Vertice verdeLe promesse dei capi del G7 nella lotta al cambiamento climatico

La giornata conclusiva del summit in Cornovaglia è stata incentrata sul confronto e sul dialogo rispetto alle strategie da attivare per fronteggiare l’attuale emergenza climatica. Confermati l’obiettivo di azzeramento delle emissioni climalteranti entro il 2050 e l’attivazione di un fondo da 100 miliardi di dollari annuale da destinare ai Paesi in via di sviluppo per farli contribuire all’abbattimento della CO2

LaPresse

La giornata conclusiva della giornata conclusiva del G7 è stata interamente dedicata al tema della lotta al climate change.

Un incontro impreziosito dall’intervento di David Attenborough, celebre naturalista, divulgatore e autore di documentari scelto dal governo inglese come ambasciatore speciale sul dossier climatico. La mattina del 13 giugno, in un messaggio video, ha ricordato che «affrontare il cambiamento climatico ora è una sfida politica e di comunicazione tanto quanto una sfida scientifica o tecnologica. Abbiamo la capacità di affrontare la sfida, ma serve volontà globale di farlo».

Al summit di Carbis Bay, Cornovaglia, il primo ministro inglese Boris Johnson ha ricordato: «Proteggere il pianeta è la missione più importante che noi leader abbiamo».

Per questo, i capi di Italia, Francia, Canada, Germania, Stati Uniti, Regno Unito e Giappone, insieme all’Unione europea, e alla presenza dei leader ospiti di Australia, Corea del Sud, India, Sudafrica e di Onu e Oms, hanno confermato l’intenzione di azzerare le emissioni al più tardi nel 2050 e, parallelamente, di fare tutto il possibile per mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5 gradi. A tal fine – si legge nel comunicato finale del G7 a presidenza britannica – sono stati aumentati aumentare i target al 2030, con un taglio collettivo delle emissioni della metà rispetto al 2010 e di oltre la metà rispetto al 2005.

«Dobbiamo decarbonizzare il settore energetico – ha ricordato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – Il 25% dell’energia dell’Unione europea viene da fonti rinnovabili: puntiamo a salire al 38% per il 2030».

Allo stesso tempo, gli Stati aumenteranno il loro contributo al fondo da 100 miliardi di dollari annuale da destinare ai Paesi in via di sviluppo per spingerli a ridurre le emissioni climalteranti. Si tratta di un obiettivo che, però, era già stato stabilito già nel 2009. E mai raggiunto.

Il vertice di Carbis Bay ha proposto un piano finanziario per realizzare infrastrutture ecologicamente sostenibili nei Paesi in via di sviluppo, nell’ambito di una strategia da condividere nella COP26 di Glasgow, che sarà presieduta sempre dal Regno Unito in partnership con l’Italia, e un programma per fermare l’impoverimento delle biodiversità nel mondo entro il 2030.

I capi di governo anche ricordato che non finanzieranno più centrali a carbone ma solo fonti di energia rinnovabili e progetti sostenibili. Una svolta che il premier inglese ha definito «una nuova rivoluzione industriale verde con il potenziale di trasformare il modo in cui viviamo».

Secondo il presidente del Consiglio Mario Draghi: «Gli atteggiamenti, le posizioni, il comportamento di governi come quelli del G7 deve essere fondato su tre principi fondamentali. Prima di tutto bisogna cooperare, come sul tema del clima: l’Unione è responsabile solo per il 7% delle emissioni di CO2, la Cina per il 30%, l’India per il 7%, gli Usa più o meno la stessa cifra. Questo vertice marcava il ritorno degli Usa dopo la presidenza Trump».

Boris Johnson ha anche lanciato la proposta di un contributo da mezzo miliardo di sterline da destinare attraverso lo UK BluePlanet Fund a Paesi come Ghana, Indonesia e isole del Pacifico per contrastare la pesca sregolata e l’inquinamento dei mari, in difesa dell’ecosistema costiero e a tutela delle barriere coralline. «Vi è una relazione diretta fra la riduzione delle emissioni nocive, la salvaguardia della natura, la creazione di posti di lavoro e la garanzia d’una crescita economica a lungo termine – ha ricordato il premier inglese – Come nazioni democratiche, abbiamo la responsabilità anche di aiutare i Paesi in via di sviluppo sulla strada di una crescita pulita, e questo G7 rappresenta un’opportunità senza precedenti per guidare il mondo verso una Rivoluzione Industriale Green che abbia il potenziale di trasformare il nostro modo di vivere».

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