Il Next Generation EU e i piani nazionali che devono progettare la spesa delle risorse che questo mette a disposizione dei vari Paesi sono stati scritti nell’ottica di presentare gli investimenti e il loro impatto da qui al 2026.
È già un orizzonte non da poco, soprattutto per il nostro Paese, in cui la classe politica è abituata a rimandare riforme possano minimamente apparire impopolari se solo ci si avvicina a qualche elezione amministrativa (ovvero sempre).
E tuttavia questo piano è pensato per avere effetto molto oltre il 2026. Nelle ipotesi di Bruxelles e, si spera, anche di almeno una parte del nostro governo, dovrebbe avere un impatto strutturale simile a quello che gli ultimi 25 anni di mancate riforme e di bassa produttività hanno avuto sulla nostra economia, ma di segno opposto. In particolare là dove fluiscono più fondi, l’Italia appunto.
L’obiettivo è restituire ai giovani di oggi quella prospettiva di crescita e sempre maggiori opportunità che una volta era il normale orizzonte per gli under 35, almeno fino alla disgraziata generazione Millennial, la principale vittima della stagnazione e del declino che viviamo dagli anni ’90.
Ma chi sono oggi i giovani italiani? Sono innanzitutto sempre meno. Se prendiamo in considerazione quanti hanno tra i 14 e i 34 anni, il loro calo numerico complessivo è evidente. Sono passati tra il 2002 e il 2019 da 15,6 a 12,9 milioni. Con una riduzione che è stata più decisiva nel Sud e nelle Isole, dove è stata superiore al 20%, e che è invece frenata dal 2015/2016 al Nord e in parte al Centro.
Dati ISTAT
È anche e soprattutto nell’ambito delle nuove generazioni che è evidente l’allargarsi del divario tra Centro-Nord e Mezzogiorno in Italia, che si è accentuato in particolare dopo la crisi economica del 2009-2013.
I giovani sono sempre stati i maggiori beneficiari dei periodi di crescita e le principali vittime di quelli di recessione, e c’è poco da stupirsi che laddove quest’ultima ha picchiato di più vi sia stato il maggior rallentamento delle nascite e l’emigrazione più forte.
A frenare la crisi demografica sono stati i giovanissimi, tra i 14 e i 24 anni, residenti al Centro-Nord, dove in realtà negli ultimi 15 anni sono aumentati.
Dati ISTAT
Impossibile non pensare a un’influenza dell’immigrazione in questi numeri. Non a caso è soprattutto tra questi, i 14-24enni, che si è registrato il maggiore aumento di cittadini stranieri tra il 2002 e il 2019, lasso di tempo nel quale sono più che triplicati, nel caso dei 18-19enni quasi quadruplicati.
Ma anche tra gli italiani sono diminuiti molto meno dei 30enni. Di circa il 5%, se consideriamo i 14-17enni, contro il 36,1% di calo dei 30-34enni.
Dati ISTAT
Particolare apparentemente paradossale, tra i giovanissimi gli stranieri ufficialmente sono meno che tra i 20enni e i 30enni, anche al Nord, dove sono circa il 10%, mentre raggiungono il 20% tra i più grandi.
In realtà si tratta in tanti casi delle seconde generazioni, dei figli di stranieri già divenuti italiani, o di quelli delle sempre più coppie miste (il 20% dei matrimoni degli italiani è con stranieri) oltre che dell’effetto di quella ripresa demografica che ha interessato anche gli autoctoni tra metà anni ‘90 e la crisi finanziaria.
Dati ISTAT
Non è evidente qui il crollo delle nascite degli ultimi 10 anni, che con la crisi pandemica ha subito un ulteriore peggioramento.
Sono sempre più multietnici quindi i giovani italiani, oltre che sempre meno. E però anche sempre meno sposati. Nel 2019 i 34enni coniugati erano il 36,2% nel caso degli uomini, e il 52,3% in quello delle donne. Con un minimo nel Centro Italia. Sposarsi da 20enni è ormai qualcosa di raro, che fa quasi notizia, anche per le italiane di sesso femminile. Lo fa meno di una su 3, e meno di uno su 6 tra gli uomini.
Dati ISTAT
I giovani però sono anche più sani. I fumatori sono in discesa mentre salgono gli ex fumatori. Questo è molto evidente in particolare tra i 25-34enni, tra cui il vizio della sigaretta nel 2019 interessava il 23,7%, l’8,6% in meno di 9 anni prima.
La riduzione riguarda più gli uomini che le donne, essendo del resto i primi i fumatori più accaniti. Mentre è meno evidente tra gli adolescenti, dove però la percentuale di chi fuma è inferiore
Dati ISTAT
Ma soprattutto sono più istruiti. L’aumento del numero dei laureati in particolare tra i 25-29enni, complice l’introduzione del sistema del 3+2, è stato impressionante. Mediamente del 70% tra il 2004 e il 2020. E soprattutto omogeneo sia a livello territoriale, ha interessato quasi allo stesso modo Nord, Centro e Mezzogiorno, che temporale, con un incremento pressoché costante.
E anche tra i 30enni, dopo una pausa durante la crisi finanziaria, coloro che hanno un titolo universitario sono aumentati. E la cosa è maggiormente degna di nota se consideriamo che tra gli stessi vi è stato un deciso calo demografico all’incirca nello stesso lasso di tempo.
Dati ISTAT
Come si sa però maggiori competenze nel Paese delle disuguaglianze generazionali, dell’apartheid tra garantiti e non, non significa redditi più alti, anzi. E forse è questo l’indicatore più significativo, quello che il Next Generation Eu dovrà provare a cambiare, almeno per quanto riguarda l’Italia.
Quello che indica come una percentuale sempre maggiore di under 35 si sia ritrovata nel quintile di reddito più basso, ovvero tra il 20% con minori entrate annue.
Erano il 21,1% nel 2004, e sono diventati il 31,8% nel 2017. Allo stesso modo sono aumentati, seppur meno, coloro che sono nel secondo quintile, quindi comunque al di sotto la media nazionale.
Il risultato ovvio è che invece sono diminuiti dal 41,8% al 30,6% i giovani che si ritrovano nelle fasce di reddito più alte, quelle che a livello nazionale riguardano il 40% dei contribuenti.
Dati ISTAT
Se gli under 35 sono sempre meno numerosi, e quindi meno in concorrenza tra loro, più istruiti e competenti, potenzialmente più in salute, e violano meno la legge (le statistiche sulla criminalità sono in miglioramento rispetto ai decenni scorsi), eppure sono sempre più poveri rispetto agli italiani più anziani, ci si dovrebbe porre più di una domanda e fare qualche considerazione.
Una di queste tra l’altro riguarda anche il fatto che sono anche la generazione meno turbolenta e protestataria, se la confrontiamo per esempio con i coetanei di 50 anni fa.
E così come quei movimenti giovanili ebbero tanto gioco nel garantire alla propria generazione diritti e spesso privilegi che oggi sono alla base delle disuguaglianze che osserviamo, allo stesso modo forse è stata questa mansuetudine dei giovani attuali ad avere un ruolo nella loro condizione.
Il piano di ripresa dalla crisi pandemica dovrà essere anche questo, un sostituto pacifico e razionale ma altrettanto radicale della rivoluzione predicata a favore di se stessi dei sessantottini di allora. Un riequilibrio di cui in realtà hanno bisogno anche chi giovane non è più per poter mantenere quei diritti che pensa essere acquisiti, ma che come in tanti si stanno accorgendo non lo sono affatto.