Non credevo che Kevin Spacey potesse mancarmi più di così, poi è arrivata l’idea del passaporto vaccinale. Ovvero: non so se ve ne siete accorti, ma c’è in giro una pandemia, chi s’è vaccinato (o s’è ammalato ed è guarito) può girare per il mondo, gli altri no. Apriti cielo.
Sotto a qualunque articolo sul passaporto vaccinale, si leva il coro di lagne, riassumibili in: e io? E io che non mi hanno ancora vaccinato? E io che rischio di stare a casa mentre il vicino va in vacanza? Non è giusto.
Violato il diritto alle ferie d’agosto. Calpestato il diritto a non invidiare il vicino. Infranti i diritti che i più inattrezzati tra gli italiani ritengono di detenere; i diritti di coloro che, quando dicono «democratico», non intendono mai «il mio voto vale quanto il tuo», ma intendono quasi sempre «se non rispondi ai tweet di Porcellino99 non sei democratico».
È impossibile non pensare a quella scena di “House of Cards” in cui Frank Underwood diceva all’elettorato «non avete diritto a nulla»; è impossibile non desiderare che Kevin Spacey torni, almeno in un video su YouTube, e guardando in camera ci ripeta ben scandita quella sacrosanta verità: you are entitled to nothing.
Per scrivere questo articolo ho fatto una cosa deprecabile. Sono andata a leggere i commenti al tweet con cui Roberto Burioni diceva che, se passaporto vaccinale dev’essere, deve valere per guariti e vaccinati, e che farlo invece funzionare con un tampone negativo recente è una cialtronata (sintesi mia). Era un distinguo abbastanza ovvio: se ancora non avete capito i limiti dei tamponi, dopo un anno di corso monografico, non saremo né io né Burioni a potervi salvare dall’ottusità.
Ma nessuna ovvietà basta ad arginare gli «e io?!». La popolazione italiana adulta pare non aver mai superato la terza elementare, quel momento in cui di solito si comprende che «ma non è giusto» non è un’obiezione che abbia senso formulare: qualcuno nasce ricco e qualcuno povero, qualcuno bello e qualcuno brutto, qualcuno pieno di talenti e qualcuno incapace di trovarsi il culo con le mani; si chiama «vita», poi se volete chiamarla «ingiustizia» liberissimi, ma – se posso darvi un suggerimento – la si affronta meglio facendosene una ragione.
Un’altra parola, oltre a «democratico», che ho visto assai travisata è «discriminazione». Se vivevi nell’Italia del fascismo, discriminazione erano le leggi razziali. Se vivevi nell’America del segregazionismo, pure. Se vivi nel secolo suscettibile, è discriminazione pure che quegli altri vadano a Riccione e tu no.
Elenco non esaustivo di accuse di discriminazione intorno al tweet di Burioni.
«Sarebbe eccessivamente discriminatorio»; «Sarebbe un po’ discriminatorio»; «Discriminazione grande come una casa»; «Sarebbe una discriminazione per la quale la politica non ha una soluzione»; «Vedo solo discriminazione»; «Non è anche questa una assurda discriminazione»; «Il pass risulterebbe discriminante nei confronti di chi il vaccino lo vuole fare ma ancora non può farlo».
Il mio preferito è quello che riesce a unire «democratico» e «discriminare» in un unico penzierino rinfaccista: «Sarebbe più democratico impedire lo spostamento a tutti, piuttosto che discriminare la maggioranza ancora non vaccinata non certo per scelta propria». L’uno vale uno dell’estate vaccinale è che, se l’uno io non può andare a Riccione, non può andarci neanche l’uno tu.
Ottimo anche quello che definisce l’idea del passaporto vaccinale «una vergogna che sarà difficile dimenticare». Non che ci abbiano messo mesi a cominciare a vaccinare a un ritmo civile, non che le fatture vengano pagate a centocinquanta giorni, non che i sostegni non bastino neanche a sostenersi essendo frati francescani: la vergogna è che la mia amica vaccinata possa andare a instagrammarsi a Saint Tropez e io debba instagrammarmi in balcone.
Il miglior voto alle medie deve averlo preso quello che ha lì pronto l’Orwell giusto da citare: tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri. Porci vaccinati. Maiali immunizzati.
Uno speciale punteggio per l’estetica lo assegnerei a quello che dice «iniquo privilegio», che a parità di scemenza interpretativa è lessicalmente assai meglio di «discriminazione».
Il premio della giuria denominato “Sotto il cielo di un’estate italiana” va invece a quello che ci spiega: «Hanno gestito male AstraZeneca. Se avessero aperto a chi voleva a prescindere dall’età un mese fa ora non avremmo il problema che la gente non lo vuole perché seconda dose agosto». Non solo non puoi violare il mio diritto costituzionale alle ferie, ma neanche puoi incomodarmi facendomi il richiamo ad agosto: ti pare che con le pinne e i braccioli io venga a farmi sforacchiare? Tzè.
Non poteva mancare quello che sta già chiamando l’avvocato: «Quindi impediamo la libertà di circolazione a chi si dovrà vaccinare chissà quando? Ma siamo impazziti? Vi porto davanti alla CEDU». La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. E perché non il tribunale per i crimini di guerra. Signor giudice, è stato violato il mio diritto umano alla villeggiatura solo per una pandemia piccina picciò.
Tutti costoro, ricordiamo, non vogliono che si possa tutti andare in giro liberamente, che sarebbe un altro genere di follia ma almeno, come direbbero loro, democratica; vogliono che, se loro devono stare a casa solo perché potenzialmente contagerebbero qualcuno, ci stiano anche quelli che non contagerebbero nessuno. Mi chiedo come si regolino gli anni in cui non hanno i soldi per andare in vacanza (gliene sarà capitato uno, prima o poi): vanno sotto casa dei più ricchi a dire che guai a loro se li discriminano partendo?
Sento di sapere invece già come si regolino se stanno perdendo la partita: non essendoci un Kevin Spacey a educarli, a spiegargli che prima vengono i doveri e poi i diritti, a prenderli per un orecchio e riportarli in campo, i nostri concittadini, quando a segnare è un altro, prima sbottano «e io?!», e poi portano via il pallone.