Vicolo c(i)ecoLa crociata del Parlamento europeo contro il conflitto di interessi di Andrej Babis

Il premier della Cechia ha esercitato un'influenza sull'assegnazione dei sussidi comunitari ad Agrofert, una holding agroindustriale da lui fondata. La maggioranza degli eurodeputati ha chiesto ripetutamente le sue dimissioni, di vendere le sue aziende o rinunciare a qualsiasi contributo Ue, creando imbarazzo nel gruppo di Renew Europe

LaPresse

In Cechia c’è un colosso agroindustriale che riceve milioni di euro di sussidi dall’Unione europea. Nulla di strano, se non fosse che il conglomerato di aziende fa capo ad Andrej Babiš, contemporaneamente il capo del governo e una delle persone più ricche del suo Paese. Il Parlamento europeo ha discusso ieri, per la terza volta in quattro anni, lo spinoso caso. La risoluzione si voterà nella prossima sessione, ma il responso dell’aula è chiaro fin da ora: Babiš deve dimettersi dall’incarico, o la Commissione deve in qualche modo escluderlo dai negoziati sui fondi che lo riguardano. 

«C’è un conflitto di interessi, conclamato e irrisolto», denuncia fra gli altri, il deputato tedesco dei Verdi Daniel Freund, chiedendo al presidente del governo ceco di dimettersi, vendere le proprie aziende o rinunciare a qualsiasi contributo comunitario. «Babiš è uno dei maggiori beneficiari di quei fondi che lui stesso negozia in rappresentanza del suo Paese».

Imprenditore di successo nel comparto agricolo dal 1993, Babiš ha progressivamente allungato le mani su altri settori produttivi, tra cui le costruzioni e l’editoria, prima di scendere in campo in politica con il partito ANO (Akce nespokojených občanů – Azione per i cittadini insoddisfatti). Cavalcando il malcontento popolare per la gestione politica del Paese, costruisce a partire dal 2011 una formazione trasversale, capace di guadagnare consensi sia a destra che a sinistra dell’elettorato.

Nel frattempo il suo impero commerciale continua a crescere: Agrofert diventa una holding con oltre 200 società, che riceve milioni di euro di finanziamenti comunitari, soprattutto per le sue attività in campo agricolo. Quando Babiš diventa ministro dell’Economia e vice-presidente nel 2014, deve abbandonarne formalmente il vertice e nel 2017, assumendo la carica di Presidente del Governo della Cechia, liquida le sue quote in due trust. Secondo un’indagine della Commissione europea conclusa nell’ottobre 2020, però, il gruppo imprenditoriale è ancora de facto sotto il suo controllo. 

La cosa lo espone a un evidente conflitto di interessi, visto che per il ruolo politico che svolge si trova a negoziare con gli omologhi europei il bilancio comunitario, contribuendo a decidere quali contributi economici spetteranno alle proprie aziende. «Come Presidente del Governo e membro del Consiglio europeo, praticamente Babiš redige le regole che poi utilizza per accedere ai soldi dei contribuenti. Questo è inaccettabile» afferma a Linkiesta Mikuláš Peksa del Partito Pirata ceco, pretendendo la restituzione delle somme ricevute da Agrofert. «L’attuale governo si rifiuta di far rispettare la legge per proteggere gli interessi finanziari di Babiš. Questo danneggia le nostre risorse pubbliche, spero che i ministri lo capiscano presto».

La Commissione riconosce l’influenza che il premier ceco può avere nell’allocazione dei fondi e ha chiesto a Praga di chiarire alcuni punti della questione. Ma «il budget europeo continua a essere protetto» ha dichiarato in aula il commissario al Bilancio Johannes Hahn, ribadendo che le operazioni analizzate nell’indagine non hanno comportato esborsi di fondi europei. L’esecutivo comunitario ha anche sospeso l’erogazione di alcuni rimborsi legati allo sviluppo rurale e oggetto di possibile conflitto d’interesse: una decisione contro cui le autorità ceche hanno presentato ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Oltre alla disputa prettamente legale, però, emerge un problema di affidabilità democratica, sottolineato da molti deputati del Parlamento europeo. «Come possiamo criticare le dinamiche di altri Paesi, se permettiamo un tale conflitto d’interesse in uno Stato dell’UE», si chiede l’europarlamentare tedesca Viola von Cramon. Le stesse preoccupazioni erano emerse in una risoluzione del dicembre 2018 e in un’altra del 2020, entrambe cadute nel vuoto. L’Eurocamera infatti non può far altro che segnalare il problema alla Commissione e al Consiglio europeo sperando in un loro intervento.

Attualmente nessuna legge comunitaria obbliga gli Stati Membri ad indagare l’identità dei beneficiari finali dei fondi europei. Babiš si è più volte dichiarato in regola con gli obblighi previsti negando la gestione di Agrofert e ha anzi accusato i suoi avversari politici di fomentare una manovra orchestrata per danneggiarlo. L’anno scorso due europarlamentari cechi, Tomáš Zdechovský dei cristiano-democratici e lo stesso Peksa sono stati da lui definiti «traditori del Paese», per aver partecipato a una missione conoscitiva sugli intrecci politico-economici in Cechia.

In seguito a questa affermazione hanno ricevuto minacce e insulti, tra cui una lettera che auspica la morte dei figli di Zdechovský, pubblicata dal gruppo dei popolari europei sui propri social. «Chi denuncia le cose che non vanno nel proprio Paese va considerato un alleato di tutti i cittadini europei», ha commentato Sabrina Pignedoli del Movimento Cinque Stelle, unica europarlamentare italiana a esprimersi sul tema.

L’offensiva dell’Eurocamera contro il leader ceco potrebbe mettere in difficoltà anche la famiglia politica a cui appartiene, Renew Europe. Il gruppo dei liberali è da sempre molto pressante nel difendere il rispetto dello Stato di Diritto contro le violazioni che avvengono nei Paesi membri: i suoi membri più illustri, dal presidente Dacian Cioloș alla decana del Parlamento Sophie in ’t Veld, si sono scagliati in passato contro il governo socialista di Malta o quelli profondamente conservatori al potere in Polonia e Ungheria. Ora deve gestire una questione interna costante, con pressioni da parte di tutto l’emiciclo. 

«Intervenite per farlo dimettere», ha attaccato durante la sessione plenaria l’onorevole dei popolari portoghesi Paulo Rangel. «Dal mio punto di vista, l’unica soluzione sarebbe l’espulsione di ANO da Renew Europe, allo stesso modo in cui Fidesz ha finalmente lasciato il Partito popolare europeo», dice a Linkiesta Mikuláš Peksa.

A difendere il Presidente del Governo di Praga, invece, c’erano solo due membri del suo partito, Ondřej Knotek e la vice-presidente del Parlamento Dita Charanzová. Nessun altro deputato di Renew Europe ha voluto prendere la parola: un segno di quanto sia compromessa, in ambito europeo, la posizione di Andrej Babiš.

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