Da mesi, su queste pagine, non sono il solo a esprimere l’opinione che il nuovo Movimento 5 stelle guidato da Giuseppe Conte, ammesso che riesca mai a muovere i primi passi, e non sia piuttosto risucchiato nella palude delle infinite rese dei conti interne, quei primi passi li volgerà verosimilmente contro il governo Draghi e lungo la vecchia via populista da cui proviene. Ma si trattava di opinioni, e come tali, per definizione, opinabili.
Da settimane, su giornali di diverso orientamento, compaiono retroscena in cui vari esponenti del Movimento 5 stelle, coperti dall’anonimato, sostengono che Conte aspetti solo il semestre bianco per buttarsi contro il governo, recuperare l’ala più radicale (a cominciare da Alessandro Di Battista) e così i voti che a suo giudizio sarebbero andati verso Fratelli d’Italia. Ma si trattava di retroscena e di virgolettati anonimi, per definizione inaffidabili.
Negli ultimi giorni, però, Conte ha rilasciato due interviste, una al Corriere della Sera e l’altra a Dimartedì, su la7. Due fonti, diciamo così, in chiaro. E in entrambe le occasioni, oltre a inviare segnali piuttosto ambigui sul governo, pur dicendosi naturalmente intenzionato a sostenerlo, è stato a dir poco evasivo sulla collocazione del suo partito nel centrosinistra e sui futuri rapporti con il Partito democratico (Floris: «È un centrosinistra, quello che immagina?»; Conte: «Ma guardi, io l’ho detto anche in qualche anticipazione, noi parleremo anche all’elettorato moderato…»).
In compenso, è stato assai netto sull’intenzione di recuperare Di Battista. Cioè quel signore che qualche anno fa faceva comizi davanti a un manifesto raffigurante «la piovra del Pd» (se ne è riparlato di recente, dopo la clamorosa assoluzione del sindaco di Lodi e l’autocritica di Luigi Di Maio sulla «gogna mediatica»), con sopra i nomi di tutti i sindaci, consiglieri comunali, segretari di circolo o amministratori di condominio iscritti ai democratici e finiti per qualunque ragione sotto indagine. Un signore che peraltro ha dichiarato nel modo più esplicito cosa pensa del governo Draghi e che la sua posizione è incompatibile con un movimento che lo sostenga.
Dunque, al posto dei dirigenti del Pd, comincerei a fare due più due e a valutare l’ipotesi che il «neomovimento» di Conte – sempre ammesso che riesca mai a muoversi dalla casella di partenza – non vada nella direzione da loro auspicata, sin dai tempi in cui consideravano l’Avvocato del popolo un punto di riferimento per tutti i progressisti.
Ora, per carità, sappiamo quanto sia difficile fare previsioni sulle mosse dell’ex presidente del Consiglio. Un uomo capace di pronunciare frasi come «la mia politica è curare le parole, la profondità del pensiero e non affidarsi agli ismi», come ha fatto a Dimartedì, e senza alcuna ironia, anzi convinto di avere così brillantemente disinnescato ogni possibile domanda su populismo, giustizialismo, sovranismo e tutti gli ismi da lui a suo tempo sposati.
Un politico talmente impermeabile al principio di non contraddizione da poter dire, pure qui senz’ombra d’ironia: «Adesso pubblicherò, glielo dico in anteprima, tutti i discorsi pubblici fatti nel Conte I e nel Conte II. Vi sorprenderete: c’è un’assoluta continuità, non ho mai cambiato registro. Ovviamente il contesto politico poi ti costringe a fare mediazioni diverse, ma la mia linea su tutti i temi è stata sempre quella, Conte I e Conte II». E ancora: «Nel Conte I probabilmente la mia voce era meno sonora, poi chiaramente c’è stato anche un processo di maturazione personale… ma le posso assicurare che io non sono cambiato».
Del resto anche Di Battista, con cui va tanto d’accordo, lo ha detto e ripetuto orgogliosamente in mille occasioni, di non essere mai cambiato, di essere rimasto sempre lo stesso. E io, sinceramente, credo a entrambi, senza riserve, lo giuro, anche senza bisogno di rileggere tutti i discorsi che l’ex presidente del Consiglio minaccia di pubblicare. Anzi mi stupisco di come possano dubitarne altri, a cominciare dal vertice del Pd. E invece dovrebbero sapere che è proprio così: quelli come Conte, c’è poco da fare, non cambiano mai.