Manuel Akanji taglia l’intera squadra avversaria con un passaggio verticale a cercare la punta Seferovic, poco oltre la metà campo. L’attaccante la gioca di prima, senza pensare, con un tocco minimo; la palla arriva a Embolo, che con un solo movimento controlla e inizia a correre verso la porta: si ingobbisce, sfila tra Davies e Rodon, appena arriva al limite dell’area fa partire un tiro di destro molto veloce e non troppo angolato. Ward para e si riparte dal calcio d’angolo. Sul cross successivo è ancora Embolo il protagonista: vince il corpo a corpo con il marcatore e di testa fa 1-0.
Nello spazio di pochi secondi, prima del 50esimo, la Svizzera ha costruito la palla gol più nitida della partita, poi ha trovato il vantaggio. Sembra il turning point decisivo della sfida contro il Galles, quello che avrebbe dovuto portare gli elvetici a controllare gioco e risultato, e vincere il match d’esordio degli Europei.
Invece da lì in poi la Nazionale allenata da Vladimir Petkovic si è seduta, rilassata, quasi spenta – fatta eccezione per un paio di fiammate – fino a subire il gol del pari da Kieffer Moore a un quarto d’ora dalla fine.
La Svizzera è ormai un presenza fissa alle fasi a giorni dei grandi tornei internazionali, e il passaggio del turno è l’obiettivo minimo quest’anno. In questo senso un pareggio contro la formazione meno quotata del girone è a tutti gli effetti un passo falso.
Se i rossocrociati vantano ambizioni da grande squadra, o quasi (il sogno sarebbe quello di raggiungere i quarti di finale), è perché da anni ormai costruiscono, mattone dopo mattone, un status da alta borghesia europea e mondiale, come testimoniano i risultati: agli Europei la Svizzera conta quattro partecipazioni – tutte recenti – e l’ultima, nel 2016, si è conclusa agli ottavi di finale. Lo stesso vale per i Mondiali: si qualifica ininterrottamente dal 2006, e solo una volta in quattro partecipazioni non ha superato i gironi. I risultati trovano poi un riflesso nel Ranking Fifa, dove da anni la Svizzera occupa le posizioni tra la 10 e la 20 (oggi è al 13esimo).
La Nazionale elvetica è sempre lì, sempre presente, sempre più o meno forte. Pur non avendo mai grandi individualità. L’ultimo giocatore arrivato nella shortlist finale dei 30 candidati al Pallone d’Oro è Kubilay Türkyılmaz, che conquistò 5 punti nel 1996. Dopo di lui il vuoto.
Anche nella rosa di Petkovic oggi ci sono appena due giocatori arrivati ai quarti di finale di Champions League, Manuel Akanji e Xherdan Shaqiri, a cui si aggiungono elementi di spessore come Sommer e Embolo del Borussia Mönchengladbach, Freuler dell’Atalanta, Xhaka dell’Arsenal. Ma manca un giocatore capace di fare la differenza da solo ad alti livelli, come Lewandowski con la Polonia o Bale nel Galles.
Le individualità non hanno mai fatto la forza di questa squadra, per questo l’idea della federazione – dai vertici allo staff tecnico – è sempre stata quella di puntare sulla continuità e le certezze costruite negli anni.
La formazione rossocrociata è una delle più rodate e collaudate di questi Europei, sempre difficile da affrontare per qualsiasi avversario. Lo stesso ct Petkovic è in carica dal 2014 e tra i convocati ci sono ben 7 giocatori presenti anche ai Mondiali in Brasile di quell’anno.
Eppure il ct può pescare da un bacino di tanti talenti che nelle ultime generazioni si è rinnovato sotto tanti punti di vista, soprattutto grazie agli esuli in arrivo dai Balcani, che negli ultimi 20 anni hanno cambiato le prospettive della Nazionale.
Ne scriveva Rivista Undici in un articolo pubblicato in occasione dei Mondiali 2018, ma ancora attuale: «Nel 2006 i cognomi francesi, tedeschi e italiani presenti nella lista dei partenti cominciarono a mischiarsi con quelli di origine spagnola, ivoriana, turca, albanese e bosniaca. Proprio in quel mix di nazionalità si iniziano a intravedere le radici balcaniche di alcuni dei giocatori più importanti delle rose future: da dieci anni gli albanesi di provenienza macedone e, soprattutto, kosovara sono la spina dorsale delle formazioni elvetiche. Un esempio d’integrazione ben riuscita».
Le ragioni di questa ibridazione sono da ricercare nella storia recente della regione balcanica, e in particolare nell’ondata migratoria che tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta avrebbe portato macedoni, albanesi, kosovari, bosniaci a popolare l’Europa occidentale.
Il movimento calcistico elvetico si arricchisce anno dopo anno anche grazie ai ragazzi cresciuti nei settori giovanili locali, che forse non saranno prestigiosi come le academy di Belgio, Olanda, Portogallo e Francia, ma riescono ad avere risultati eccellenti.
Merito soprattutto degli investimenti privati, con i proprietari delle società calcistiche che possono migliorare strutture e condizioni di allenamento. Un report della Uefa di settembre 2020 rivelava che in Europa solo in Germania, Ungheria, Spagna e Svizzera l’investimento medio dei club nelle strutture per gli allenamenti supera i 5 milioni di euro. E solo in Svizzera tutti i club della prima divisione hanno collaborazioni in corso con istituti di formazione come le scuole calcio.
Inoltre, si legge ancora nel documento della Uefa, in tutta Europa i club dei massimi campionati investono attualmente un totale di 870 milioni di euro all’anno per la crescita dei giovani. In Svizzera in media ogni club investe 2,7 milioni di euro l’anno.
È uno dei dati più alti del continente: solo Inghilterra (6,1 milioni di euro), Germania (5,3), Francia (4,7), Italia (4,6), Spagna (3,4) e Russia (2,8) fanno di più, ma hanno mercati molto più grandi, esigenze diverse, altre opportunità.
Il sistema di formazione calcistica in Svizzera è perfettamente funzionale, aiuta i giovani inserendoli in contesti – ambientali, infrastrutturali e culturali – adeguati allo sviluppo del talento, e allo stesso tempo permette ai club di avere un monitoraggio costante del territorio.
È così che la Nazionale riesce a trovare sempre gli elementi giusti per essere competitiva nelle manifestazioni più importanti, nonostante le piccole dimensioni e la popolazione ridotta.
Stasera i rossocrociati affrontano l’Italia dopo il pari di Baku – la Svizzera è di base a Roma, è volata in Azerbaijan per giocare con il Galles e ci tornerà per sfidare la Turchia – sapendo che uscire dal campo a mani vuote significherebbe essere con le spalle al muro in vista della terza partita.