Il lancio da parte di Hamas e della Jihad Islamica (appoggiata dall’Iran) di duecento razzi da Gaza su Gerusalemme e su obiettivi civili israeliani rivela che gli scontri astutamente provocati da parte palestinese sulla Spianata delle Moschee nei giorni scorsi non erano affatto spontanei, ma frutto di una lucida e cinica strategia.
È la strategia di sempre degli oltranzisti palestinesi: provocare a freddo incidenti di massa con gli israeliani, lanciando centinaia di giovani allo sbaraglio (i pretesti non mancano mai) in modo da innescare volutamente una escalation di violenza, in questo caso sulla Spianata delle Moschee sacra a tutta la Umma musulmana.
Una volta infiammato lo scontro, Hamas e Jihad Islamica passano all’offensiva militare contro i civili ebrei. Il lancio di razzi da Gaza ha una scarsa incidenza militare, ma ha un orrendo valore simbolico e un obiettivo politico chiaro ed esplicito: affermare davanti ai palestinesi e a tutto il mondo islamico che Israele va combattuto con le armi e con tutti i mezzi violenti, che non è lecita, come rivendica lo Statuto di Hamas, alcuna trattativa, alcuna pace concordata. Dunque, una strategia che mira direttamente non solo a combattere Israele, ma anche e soprattutto Abu Mazen, al Fatah, la Olp e la parte palestinese che a suo tempo, con gli accordi di Oslo, ha accettato una pace con Israele.
E non c’è dubbio che questa escalation scatenata a freddo da Hamas sulla Spianata delle Moschee sia una risposta alla sciagurata decisione di dieci giorni fa di Abu Mazen di sospendere sine die le elezioni in Palestina già indette. Elezioni che non si tengono da ben 15 anni e nelle quali non solo Hamas era certa di ottenere un grosso risultato anche in Cisgiordania, ma nelle quali al Fatah di Abu Mazen si presentava divisa in tre fazioni (questa la ragione vera di questa sospensione), con liste piene di terroristi e soprattutto col leader dei terroristi palestinesi di al Fatah, Marwan Barghouti, condannato giustamente con tre ergastoli in Israele, che alle presidenziali avrebbe potuto avere più voti dello stesso Abu Mazen.
Dunque, ancora una volta, questa escalation di violenza nasce da un intreccio tra il conflitto con Israele e il contrasto aspro tra fazioni palestinesi. Un conflitto che sfociò nel 2008 in una piccola guerra civile inter palestinese a Gaza, con un centinaio di morti, che ha origini e dinamiche secolari e che non si è mai ricomposto. Un conflitto insanabile e insanato tra la componente palestinese che fa capo ad Abu Mazen e quella che fa capo ad Hamas e a Jihad islamica (filo iraniana) che costituisce la più grande opportunità per Israele di mantenere lo status quo della occupazione dei Territori.
Dopo che Arafat nel 2000 rifiutò sciaguratamente la restituzione del 95 per cento dei Territori e di gran parte di Gerusalemme offerta dal premier israeliano Ehud Barak, con mediazione di Bill Clinton, dopo che il premier Ariel Sharon, ritirò Israele da Gaza nel 2006, queste due componenti palestinesi non hanno mai cessato di farsi la guerra.
Oggi, provocando gli incidenti sulla Spianata delle Moschee e lanciando centinaia di razzi sui civili israeliani, Hamas e Jihad islamica ottengono un risultato sensibile: mettono nell’angolo Abu Mazen, disvelano la debolezza della sua leadership, lo obbligano a solidarizzare con la loro escalation, ottengono la solidarietà del turco Erdogan e dei musulmani oltranzisti nel mondo. Spaccano in due il mondo arabo e islamico e contrastano la logica di appeasement con Israele imposta dagli Accordi di Abramo, accettati anche dalla Lega Araba.
Insomma, tentano di esercitare egemonia, sulla propria linea: con Israele non si tratta, va solo combattuta con le armi alla mano. Una strategia pienamente appoggiata da un fronte composito, anche se minoritario, che comprende i Fratelli Musulmani e l’Iran. E Israele, indebolito da una drammatica crisi di governo, è obbligato a rispondere.