Riuscirà Mario Draghi a ’draghizzare’ la Rai come si domanda Mario Lavia nel suo articolo? Al governo (ovvero all’azionista) spettano le nomine del presidente e del direttore generale. Nonostante il riserbo con cui decide il presidente del Consiglio, circolano alcuni nomi di possibili candidati (saranno comunque un uomo e una donna) che possono vantare curricula di prestigio, ma che sollevano alcuni dubbi. Tutti coloro di cui si parla, presentano un ottimo profilo manageriale sia per quanto riguarda il risanamento finanziario dell’azienda, sia la competenza nel promuovere e seguire l’innovazione tecnologica.
La Rai, però, ha la necessità di un pensiero, di una elaborazione programmatica. È la più grande azienda culturale del Paese, è finanziata dal canone (le riscossione tramite la bolletta dell’energia ha contribuito a ridurre l’evasione) e dalla pubblicità. Opera in un settore tra i più bastonati dalle misure di mitigazione del contagio, non solo per le chiusure – spesso assurde – che sono state imposte ai cinema, ai teatri, ai concerti, ai musei e alle pinacoteche e quant’altro avesse a che fare con lo spettacolo e lo stare insieme.
La Rai dovrebbe essere lo strumento del rilancio del settore. La pandemia ha abituato le persone e le famiglie a comunicare a distanza, non solo fra di loro, ma a usufruire entro le mura di casa di quei servizi immateriali che prima trovavano fuori. Alcuni mesi or sono il ministro Dario Franceschini propose di usare le risorse del NextGenerationEu per creare «la Netflix della cultura italiana»; ovvero, di creare, a partire dai 10 milioni di euro affidati a Cassa depositi e prestiti, «una piattaforma digitale pubblica, a pagamento, la quale possa offrire a tutta Italia e a tutto il mondo l’offerta culturale del nostro Paese» con l’obiettivo di rivitalizzare e «proiettare nel futuro» lo spettacolo italiano rendendo disponibili tutti i contenuti (musica, teatro, danza e arti circensi) ai giovani «abili alle fruizioni su internet».
Gli fu fatto notare dagli esperti del settore che esisteva già un’azienda di nome Rai, che disponeva di 2 miliardi all’anno di entrate e che sarebbe stata in grado di svolgere quel ruolo. Ma il ministro ha tirato diritto. Proprio in questi giorni ha preso il via ItsArt il portale digitale sul quale sono già disponibili 700 contenuti, gratis e a noleggio, di arte, musica, storia, danza e teatro. Secondo Franceschini così: «Valorizziamo il made in Italy».
ItsArt è una spa, partecipata al 51% da Cassa depositi e prestiti (Cdp) – la cassaforte incaricata di amministrare il risparmio postale e controllata dal ministero dell’Economia e delle finanze – e al 49% Chili tv, che si occupa di distribuzione di audiovisivi. La Rai non è coinvolta, nonostante che molti prodotti del palcoscenico digitale’ siano suoi. Non è proprio un segnale confortante che la sperimentazione di un’innovazione rivolta a un differente linguaggio comunicativo, salti di pari passo la Rai e si concluda un po’ alla chetichella, mentre l’azienda pubblica è in attesa di una nuova governance.
Forse l’età mi sollecita nostalgie di altri tempi, quanto la tv fu protagonista di un processo di scolarizzazione di un pubblico di semi-analfabeti, convincendoli che non è mai troppo tardi. Mi sono chiesto, durante i mesi di chiusura delle scuole, se non fosse possibile usare la tv come supporto della DaD, promuovendo contenuti – ovviamente non di carattere specifico per una scolaresca – attinenti ai programmi scolastici di ogni ordine e grado. Magari in collaborazione con gli insegnanti d’istituti disponibili.
In parte è stato fatto, ma serve un’esperienza culturale di massa (tutti hanno la televisione anche quelli che non hanno il Pc) che potrebbe servire a quell’opera di alfabetizzazione digitale che sta diventando una condizione obbligata per fruire dei servizi, anche dei più elementari come gestire le bollette delle forniture. Negli anni scorsi la Rai ha seguito le tv commerciali nei programmi di evasione. Poi si è fatta prendere in contropiede per quanto riguarda le trasmissioni dedicate alla politica, all’economia e al sociale.
Ecco le ragioni per cui le persone scelte dal governo (ovvero da Mario Draghi) dovrebbero essere portatori di un pensiero. Nessuno pretende che le due figure principali spuntino, come Atena, dalla testa del presidente del Consiglio. È sufficiente che Draghi si guardi attorno tra quanti, in questi anni, in azienda, hanno tenuto diritta la barra sulle esigenze dei cittadini, magari di quelli più fragili.