Dispute minerarieLo scontro tra Polonia e Cechia per la miniera di lignite di Turów  

A febbraio il governo ceco aveva portato Varsavia davanti alla Corte di giustizia europea per proteggere i cittadini che abitano in prossimità del confine polacco dove si trova il sito. Il tribunale ha dato ragione a Praga che ricorrerà ulteriormente per chiedere 5 milioni di euro per ogni giornata in cui il divieto di attività estrattiva sarà stato violato

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La disputa tra Cechia e Polonia intorno alla miniera di lignite di Turów ha un nuovo capitolo. A febbraio il governo ceco, a tutela dei propri cittadini che abitano in prossimità del confine polacco, dove la miniera ha sede, aveva portato la Polonia davanti alla Corte di giustizia europea per ragioni ambientali.

Il sito, secondo le autorità ceche, agirebbe in senso peggiorativo sugli abitanti della zona, limitandone anzitutto la capacità di approvvigionamento idrico. Il 21 maggio, la decisione della Corte: l’attività estrattiva va cessata immediatamente, fino alla sentenza nella causa generale.

Da quel momento la querelle è andata avanti lungo due direzioni parallele: da una parte quella diplomatica nel rapporto tra i due Paesi e dall’altra quella, molto più feroce, indossata in patria al cospetto dei propri elettori o davanti alle autorità europee. Ufficialmente la Polonia continua a confidare, così come faceva ancora prima di essere trascinata davanti alla Corte, di poter trovare un accordo con la controparte; in una nota immediatamente successiva al pronunciamento, tuttavia, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki sosteneva apertamente che: «Nessuna decisione della Corte europea può violare gli ambiti che ineriscono la sicurezza fondamentale dei cittadini: la sicurezza energetica è uno di questi».

La Cechia a lascia formalmente le porte aperte a una ricomposizione dello strappo; intanto, però, onde evitare l’ennesimo tentativo polacco di tirarla semplicemente per le lunghe, procede con l’azione legale. Risale all’8 giugno la notizia del portale České Noviny secondo cui il governo di Praga ricorrerà ulteriormente alla Corte europea per chiedere 5 milioni di euro per ogni giornata in cui il divieto di attività estrattiva a Turów sarà stato violato.

La notizia della richiesta di questa cifra da parte ceca ha avuto un forte impatto in Polonia, dove cresce la preoccupazione per la sentenza definitiva e – parallelamente – la convinzione di aver giocato male le proprie carte. «I cechi hanno fatto della Polonia un sacco da boxe e lo stanno colpendo a ripetizione: il fatto è che siamo stati proprio noi a permetterglielo», ha commentato in proposito Adam Traczyk di Global.lab, istituto polacco indipendente sugli affari esteri. Secondo l’analista la Polonia si troverebbe nella posizione peggiore, perché il pronunciamento della Corte ha dato ulteriore forza alle rivendicazioni ceche, che difficilmente si attenueranno.

In un quadro simile di colpevole ritardo e superficialità da parte governativa, le voci dei lavoratori della miniera di Turów e dell’indotto arrivano comunque con tutta la forza di chi si trova sull’orlo del baratro. La zona è caratterizzata da una sorta di monocultura industriale, basata sull’attività di estrazione della lignite da più di settant’anni.

La miniera impiega quasi 2.400 persone e la centrale elettrica che da essa dipende altre 1.200; altre 1.100 lavorano nell’indotto. La condizione occupazionale, tra miniera, centrale elettrica e indotto garantisce un dignitoso livello di vita a circa 60-70mila persone residenti in zona.

La maggior parte di chi lavora nell’ambito della miniera abita nella cittadina di Bogatynia, il cui sindaco, Wojciech Dobrołowicz, è terrorizzato all’avanzare dello spettro della chiusura: «La decisione della Corte di giustizia è stata accolta molto male dai miei concittadini: ci sentiamo trattati ingiustamente, come oggetti. La chiusura temporanea della miniera sarebbe una grave irresponsabilità: porterebbe alla perdita di svariati posti di lavoro, e priverebbe il comune di quasi la metà delle proprie entrate. Ci troveremmo a dover decidere quali servizi tagliare tra quelli scolastici o ospedalieri. Alla crisi socio-economica si accompagnerebbe anche una grave crisi ecologica: chiudere la miniera, ovvero smettere di pompare acqua, avrebbe un impatto sul pericolo di frane. Ci stiamo preparando alla trasformazione ecologica, ma il processo deve seguire un principio di evoluzione, non di rivoluzione. Non siamo in grado di riqualificare tutto il nostro personale nel corso di una notte, per garantire a tutti loro una diversa fonte di reddito».

Chi, invece, sottolinea anzitutto le manchevolezze della proprietà e delle autorità nazionali è Jakub Gogolewski, coordinatore dei progetti della Fondazione ecologista Rozwój tak – Odkrywki nie (Sviluppo sì – Cave no): «Va chiaramente detto che la decisione della Corte di chiudere immediatamente la miniera è dovuta all’ignoranza mostrata in materia dal governo polacco durante i colloqui con la parte ceca. Se li avessero ascoltati, e avessero iniziato a soddisfare le richieste degli abitanti cechi del territorio di confine, le cose non sarebbero andate così. La Corte non ha fatto altro che tutelare i diritti di queste persone, che da anni presentano le prove degli effetti del funzionamento della miniera: abbassamento del livello delle falde acquifere, inquinamento dell’aria e acustico».

«Finora il governo polacco non ha preparato meccanismi e strumenti che possano alleviare la sospensione temporanea dell’attività estrattiva di Turów; né sta lavorando a un piano di emergenza. Non c’è un progetto che descriva gli investimenti che consentirebbero al comune di Bogatynia e alla regione di ridurre gradualmente la dipendenza dalla miniera, preparandosi all’eventuale chiusura anticipata di questo complesso energetico. La chiusura provocherà perturbazioni a breve termine, ma significative, sul mercato del lavoro locale e un temporaneo deterioramento della situazione economica di circa il 6% degli abitanti della zona, che non sono stati adeguatamente preparati».

Gogolewski ha le idee piuttosto chiare su quanto potrà accadere nei prossimi giorni: «A mio avviso, la chiusura della miniera, a meno che non ci sia un precedente accordo tra i governi polacco e ceco e il ritiro della denuncia dei cechi alla Corte europea, avverrà dopo le vacanze e prima delle elezioni nella Cechia, previste per inizio ottobre 2021. Occorrerà sospendere l’attività estrattiva e la produzione della centrale elettrica per almeno sei mesi, “parcheggiando” i lavoratori: per questa operazione sono stati stimati 450 milioni di złoty (100 milioni di euro circa). La cosa più importante, tuttavia, è che il governo polacco annunci la data di chiusura definitiva della miniera, in maniera coerente con gli obiettivi climatici dell’Unione europea: il 2026 è una data realistica. Entro la fine del 2026, 306 delle 3.536 persone impiegate attualmente raggiungeranno l’età pensionabile; inoltre, nella zona di Turów si possono costruire parchi solari ed eolici insieme a piccole centrali a biomassa e una centrale di pompaggio nella Bassa Slesia: il che può creare fino a 7.830 posti di lavoro».

Molti altri casi analoghi a quello di Turów attendono la Polonia, che non a caso ha un’economia definita “del carbone”, e che grazie ai fondi europei dovrà riconvertirsi a nuove fonti di produzione energetica.

«La Polonia è il maggior beneficiario del Fondo per una giusta transizione dell’Unione europea: deve ricevere due miliardi di euro, il 27% dell’intera somma. Il governo polacco, però, ha paura di fornire subito una data rapida e realistica per uscire definitivamente dall’impiego del carbone in tutto il Paese: teme l’opposizione dei sindacati e non sa come spiegare a chi lavora nel comparto che questi cambiamenti sono inevitabili. Quanto prima si adotterà in proposito una comunicazione aperta e diretta, tanto maggiori saranno le possibilità che la transizione avvenga in modo sicuro e responsabile. La Polonia ora ha enormi fondi da utilizzare, che le permetterebbero di costruire un’economia moderna, a zero emissioni, molto più decentralizzata e con un impatto negativo inferiore per salute e ambiente. Occorre elaborare dei programmi che tutelino anzitutto le persone con un reddito più basso, già oggi esposte alla povertà energetica, anteponendo gli investimenti in nuove fonti di produzione energetica che portino a una significativa riduzione dei consumi. Abbiamo già l’esempio di una regione mineraria che ha pianificato una giusta transizione e annunciato la fuoriuscita dal carbone per il 2030: si tratta della parte orientale della regione della Grande Polonia, la zona di Poznań. La regione di Turoszów (dove si trova Turów) e la Slesia dovrebbero seguire questo esempio».

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