Inaceitável. È stato questo il giudizio del presidente della Repubblica portoghese Marcelo Rebelo da Sousa sul focolaio scoppiato tra i lavoratori delle aziende agricole a Odemira, cittadina di 26mila abitanti nella regione dell’Alentejo, a 200 chilometri da Lisbona, dove il tasso di positività ha raggiunto la media a 14 giorni di 120 nuovi casi ogni 100 mila abitanti. Non è un caso che sia successo nella città più estesa del Paese, ricca di campi e tenute, dove arrivano molti lavoratori dall’Est asiatico (soprattutto da India, Nepal e Thailandia), che durante la stagione della raccolta girano per i Comuni in cerca di lavoro e alloggiano stipati in baracche dove il distanziamento sociale è impossibile da tenere.
«Non serve lottare per avere più diritti per i portoghesi e per gli europei quando abbiamo persone che lavorano in Europa in condizioni inaccettabili. Dobbiamo fare di più», ha detto Rebelo da Sousa. Il caso è diventato nazionale e ha richiesto l’intervento del governo portoghese.
«Metteremo fine a questo sovraffollamento perché è un enorme rischio per la salute pubblica e una palese violazione dei diritti umani», ha dichiarato il premier Antonio Costa che ha poi voluto verificare la situazione di persona andando a Odemira, dove ha annunciato un accordo con i produttori di frutta locali per procurare alloggi migliori ai migranti entro il 2022. L’intesa vedrà la partecipazione anche del governo locale e nazionale e i progetti per costruire abitazioni migliori per i lavoratori stagionali saranno finanziati anche con i fondi europei.
La storia di Odemira è solo l’ultimo episodio di un problema cronico dell’Unione: la tutela dei lavoratori stagionali che sono così preziosi per l’agricoltura europea e che si stima siano tra gli 800mila e il milione. La loro situazione è stata resa ancora più grave dall’epidemia di Covid che rischia di rendere il settore agricolo un potenziale focolaio senza adeguate tutele sanitarie. «Purtroppo, ancora oggi i lavoratori stagionali europei vengono considerati invisibili. E quanto fatto finora per loro risulta ancora insufficiente», spiega a Linkiesta Enrico Somaglia, vicesegretario generale di Effat, la Federazione europea dei sindacati alimentari, agricoli e del turismo. Dall’inizio della pandemia l’Unione ha già proceduto con un doppio intervento per ribadire la centralità di questi lavoratori: a marzo ha dichiarato indispensabile il loro spostamento, mentre a luglio ha manifestato l’urgenza di estendere i diritti sociali anche a coloro che hanno soltanto un contratto temporaneo con una risoluzione votata a maggioranza dal Parlamento europeo.
La verità è che da allora non sembra essere cambiato molto. «Lo dimostra il caso tedesco dove sono state estese le tutele per i lavoratori del settore delle carni in subappalto, ma è stata anche promossa una legge che estende da 70 a 105 i giorni l’esenzione per i datori di lavoro dall’assicurazione sanitaria obbligatoria per i lavoratori, un termine ridotto rispetto all’estensione massima di 115 giorni dello scorso anno. È una grave violazione dei diritti sociali per centinaia di migliaia di lavoratori stagionali che lavorano in Germania, solo per l’asparago se ne contano 300 mila, ma è un esempio che si ritrova anche in altri parti di Europa, per esempio in Romania», dichiara Somaglia.
E sembra quasi un segno il fatto che lo scorso 30 aprile sia stata imposta la quarantena lavorativa a una fattoria di asparagi proprio della Bassa Sassonia: 130 lavoratori di origine polacca hanno contratto il virus e sono stati costretti a rimanere sul posto di lavoro. «Siamo come schiavi», ha dichiarato un operaio polacco alla Deutsche Welle. «Il nostro gruppo è sorvegliato da due guardie di sicurezza e ci portano solo da casa al lavoro e ritorno». L’azienda agricola, uno dei maggiori produttori di asparagi in Germania, impiega oltre mille persone, di cui 412 polacchi, ma ci sono anche lavoratori da altri Paesi europei come la Romania.
Secondo i lavoratori l’azienda non avrebbe rispettato le norme igienico-sanitarie e avrebbe reagito troppo tardi ai primi casi, tralasciando di fornire informazioni su come sarebbero stati isolati i primi lavoratori che avrebbero contratto il virus. È un caso paradigmatico, che è ambientato in Germania, ma che avrebbe potuto trovare analogo svolgimento nei campi di cocomeri di Murcia, in Spagna, o tra i campi di fragole di Manolada, in Grecia, o anche in Italia, nelle piantagioni di pomodori presenti tra Castelvolturno e la Capitanata.
«Proprio per questo l’Unione europea potrebbe fare di più e adottare misure che vincolino gli Stati membri. La misura più efficace sarebbe l’aggiunta di una clausola di condizionalità sociale degli aiuti all’interno della PAC, la Politica Agricola Comune, per svantaggiare chi reca danno al benessere dei lavoratori, sul modello di quelle già presenti per tutelare animali e vegetali. Misure altrettanto importanti sarebbero l’eliminazione di periodi di lavoro senza tutela e l’effettuazione di controlli più efficaci nelle aziende agricole, più complicati rispetto a quelli del settore industriale. Infine, l’Unione dovrebbe intervenire sul ruolo degli intermediari, coloro che facilitano l’arrivo dei lavoratori soprattutto nell’Europa orientale ma che spesso li ricattano chiedendo loro cifre esorbitanti. Tutte queste misure aiuterebbero per davvero il settore», sostiene Somaglia.
In questo contesto si aggiunge, non ultimo, il problema dei vaccini, che potrebbero evitare la trasformazione dei campi agricoli in veri e propri focolai la prossima estate. «È una questione di salute pubblica fondamentale, ma sembra che a nessuno importi», ribadisce Somaglia. «L’Europa si è raccomandata con tutti gli Stati membri d’includere i lavoratori del settore agroalimentare tra i lavoratori essenziali da vaccinare quanto prima, per non fermare il settore agricolo».
Finora, però, nessuno si è mosso in questo senso. «Per evitare nuovi lockdown che penalizzino tutti serve agire in fretta. Nella prima fase della pandemia nessuno ha considerato i lavoratori stagionali, nonostante vivessero e lavorassero in contesti dove non si sarebbero mai potute applicare le più basilari regole anti-Covid, e questo ha portato a chiusure regionali che hanno colpito anche chi non c’entrava niente. Per questo ora è necessario prendere provvedimenti: ne va della salute di tutti».