New Deal Europeo e dalle recenti proposte della Commissione europea sulla strategia industriale dell’Unione europea che sia pienamente coerente con gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile nel quadro dell’Agenda 2030.
La confusione e la conflittualità fra i governi è ancora più grave se si esamina lo stato di preparazione del Vertice Sociale di Porto del 7 maggio dove undici paesi hanno già preannunciato la loro intenzione di bloccare le proposte della Commissione europea volte a dare un seguito concreto e giuridicamente vincolante al Pilastro adottato all’unanimità a Göteborg nel novembre 2017.
All’altolà di questi undici paesi ostili alla prospettiva di un’Unione più forte e più solidale è seguito il silenzio assordante degli altri sedici paesi europei che hanno per ora ignorato la volontà innovativa espressa dalla grande maggioranza del Parlamento europeo e dai rappresentanti dei lavoratori europei.
Nel caso in cui non fosse possibile raggiungere la maggioranza qualificata nel Consiglio nei settori della politica sociale in cui il Trattato prevede la procedura legislativa ordinaria o nei casi in cui il Trattato prevede il voto all’unanimità nel Consiglio la via da seguire è quella che fu adottata nel 1992 con il Protocollo sulla politica sociale a carattere vincolante introdotto nel Trattato di Maastricht per superare l’ostilità del Regno Unito ponendo la questione della dimensione prioritaria dell’Unione sociale al centro del dibattito nella Conferenza sul futuro dell’Europa e adottando alla fine della Conferenza le misure operative per realizzarla.
Ancor più grave appare l’irresponsabilità del Consiglio e dei governi di fronte alla tragedia immane dei flussi migratori di chi fugge dalle guerre, dalla fame, dai disastri ambientali e dal land grabbing, una tragedia che esige con urgenza la revisione del regolamento di Dublino bloccata all’unanimità dal Consiglio europeo nel giugno 2018 e la conclusione della procedura legislativa ordinaria sul Migration Compact presentato dalla Commissione Von der Leyen, la creazione di effettivi e non soltanto simbolici corridoi umanitari., l’allargamento dei canali legali di immigrazione e la modifica della missione dell’Agenzia Frontex al fine di farne uno strumento di intervento coerente con la Carta dei Diritti Fondamentali, la Convenzione di Ginevra e la Convenzione di Amburgo.
L’incapacità dell’Unione europea di far fronte a questa tragedia epocale, esplosa otto anni fa, si somma alla sua impotenza nella politica estera e nelle relazioni con i paesi vicini, recentemente definito “il cappotto vuoto dell’Europa”.
Quest’impotenza è stata confermata nel “dialogo” con la Turchia dove la natura bicefala dell’Unione europea ha mostrato tutta la sua inconsistenza, nella sua cecità davanti alla realtà di quel che avviene in Libia e più in generale nelle relazioni con i paesi mediterranei e con tutto il continente africano.
Il dibattito sulla autonomia strategica dell’Unione europea in una dimensione planetaria appare in questo quadro paradossale perché è evidente che tale autonomia non può derivare solo dalla sua indipendenza nella dimensione della sicurezza e della difesa dagli Stati Uniti ma dalla sua capacità di essere un attore globale internazionale in un mondo instabile dove prevalgono sempre di più tendenze autoritarie, volontà di sopraffazione e inaccettabili ingerenze nella vita delle nostre società democratiche.
Si riapre il cantiere dell’Unione europea?
Sotto questa luce l’avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa non può essere legato ad una scelta teorica ed astratta fra diversi modelli di integrazione europea ma ad un confronto fra due alternative: la condivisione della sovranità all’interno di una comunità fondata sui valori della libertà, della solidarietà, dell’uguaglianza, della giustizia sociale, della democrazia e dello stato di diritto o il conflitto continuo e paralizzante fra apparenti interessi nazionali.
L’idea di uno spazio pubblico dedicato al futuro dell’Europa – e non di un cantiere “vietato ai non addetti ai lavori” – in cui la dimensione della democrazia partecipativa e quella della democrazia rappresentativa si possano ritrovare su un piano di eguaglianza o ancor di più in cui si sperimentino modelli di scrittura collettiva a livello europeo simili a quelli realizzati in Irlanda, in Islanda e in Belgio rischia di trasformarsi in una gigantesca operazione di consultazioni nazionali già inutilmente sperimentate nel 2018 lasciando poi alle istituzioni il compito di tradurre le narrazioni delle cittadine e dei cittadini europei in aride raccomandazioni sottoposte all’esame delle stesse istituzioni che le avranno scritte.
In questo quadro, deve essere sostenuta la posizione espressa dal Parlamento europeo relativa ad un’ampia composizione della Conferenza che garantisca la presenza attiva di tutte le forze politiche a livello nazionale ed europeo nel rispetto dei principi di una democrazia multilivello nello stesso tempo rappresentativa (i parlamenti) e di prossimità (i poteri locali e regionali). È contemporaneamente indispensabile che le conclusioni dei dibattiti siano adottate dalla Conferenza stessa e non dal Comitato esecutivo per tradurre in un rapporto di insieme i diversi orientamenti che si saranno espressi sulla piattaforma, nei panels e nelle sessioni plenarie.
Appare necessaria un’azione sinergica delle istituzioni, della società civile, del mondo accademico e della scuola, dell’informazione e delle forze politiche per sollecitare la “conoscenza, la partecipazione e la consapevolezza delle cittadine e dei cittadini al fine di contribuire alla creazione di uno spazio democratico in cui modellare il futuro dell’Europa” così come è stato affermato nel recente Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per la partecipazione dell’Italia alla Conferenza sul futuro dell’Europa.
Si pone in questo quadro la questione del pieno coinvolgimento dei giovani dalle scuole alle Università con strumenti innovativi di partecipazione attiva che includano anche la dimensione pedagogica dell’educazione alla cittadinanza attiva.
Vale la pena di sottolineare che, pur essendo stato affermato che la piattaforma online “è il cuore della Conferenza”, ad essa possono attualmente accedere facilmente solo singoli cittadini e non le associazioni rappresentative o cittadini di paesi terzi residenti nell’Unione europea, che il sistema della traduzione multipla non funziona in modo efficace rendendo difficile un dialogo interattivo, che solo settemila cittadini in tutta l’Unione europea (su quattrocento cinquanta milioni di europei) hanno per ora deciso di creare un loro account, che le regole del suo funzionamento non sono conosciute e non sono trasparenti, che nulla è stato detto sull’uso che sarà fatto dalla Conferenza delle idee sottomesse alla Piattaforma e che i sei panel tematici europei saranno aperti a duecentocinquanta cittadini europei per panel scelti a sorte, che non si sono ancora realizzate le condizioni di una vera democrazia partecipativa nel tempo della società digitale.
Come sta avvenendo per il Piano di azione sociale, dodici governi immobilisti hanno già manifestato la loro volontà di opporsi a qualunque riforma dell’Unione europea e alla revisione dell’attuale squilibrio istituzionale mentre il silenzio degli altri quindici governi è assordante.
Apriamo il cantiere di un processo costituente
Per portare a compimento il progetto di un’Europa federale contenuto nel Manifesto di Ventotene scritto ottanta anni fa da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, la via da seguire dopo la conclusione della Conferenza sul futuro dell’Europa è quella dell’assunzione da parte dell’attuale Parlamento europeo – in vista delle elezioni europee del 2024 – di un ruolo costituente in un dialogo costante con i parlamenti nazionali, rivendicando questo ruolo già durante i lavori della Conferenza per creare le condizioni di un ampio consenso della società civile su questa scelta di democrazia europea.
L’azione del Parlamento europeo sarà efficace e la prospettiva di un’integrazione secondo il modello federale sarà concreta se l’azione degli immobilisti sarà contrastata da una coalizione di innovatori e dall’impegno dei partiti politici europei nella formazione della coscienza politica europea e nell’espressione della volontà delle cittadine e dei cittadini europei.
“Entre ceux qui voudront”
Secondo il metodo proposto dal “Progetto Spinelli” nel 1984, che fu sintetizzato dal presidente francese François Mitterrand nella formula “un nouveau Traité entre ceux qui voudront”, le conclusioni del processo costituente devono essere offerte a tutti i paesi e a tutti i popoli che appartengono oggi all’Unione europea e che avranno manifestato la volontà di aderire ad una comunità fondata sui valori comun dello stato di diritto.
Nella Conferenza sul futuro dell’Europa e poi durante la fase costituente dovranno essere discusse le condizioni politiche e costituzionali per consentire l’approvazione – anche attraverso un referendum pan-europeo associato alle elezioni europee nel maggio 2024 – delle conclusioni, a cui perverrà democraticamente il Parlamento europeo, fra i paesi e fra i popoli che lo vorranno secondo il metodo dell’integrazione differenziata con una comunità federale di paesi e un sistema di accordi di associazione con i paesi e i popoli europei che decideranno temporaneamente di non parteciparvi.