In un episodio della serie Netflix “The Crown” il principe Carlo viene convinto a seguire un corso intensivo di novanta giorni alla Aberystwyth University in Galles. L’obiettivo è piuttosto semplice, va per imparare la lingua del posto: gli servirà durante la cerimonia d’investitura a Principe di Galles, quando Carlo pronuncerà un discorso interamente in lingua gallese.
È una scelta politica chiara della famiglia reale: Carlo deve conoscere il gallese per dimostrarsi più vicino alla piccola nazione del Regno, a un popolo fiero della sua storia, della sua cultura e della sua tradizione.
Ancora oggi infatti il Galles ama distinguersi dall’Inghilterra e dal resto del Regno Unito: i gallesi sono orgogliosi della loro nazione, a partire dalla lingua, che custodiscono gelosamente. Poi ci sono i simboli nazionali, come il narciso e il drago rosso, che vengono rievocati molto spesso anche in letteratura e nella cultura pop.
L’identità nazionale del Galles risale almeno al V secolo, anche se molte persone nel resto del continente collegano la cultura locale unicamente alla lingua e alla toponomastica singolare: l’esempio tipico è quello della città di Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch, che con i suoi 58 caratteri è il toponimo più lungo d’Europa e il secondo più lungo al mondo.
Nonostante la sua forte identità, il Galles in tempi recenti non è stato un focolaio nazionalista come la Scozia. Gli indipendentisti gallesi hanno gli stessi obiettivi di quelli di Edimburgo, ma nel Paese sono sempre stati in minoranza.
A legare i cittadini a Londra sono soprattutto fattori economici e geografici: il mercato del lavoro gallese è strettamente connesso all’Inghilterra e l’economia nazionale dipende da quella dei vicini, a differenza della Scozia; inoltre il Nord rurale del Galles è probabilmente più legato a Liverpool che alla stessa capitale Cardiff, che si trova più a Sud.
«Un movimento indipendentista ha bisogno che i cittadini siano in grado di vivere una vita piena, economicamente, socialmente e politicamente, all’interno della nazione stessa. Il Galles avrebbe molti problemi se si separasse dall’Inghilterra», scriveva l’Atlantic in un articolo in cui spiegava perché l’indipendentismo gallese non fosse forte quanto quello scozzese.
Poi c’è una spiegazione più strettamente politica. In Galles il primo partito è il Welsh Labour, il partito laburista gallese, che è storicamente unionista e da anni domina la scena a livello nazionale: anche il riferimento elettorale propende verso un rapporto di buon vicinato con l’Inghilterra.
Ma ultimamente qualcosa sta cambiando. «Oggi molti laburisti non sono più unionisti convinti», dice a Linkiesta Richard Wyn Jones, che insegna alla School of Law and Politics dell’Università di Cardiff ed è direttore del Wales Governance Centre.
«Quasi metà degli elettori del partito – aggiunge – oggi dichiarano che voterebbero per l’indipendenza se ci fosse un referendum. Una situazione insolita che mette quasi in difficoltà i vertici del Labour. Anche perché nel frattempo i laburisti scozzesi si sono autodistrutti facendo la gara contro l’indipendentismo dello Scottish National Party».
A cambiare lo scenario è stata ovviamente l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. «Con Brexit gli indipendentisti hanno avuto un argomento in più, poi ci si è messo l’atteggiamento di Londra: il governo centrale ignora le voci provenienti da Scozia e Galles, vuole accentrare ancora di più il potere e indebolire i singoli governi e parlamenti nazionali», spiega ancora Richard Wyn Jones.
È per questa mancanza di sensibilità che l’indipendentismo gallese – che invece sarebbe favorevole all’appartenenza all’Unione europea – ha iniziato a rianimarsi.
Avrebbe dovuto approfittarne il Plaid Cymru (il Partito del Galles), che sostiene la formazione di un Galles repubblicano indipendente all’interno dell’Unione. È vero che è cresciuto nei sondaggi, ma il Plaid è comunque un partito piccolo, con una dimensione prettamente territoriale.
Allora l’occasione è stata sfruttata dal primo ministro gallese Mark Drakeford (laburista). Ha leggermente cambiato la sua posizione, ha strizzato l’occhio agli indipendentisti pur rimanendo unionista: si è rivolto a Londra per accelerare il processo di devolution, anziché frenarlo.
Nell’ultimo anno Drakeford ha trovato nuova forza politica, pur non essendo una figura carismatica. «Il futuro di Drakeford e l’intensità della spinta indipendentista gallese dipenderanno anche da fattori esterni, come le reazioni del governo centrale e quelle dello Scottish National Party», dice il professor Wyn Jones.
La carica indipendentista gallese, che per quanto oggi sia in crescita, ricorda la condizione della Nazionale gallese a Euro 2020.
Chi vorrebbe un Galles separato dall’Inghilterra non ha un vero e proprio rappresentante carismatico in cui identificarsi, una figura forte anche a livello internazionale. Paradossalmente oggi c’è Drakeford, che però è il leader laburista, e comunque non ha lo status di una Nicola Sturgeon (leader degli indipendentisti scozzesi).
La Nazionale dei Dreigiau – i Dragoni – ha la fortuna di avere il suo idolo in campo, ha Gareth Bale. In un articolo di presentazione in vista degli Europei, un giornalista gallese ha scritto su The Athletic: «Ho girato molte scuole calcio e academy negli ultimi due mesi e una delle domande che facevo ai giovani era: “Chi è il tuo giocatore preferito del Galles?” e il 99,9999% delle volte la risposta era Bale. Mi hanno dato la stessa risposta gli attuali giocatori del Galles quando gli ho chiesto “Chi è il vostro atleta gallese preferito”. Il Principe di Galles è il re ai nostri occhi».
Bale è il leader della Nazionale, e la squadra andrà più o meno fin dove lui sarà in grado di portarla. Oggi però anche Bale è un giocatore diverso rispetto al decatleta bionico di qualche anno fa. Ha perso lo status di galactico – anche se ha ancora lampi di classe purissima, come l’assist per Ramsey contro la Turchia – e ha segnato solo due gol nelle qualificazioni a Euro 2020.
In più ogni giocata, ogni prestazione, ogni risultato di squadra, sarà inevitabilmente comparato con la straordinaria campagna europea del 2016, quando i Dragoni arrivarono fino alla semifinale. Il compito ingrato di replicare l’impresa cade sulle spalle di un giocatore che nelle ultime due stagioni ha avuto più di qualche difficoltà a rendere al massimo delle proprie possibilità, tra Real Madrid e Tottenham.
Difficilmente il capitano gallese potrà garantire alla sua squadra un europeo paragonabile a quello del 2016. Almeno non potrà farlo tutto da solo. Avrà bisogno di un aiuto dall’esterno, magari una coincidenza favorevole. Si potrebbe quasi dire che il destino del Galles dipenderà molto da quel che accadrà attorno a loro: intanto domenica sera c’è la terza partita del girone A contro l’Italia di Mancini, una delle migliori formazioni di Euro 2020.
Il futuro potrebbe riservare diverse sorprese: il Galles potrebbe chiudere il girone al secondo posto e pescare agli ottavi la seconda del girone B, cioè una tra Danimarca, Russia e Finlandia. In alternativa potrebbe perdere con l’Italia ed essere scavalcata dalla Svizzera per differenza reti: chiudendo al terzo posto giocherebbe agli ottavi contro una prima classificata, quasi certamente una squadra troppo al di sopra delle sue possibilità.
Allo stesso modo, l’immediato futuro del nazionalismo gallese sembra dipendere soprattutto da fattori esterni: «Bisogna guardare due cose: la prima è cosa farà il governo di Londra rispetto alla devolution, che potrebbe alimentare la spinta indipendentista; la seconda è cosa accadrà in Scozia, dove un successo a un eventuale referendum per l’indipendenza potrebbe causare un effetto domino», dice il professor Wyn Jones.
La Nazionale e il nazionalismo gallese sono sulla stessa barca. Il contesto in cui si muovono oggi potrebbe rivelarsi favorevole, dando loro una nuova forza, spingendoli anche oltre le loro stesse aspettative. Oppure per la legge di Murphy le cose potrebbero male, e a quel punto entrambi saranno costretti a rinunciare ai loro sogni.