Comunità immaginataLe quattro lezioni della storia che tengono vivo il sogno europeo

Il libro di Aleida Assman pubblicato da Keller ricostruisce senza ipocrisie il difficile percorso che ha portato alla formazione dell’Unione. Ne vede le debolezze ma non rinuncia a rivendicare tutti i principi di pace, democrazia e giustizia che ne hanno costituito i fondamenti

Fotografia di Žan Janžekovič, da Unsplash

Quella dell’Europa è una storia di violenza. Ma anche di costruzione di una alternativa di pace. È una storia di diritti negati, ma anche di diritti creati, riconosciuti, coltivati. Un continente sorto sulla base di un tacito patto di dimenticanza (sulle responsabilità tedesche del nazismo) ma che ha inventato la cosiddetta «cultura della memoria», espressione così comune che in pochi ricordano quanto sia recente (anni ’90), sia nella formulazione che nel concetto.

Insomma, “Il sogno europeo”, come titola il volume di Aleida Assman pubblicato da Keller, va fatto a occhi aperti.

Anche perché negli ultimi anni, a causa della forza centrifuga dei nazionalismi e di alcune incertezze politiche delle istituzioni, la forza della «comunità immaginata» europea sta venendo meno. La coesione dei diversi Stati è sempre più in discussione. E la bandiera blu con le stelle in cerchio sbiadisce. «Che cosa esattamente tiene ancora insieme le stelle, che cosa impedisce loro di uscire dall’orbita e perdersi nello spazio?», si chiede.

L’Unione Europea non è nata per caso. Ha una storia complessa, sofferta e non sempre limpida. Assman lo sa e nelle sue quattro quattro lezioni – un ripasso necessario – ripercorre le tappe simboliche della sua formazione attraverso quattro temi.

La pace, prima di tutto, «che fu tutt’altro che perfetta». Nasce in funzione anti-tedesca, si fonda sull’esclusione sul confronto e porta avanti il distacco dalla parte orientale e comunista.

E però, con la caduta del Muro, tutto l’impianto viene rimesso in discussione. L’Europa da esclusiva diventa inclusiva, con riunificazioni, scioglimenti, riappacificazioni. «Così come la storia d’Europa è scandita dai trattati di pace, la politica europea si caratterizza per i rituali di riconciliazione».

Al secondo posto, la democrazia. Quasi una necessità. «Il mantenimento della pace non sarebbe stato immaginabile senza la ricostituzione di un ordinamento giuridico. Ecco perché il progetto di trasformare le dittature in democrazie è da considerarsi la seconda lezione che gli europei hanno potuto trarre dalla storia».

Impresa non facile, perché se una forma di governo è intercambiabile, «il popolo non lo è». Serve tempo, serve collaborazione, serve una cultura sociale e politica. Ogni Paese deve modificarsi dall’interno, anche attraverso un esame impietoso della propria storia. Nel caso tedesco – scrive Assman – un ruolo fondamentale è stato giocato dal processo di Norimberga. Un momento storico unico, dove i principi giuridici nazionali sono diventati universali e dove si è data forma giuridica a categorie nuove. Ad esempio il «crimine contro l’umanità».

Terza lezione: la memoria. La nuova Europa sorge da una difficile transizione democratica (in particolare quella tedesca) resa possibile dal «patto del silenzio» imposto subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Le ferite erano aperte, i traumi ancora vivi. Si preferì lasciar stare – come voleva Winston Churchill – mettere da parte le colpe e ricominciare da capo. «Questa disposizione a dimenticare, all’epoca, non era vissuta come l’equivalente di una “rimozione”; aveva piuttosto una componente “liberatoria”. Si connotava in positivo, perché doveva avviare un profondo rinnovamento e spianare la strada a un comune avvenire. E dall’avvenire, allora, ci si aspettavano solo cose positive: sviluppo, crescita, progresso».

Poi le sensibilità cambiarono. Fu il processo ad Eichmann nel 1961, la serie americana “Holocaust” nel 1979, fu il senso della fine della Guerra Fredda. La politica del «capitolo chiuso» venne mandata in soffitta e si cominciò a fare i conti con il proprio passato.

È qui che nasce la cultura della memoria: autocritica, necessaria. Un dialogo onesto con il proprio passato, da custodire come monito per le proprie responsabilità ma non come ricatto delle antiche colpe. Anche questo è un concetto recente che è diventato in poco tempo universale.

Infine, «i diritti umani sono la quarta lezione che l’Unione Europea ha saputo trarre dalla storia» e, si può dire, che sta ancora imparando.

Il confronto con le minoranze e con gli emarginati è diventato sempre più serrato, a volte anche confuso. Il caso delle migrazioni – fino al 1989 erano di fatto solo interne, dal XXI secolo sono diventate esterne – ne è un esempio.

Anche perché dal 2015 è crollata un’illusione, cioè quella di poter tenere lontani i conflitti: «I migranti di oggi stanno portando dentro il cuore dell’Europa la realtà dei focolai di crisi e delle guerre che continuano ad ardere sotto la cenere o a deflagrare nello spazio extraeuropeo. Ci ricordano con insistenza ciò che preferiremmo non vedere».

E se l’Olocausto, lo sterminio degli ebrei, il sistema dei Gulag sono eventi passati e conclusi – da tenere vivi nella memoria – al contrario «il movimento coatto di masse di persone è parte di una storia di violenza che non si esaurisce e che nell’Europa di oggi si ripete in contesti molto diversificati». Arriva a interrogare, a volte a condannare e a rimettere di nuovo tutto in crisi.

Il sogno europeo è insomma una storia in divenire, un progetto complesso che vede cambi di direzione, brusche prese di coscienza e difficoltà. Ma se le stelle si allontanano, i principi base (pace, democrazia, memoria e diritti) restano validi anche per gli anni futuri. Saranno sempre il fondamento su cui si potrà continuare a costruire.

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