Non è tempo di PapeeteL’irresistibile tentazione di Salvini di fare il Gianburrasca nell’èra del draghismo

Siamo entrati in una fase diversa, che mal si addice alle caratteristiche del leader della Lega. Vuole passare alla storia come il più grande sfasciacarrozze della vita repubblicana? Il suo elettorato capirebbe una crisi all’inizio della ripresa economica?

Adesso tutti dicono e scrivono che Matteo Salvini porterà la Lega fuori dal governo subito dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Non si può escludere: dal protagonista del Papeete ci si può aspettare di tutto. Il suo calcolo si basa sulla previsione che l’uscita della Lega provocherebbe automaticamente le elezioni anticipate, alle quali egli potrebbe essere ancora in pole position per guidare l’esecutivo una volta vinto nelle urne. Come si vede, il disegno è molto semplice. Troppo semplice. 

Il capo leghista stenta a capire che siamo entrati in una fase diversa, che mal si attaglia alle sue caratteristiche. Ma un politico bravo sa adattarsi alle situazioni, altrimenti è una mezza tacca. E allora perché si ostina fare il Gianburrasca nell’èra del draghismo? Non vede che non è più il tempo dei bicchierini di mojito al Papeete? Quella che era la forza di Salvini, il suo saper «produrre una leadership aggressiva, pop, urticante, opportunista» (così Giovanni Orsina sulla Stampa di ieri) rischia di essere la sua palla al piede nel tempo del draghismo serio, operoso, concreto e razionale. Persino l’ex missina Giorgia Meloni si è riconvertita, almeno così pare, a una dimensione più istituzionale.

E poi non è affatto detto che senza Salvini il governo Draghi non potrebbe andare avanti. I numeri ce li avrebbe. Certo, il mandato di Draghi ispirato da Sergio Mattarella e ufficializzato dal Parlamento prevede un governo di larga coalizione: ma non sta scritto da nessuna parte che dopo un colpo di testa di Salvini non si possa formare un Draghi bis a maggioranza Ursula, chiaramente più debole dal punto di vista parlamentare ma probabilmente più forte da quello politico perché più coeso, che è quello che sembrano desiderare Enrico Letta, Beppe Provenzano e Andrea Orlando. 

Dare vita al quarto governo nella stessa legislatura sarebbe davvero una bizzarria, ma essa andrebbe interamente a debito di Matteo Salvini: se vuole passare alla storia come il più grande sfasciacarrozze della vita repubblicana, si accomodi pure. Il suo elettorato capirebbe una crisi nella fase iniziale della ripresa economica? I big del suo partito lo lascerebbero fare? C’è da nutrire molti dubbi, sia sulla prima che sulla seconda domanda. 

Dunque, il disegnino salviniano, se esiste, è fatto a matita, e basta una buona gomma per cancellarlo. Così che la previsione più ragionevole è che il governo Draghi andrà avanti, cogliendo risultato dopo risultato (per ora siamo a due: uno, enorme, sulla campagna di vaccinazione e le riaperture progressive, e, due, il Piano di resistenza e resilienza), per cui che senso avrebbe interrompere un cammino positivo e soprattutto decisivo ai fini della ripresa della Nazione che la Lega potrebbe – quota parte – intestarsi?  

Probabile dunque che si stia cercando di far capire al leader leghista che la minaccia di far crollare il quadro politico è spuntata, equivale a un tirare calci al buio nell’incertezza strategica che avvolge il suo partito che ormai non riesce nemmeno più a fare (pessima) propaganda sugli sbarchi a Lampedusa, visto che il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese sta gestendo la situazione, né a imbastire una linea spericolata sulla riapertura, ora che Draghi ha imposto la linea del rischio calcolato. 

Come tutti sanno, l’ondivago Salvini soffre molto la concorrenza di Giorgia Meloni che con l’operazione simpatia del libro è riuscita ad accreditare l’idea di essere lei la leader del centrodestra, e infatti il movimento scomposto dell’ex ministro dell’Interno segnala proprio questa sofferenza, questo suo non sapersi dare una linea, sospeso fra il descamisado di Pontida e l’uomo forte che non faceva sbarcare i disperati.

Alla fine, il capo leghista si sta giocando adesso la partita dell’affidabilità. E rischia di vincerla lei. Da questo punto di vista, la sola cosa che Salvini dovrebbe fare è scegliere una linea, e una sola, respingendo l’istinto arrogante di voler rovesciare ogni tavolo a cui si siede. Scelga presto. Perché l’ambiguità, in questa fase, non paga. Anzi, è la sabbia che seppellisce i cadaveri.

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