Quando fu pubblicato per la prima volta nel 1939 nessuno se ne curò. “Il viaggiatore”, di Ulrich Alexander Boschwitz, che racconta la storia di Otto Silbermann, un uomo d’affari che decide di lasciare Berlino subito dopo la Notte dei Cristalli, venne ignorato e sommerso dalle altre pubblicazioni. Andò male, insomma.
L’autore aveva romanzato, nel libro, la sua stessa esperienza personale: anche lui era fuggito dalla Germania nel 1935 dopo la promulgazione delle Leggi di Norimberga e si era rifugiato in Inghilterra. Lì pubblicò la prima edizione, già tradotta in inglese.
Per essere riscoperto (e rivalutato) dovrà aspettare 80 anni e ringraziare l’attivismo di Peter Graf, capo di una agenzia letteraria, manager di una piccola casa editrice di Berlino, e, per l’occasione, editor del volume. Il successo è istantaneo. Il libro viene tradotto subito in altri Paesi (tra cui l’Italia, per Rizzoli) e, adesso, torna in Inghilterra, dove il Sunday Times lo ha inserito nella lista dei bestseller. È servito del tempo ma, si sa, habent sua fata libelli (i libretti hanno la loro fortuna secondo la disposizione del lettore, ndr).
Il ritorno de “Il viaggiatore” era stato preceduto, qualche anno prima, da un’altra scoperta: “Fratelli di sangue”, di Ernst Haffner. Il libro, che racconta le storie di un gruppo di ragazzi senzatetto nella Repubblica di Weimar, obbligati a vivere di furti, traffici illeciti e prostituzione, era uscito nel silenzio generale nel 1932.
Graf lo riporta in vita e lo ripubblica nel 2013. Fu un successo, nonostante il ritardo. Tanto che il volume viene pubblicato in altri Paesi (in Italia è Fazi) e raggiunge Israele. Lì, la nipote di Boschwitz legge un’intervista a Graf sulla sua attività di ri-scopritore di talenti e si mette in contatto con lui, segnalandogli il libro del nonno.
Nonostante la qualità intrinseca (il potenziale viene subito riconosciuto da Graf), capita spesso che opere di una certa importanza si perdano nel mare magnum delle pubblicazioni. In Italia, negli ultimi anni, sono stati pubblicati circa 75mila titoli all’anno. In Germania la cifra è simile. Con numeri più contenuti, lo stesso avveniva anche alla fine del XIX secolo e durante la Repubblica di Weimar: il mercato era inondato di nuovi libri ed era difficile distinguere quelli di valore dagli altri.
Non solo: è fondamentale, spiega qui Peter Graf, «che anche il momento storico sia quello giusto». Anche Heinrich Böll aveva provato, negli anni ’60, a ripubblicare “Il viaggiatore”, ma senza successo. «Forse era troppo presto fare i conti con l’Olocausto per la Germania di allora», immagina Graf.
Per ritrovare i libri da ripescare l’editore e agente fa passare archivi, biblioteche e a volte anche citazioni. In certi casi, va a rileggere vecchie recensioni degli anni ’20. Un lavoro da archeologo delle idee, in un certo senso, che però guarda con attenzione alla contemporaneità. Perché un libro venga scelto deve avere un riferimento al presente, ricorda. Per “Il viaggiatore”, uscito nel 2018, era il dramma dei migranti.
Il suo ritorno (e il suo successo) in Inghilterra forse dipendono dalla tendenza, in tempi di pandemia, di cercare momenti i evasione. «Lo sguardo alle opere del passato, allora, rientra in questa tendenza».