Ya-rrrraiL’album che ha fatto scoprire al mondo l’energia ribelle della musica rai

Rai Rebels fotografa e sottolinea in maniera astuta per il mercato internazionale lo status anti-sistema dei giovani artisti algerini nei confronti dell’islamismo più ortodosso, diventando col tempo identità culturale per i maghrebini emigrati in Francia. Negli anni 80 e 90 questa melodia derivata dai canti beduini è diventata una delle world music più popolari al mondo. Read&Listen

Rai Rebels

Non fatevi trarre in inganno dalla copertina, con un giovane Cheb Khaled in smoking e cravattino sorridente in mezzo a musicisti tradizionali algerini: questo non è un disco acustico né traditional, non è un disco da big band maghrebina, e non è (del tutto) neanche un album di Khaled (come lo conosceremo noi qualche anno dopo). 

Cheb Khaled è ritratto sulla copertina perché alla fine degli anni 80 è senza discussione la star più luminosa della galassia di cantanti che hanno plasmato questa nuova forma di musica etnica algerina, trasformata contemporaneamente in una musica da ballo, di protesta nei confronti dell’islamismo più ortodosso, e di identità culturale per i maghrebini emigrati in Francia. Una musica che ha provocato questioni e scossoni nei costumi e nella morale e che, con l’introduzione di batterie elettroniche, synth e chitarre elettriche, negli anni 80 e 90 diventa anche una delle world music più popolari sulla scena internazionale. Questa compilation dei migliori artisti di rai è stata ai tempi l’album che ha portato questa musica sulla scena mondiale.

Il Rai ha però una storia che viene da lontano, che si intreccia con la storia e la cultura algerina, ne sottolinea i mutamenti e le contraddizioni. La parola rai significa ’opinione’ in arabo, e quel ’Ha-ya rai’ che viene usato come punteggiatura dei testi è simile a un intercalare tipo ’say it!’, come ad invitare il cantante a raccontare la sua verità.

L’origine della musica rai nasce negli anni 20 fra gli abitanti delle campagne, uno stile folk vocale derivato dai canti beduini, accompagnato da un tamburo e dal flauto: melodia ripetitiva, ritmo insistente, e la partecipazione degli ascoltatori col battito di mani e ululati gioiosi. Il rai rurale, che veniva suonato in piccole riunioni familiari come matrimoni, cerimonie religiose, feste private, quando arriva a Oran e viene influenzato dai suoni e dalle influenze urbane, muta.

Il melting pot (spesso alla fonte di qualsiasi genere musicale) che si trova nella città costiera di Oran, Wahran in arabo, è congeniale per lo sviluppo della musica: non solo perché Oran è una città permissiva, e come tutti i porti ha una fitta rete di locali, nightclub, taverne e bordelli, ma anche perché, affacciata com’è sul Mediterraneo, la città è aperta a molte influenze musicali: il flamenco e la musica andalusa dalla Spagna, lo gnawa -musica trance marocchina- come anche la musica dei Berberi della regione di Kabylia, i ritmi dei nomadi arabi, la chanson e il cabaret francese. Cantano in una lingua mista, l’orani (wahrani in arabo), con influenze francesi e spagnole. 

Le canzoni parlano di vita quotidiana – povertà, tristezza, indipendenza dall’oppressione coloniale- ma i temi che rompono davvero con la tradizione sono il vino, l’amore, una sensibilità piuttosto libertina. I testi, comuni nelle riunioni o nelle feste private, lentamente arrivano anche nei club della città. A differenza della musica tradizionale, ci sono anche cantanti donne, che in altri contesti sono proibite: il simbolo di questa emancipazione femminile è Cheika Remitti, dove Cheika sta per anziana (classe ’23) e il ’remitti’, leggenda vuole, è in assonanza con la sua abitudine di ordinare continuamente altri drink, ’remettez m’en un’, datemene un altro:

«O mio amore, se tu che mi fai rompere il mio digiuno
O amante, guardarti è peccato
Sei tu che mi fai ’mangiare’ durante il Ramadan».

(nel periodo del Ramadam, il sesso è proibito fino a sera).

La Remitti, nome di battesimo Saadia, viene da un villaggio, rimane orfana a due anni e la sua vita è fatta di privazioni, lavori di bassa manovalanza, costretta a lavorare nei night club come danzatrice e cantante, e a poco a poco diventa ben conosciuta. Perché è la più talentuosa e sfacciata di un vasto gruppo di donne, molte che vengono dalla campagna, costrette a fare lavori in condizioni disagiate, anche a prostituirsi. Le chiamano cheikhat. Sono loro che, senza nulla da perdere, con i loro atteggiamenti di sfida alle convenzioni, creano le basi del rai che verrà. 

Negli anni 50 è il trombettista e bandleader Messaoud Bellemou a modernizzare il suono: gli strumenti tradizionali – gasba (flauto), rbaba (sorta di violino a una corda), il gellal e il derbouka (tamburi magrebini) vengono sostituiti da strumenti più moderni come l’oud, il violino, la fisarmonica Bellemou è quello che anticipa il suono, la Remitti – che continuerà a fare concerti fino alla sua morte nel 2006– è quella che crea il modello di attitudine ribelle e iconoclasta, e sarà considerata la godmother, la madre del rai. 

La sviluppo del rai si incrocia con i sommovimenti politici sociali e religiosi nell’Algeria che lotta per la sua indipendenza dalla Francia in una guerra cruda e sanguinosa.  Quando la ottiene nel 1962, il Governo spinge per reprimere i contesti e la proliferazione di questa nuova musica, che urta la sensibilità religiosa degli anziani e degli integralisti, e per quasi una ventina d’anni il rai diventa una sorta di musica underground, bandita nei luoghi e nelle cerimonie ufficiali. 

Quando nel 1979 il governo del Presidente Chadli Benjedid allenta i freni, c’è una nuova generazione di artisti, che nel frattempo hanno assorbito altre influenze, fra cui quella egiziana -la maggior forza musicale del Mediterraneo arabo- e soprattutto possono sfruttare l’arrivo dei primi strumenti moderni: sintetizzatori e drum machines, trombe, chitarre elettriche. E’ l’inizio di quello che viene chiamato pop rai per distinguerlo da quello folk più antico: le donne vengono chiamate con il prenome Chaba, gli uomini Cheb, per differenziarli dalla vecchia generazione di musicisti tradizionali, dove vige ancora il termine Cheik (’anziano’). Una delle eredi della Remitti, Chaba Fadela, con la produzione di Bellemou, nel 1979 pubblica ’Ana Ma H’lali Ennoum’ (’non mi importa più di dormire’), enorme successo che apre definitivamente la strada al pop-rai.

Il mezzo di distribuzione sono le cassette, è un mercato nuovo di zecca che si apre, e il rai diventa la musica della gioventù, una sfida al puritanesimo, all’autorità patriarcale, non tanto alla religione islamica in sé quanto ai costumi che ne derivano. Un parallelo, per quanto il contesto sia radicalmente diverso, con il r’n’r ci sta: alcool al posto delle droghe, sessualità più libera, e una musica che per i tradizionalisti è puro rumore. Le canzoni parlano spesso di amore romantico, ed è difficile ritenerlo qualcosa di rivoluzionario, ma lo è nella società algerina dove sedersi a un bar con un ragazzo o sposare un non-musulmano è considerato abbastanza per essere criticate o ripudiate.

Questo non poteva lasciare indifferente un governo socialista e islamico conservatore, e per molti anni gli artisti di rai vengono scoraggiati, e se non addirittura censurati. Ciononostante, le bancarelle, i mercati e i negozi sono invasi dalle cassette, generalmente incise dai proprietari dei negozi che agiscono come produttori nei retrobottega, pagando giusto il minimo ai cantanti e i loro accompagnatori, pubblicandole direttamente senza mix o sovraincisioni. Non a caso, lo stesso brano può essere trovato in tante versioni diverse anche dello stesso cantante. 

Alla metà degli anni 80, avvengono alcuni fatti che contemporaneamente rimportano il rai alla luce del sole. Come viene raccontato in ’Arab Noise and Ramadan Nights’, pubblicazione universitaria, la svolta è favorita dalla popolarità che il rai si è guadagnato in Francia presso i tantissimi immigrati maghrebini, soprattutto a Parigi, Lione e Marsiglia. I figli degli immigrati di prima generazione riconoscono in quei testi sia la volontà di mantenere vive le proprie radici, in una maniera che perdipiù rappresenta la rottura col passato -quindi una visione non libertaria quanto quella europea, ma sicuramente abbastanza simile- che nei testi si confronta con la reazionarietà delle tradizioni. E tutto ciò è uno stimolo per i giovani maghrebini – sia in patria che quelli della diaspora – a ripensare e ridiscutere la politica, l’identità, la sessualità.  C’è apprezzamento per una musica moderna, da ballo, che possa esser suonata nelle feste, nelle discoteche. Diventa un veicolo di identità in mezzo ai Beurs, come vengono chiamati i giovani maghrebini (non solo algerini, anche tunisini e marocchini) di seconda generazione, le radio cominciano a trasmetterla, è la musica più richiesta nelle notti del Ramadam. Per alcuni promuove valori culturali contro i tabù della società mediorientale: immigrazione e integrazione, critica dello stato, modernizzazione e il ruolo del sesso e delle relazioni nella società islamica. Per altri, è solo una ottima musica da ballo: in questa maniera, la sua penetrazione presso ascoltatori diversi ne favorisce la diffusione.

Una figura decisiva per la scena rai è il Colonnello Snoussi, militare del Fronte di Liberazione Nazionale diventato impresario: il suo lavoro di mediazione col Governo, convincendoli di considerare il rai un veicolo di internalizzazione della cultura algerina, beneficiandone anche economicamente. Intuisce la potenzialità della connessione fra Algeria e gli immigrati in Francia, ottiene per loro i passaporti e visti ed è lui a intercedere presso il ministro socialista della cultura Jack Lang che a sua volta intercede presso il Governo algerino suggerendo che la libertà di cui canta il rai può essere un freno, o un bilanciamento, alla crescita continua del fondamentalismo islamico (che nel ’92 arriverebbe al potere se prima del secondo turno delle elezioni queste non fossero di fatto sospese). Viene abbracciata anche da coloro che lottano contro il razzismo della società francese, da organizzazioni come SOSRacisme. I cantanti di rai ottengono il passaporto, possono fare concerti e tour in Francia. Dopo il Festival di Oran il primo grande raduno rai patrocinato dal Governo in terra algerina (dove la polizia però  intima ancora ai presenti di non ballare), nel 1986 il primo raduno a Bobigny, periferia di Parigi, con tutte le maggiori star del momento, è il punto di partenza per un popolarità più vasta, che per Khaled (e pochi altri) diventerà prima europea e poi mondiale. Continueranno a fare avanti e indietro con la madrepatria, finchè le condizioni lo permetteranno e i fondamentalisti negli anni 90 non rappresenteranno una minaccia reale.

Da questa scena abbastanza anarchica emergono nei tardi ’70 i due fratelli Rachid e Fethi Baba Ahmed, figli di un violinista, nati in una città vicina a Oran, Tlemcen. Negli anni 60 avevano creato un gruppo di stile pop-rock come i Vultures, ma negli anni 70 ritornano alla musica araba e costruiscono uno studio di registrazione a 8 piste. Si trovano davanti una musica suonata e cantata dal vivo, quindi improvvisata, diversa ogni volta, con interpreti non abituati a una session di registrazione; mancano anche sessionmen competenti. La soluzione è quella di separare la traccia vocale e registrare a parte quella strumentale, usando la classica strumentazione ’moderna’: basso, chitarra, tastiere, sintetizzatori, percussioni elettroniche. Rachid, la sua barba e il cappellino militare simili a un Fidel Castro maghrebino, multistrumentalista ma anche attento uomo d’affari, lascia la sua impronta su tutta la produzione rai del periodo, registrando tutti i maggiori cheb e chaba emergenti e viaggiando spesso a Parigi e Londra per rimanere al passo e fare accordi di produzione internazionali.

“Rai Rebels”, titolo che fotografa e sottolinea in maniera astuta per il mercato internazionale lo status ribelle, anti-sistema di questi giovani artisti algerini, esce nel 1988, quando il genere sta al suo massimo in madrepatria, su etichetta Earthworks, brand della Virgin che negli anni 90 rappresenta la miglior fonte organica internazionale di world music.

La prima cosa da sapere quando si ascolta musica araba, è che i brani non hanno la struttura a cui siamo da sempre abituati. Non c’è strofa-strofa-ponte-ritornello: data la base musicale e percussiva (che non cambiano molto durante il brano), il canto è il centro di tutto, un flusso pressochè ininterrotto in cui l’intonazione, l’energia, le variazioni di pensiero e intenti che si percepiscono – anche senza capire una parola – sono il messaggio. Quindi inutile cercare canzoni come le conosciamo in occidente, piuttosto serve farsi travolgere dal ritmo, a cui la voce contribuisce molto. O lasciarsi avvolgere della musica araba, circolare per struttura e ipnotica per arrangiamenti e ripetitività, piccole variazioni su un impianto che tende a ripetersi.

L’album si apre con quello che è stato uno dei più grandi hit in assoluto del rai, ’N’Sel Fik’ (’tu sei mia/mio’), cantato dalla coppia regina del rai, Cheb Sahraoui e Chaba Fadela. Lei, nome completo Fadela Zalmat, è stata una figura scandalosa avendo interpretato nel 1976 una delinquente giovanile nel film ’Djalti’. Sposa nel 1983 Mohammed Sahraoui, nativo di Tlemcen, diplomato al Conservatorio di Oran in pianoforte, uno dei primi a introdurre i nuovi strumenti nel rai, che canta fin dagli anni 70 nei club della città, alternandolo a canzoni pop, Beatles in primis. Sono ormai tre anni che Fadela si è ritirata per accudire il loro bambino quando Fethi intuisce che la sua voce, potente ed espressiva, non può rimanere a casa, è l’elemento mancante per trasformare il nuovo brano del marito in un successo. Insieme sono una potenza. Il testo è una reciproca dichiarazione di amore, poetica e romantica. Il brano comincia lento, una chitarra elettrica scolpisce poche note, alte ed evocative.

Lui: «Chiedo di te, sei sempre nei miei occhi, dolcezza mia
Vita mia, io ti voglio
Io ti amo, tu sei mia…»

E lei risponde:  «Ti ho visto nell’oscurità, mi sono venuti i brividi
Mia vita, io ti amo occhi miei
E muoio per te amore mio, tu sei mio»

Quando entrano gli strumenti tutto diventa irresistibile, percussioni e batteria elettronica, chitarre elettriche e acustiche, e il loro canto intrecciato, chiamata-e-risposta. Magnifico, anche senza capire una sillaba.

Lo stesso effetto Rachid lo ottiene prendendo la traccia vocale di Cheb Khaled di ’Ya Loulil’(’o mia bambina/bambino’), incisa cinque anni prima, e intrecciandola con quella dell’altra grande cantante rai, Chaba Zahouania. Halima Mazzi nasce a Oran da padre marocchino e madre algerina. Quando nel 1987 incide con Cheb Hasni ’Beraka’ (la capanna), che parla di incontrare il suo amante in un luogo segreto, ottiene grande successo ma cattura anche l’attenzione dei fondamentalisti islamici. Nel 94 Hasni verrà ucciso, forse per aver lasciato che delle ragazze lo baciassero sulle guance durante un programma televisivo, e Zahouania -gli occhialoni neri su un bel volto rotondo che per volontà della famiglia non apparirà mai sulle copertine delle cassette 9° dei cd- si trasferirà in Francia, come anche Sahraoui e Fadela e altri artisti minacciati. 

Qui è una tastiera che introduce, sulla quale parte una base pazzesca, batteria e percussioni, basso che spinge, le due voci che si rinforzano e rilanciano a vicenda senza sosta per tutta la durata. Quel ’ya-rrrrai, ya-rrrai!’ con le r arrotatissime che compare in ogni strofa è, più che un invito ’a dirla’ -la propria opinione, verità- un incitamento a cui è impossibile negarsi.

Non tutti i brani hanno questa propulsione molto vicina alla trance. ’Kahdidja’, di uno dei primi protetti dei fratelli Baba, Cheb Hamid, ha un passo sinuoso, che ti avvolge coi synth, e si ripete circolarmente, la voce di Hamid, espressiva e piena di sentimento, piena di suggestione, che in termini occidentali potrebbe forse definirsi una ballata blueseggiante. Il titolo è il nome della sua amata, ma una litania di nomi femminili la trasforma in un canto alle bellezze di tutte le donne algerine.

La fisarmonica sostituisce le tastiere elettroniche all’inizio di ’Foug-E-Ramla’(’sulla spiaggia’, luogo preferito della gioventù di Oran) prima che entrino anche i synt e tutto prenda forma e sostanza: il brano di Houari Benchenet ha un passo più sostenuto di ’Kahdidja’ ma il risultato è lo stesso, circolarità musicale e sopra una voce che modula, ulula, si streccia scandendo sillabe mentre melodizza e danza sul ritmo e sulle note, sempre mixata in primo piano da Rachid. In fondo, per noi che non capiamo l’arabo, la voce diventa un altro strumento, ancor più fascinoso degli altri. Stessa cosa nell’altro suo brano, pieno di rabbia giovanile, ’Mal Galbi’.

Cheba Zahounia torna da sola con un brano, ’Sahr Liyali’ (’uscendo tutte le notti’), registrato durante una session notturna, i synth chi si avvitano e svisano su tonalità da fisarmonica prima che la sua voce bassa e misteriosa, quasi rappata, prenda la guida. Torna anche Cheb Sahraoui con la sua ’Deblet Gualbi’(’il mio cuore senza di lei’): qui la tradizione araba della lunga introduzione viene rispettata, un minuto e mezzo di gorgheggi prima che il brano ingrani la marcia e sgommi via.

L’universalmente riconosciuto Re del Rai, Cheb Khaled, torna con ’Sidi Boumedienne’, che è sia un paese che un ’sant’uomo, leader politico, scienziato di Tlemcen del medioevo’. Lui canta con un coro femminile prima, poi con una voce femminile solista, che lo contrappunta e lo ingentilisce, così come scandisce ogni fine di riga del testo un colpo di tastiere che spezza e ricollega con la strofa successiva. Quando Khaled alza la voce strecciandola fino al limite si intuisce tutta la sua potenza. Uomo che ama divertirsi e fare una vita fuori regole – almeno quelle in voga allora – sorridente e scanzonato (come si vede in copertina) è un modello per gli altri giovani Cheb, ma sarà la sua capacità di adattarsi anche ad altri generi, a contaminare il rai con elementi diversi, dal reggae al funk, che gli darà il successo sul palcoscenico mondiale.

E’ un disco che apre a un mondo con regole, pregiudizi e codici diversi dai nostri. Il movimento che il rai mette in moto non è una Primavera Araba, ma sicuramente è il punto di partenza per una ribellione generazionale che scuote le fondamenta dell’osservanza tradizionale, sia in musica che nella socialità. E’ questa la sua importanza storica, ma la musica non è da meno: semplice ma sofisticata, sicuramente fotografia di un momento preciso, ma travolgente per il neonato mercato dell’Africa settentrionale, dove in qualsiasi mercato, bancarella per strada potevi trovare metri quadri di cassette con titoli ai nostri occhi incomprensibili. Coi volti di questi Cheb, mentre quasi sempre le Chaba non venivano riprese, almeno in copertina.

Rachid pubblicherà due anni dopo una seconda compilation, “Rai Rebels Vol.2”, e in proprio dei mixtape di fusion fra il rai e la house che in quegli anni stava prendendo piede. Continuerà a produrre artisti algerini, consapevole che il limite di iconoclastìa non andasse oltrepassato troppo: «All’inizio lasciavo che i cheb e le chaba cantassero quello che volevano. Ora sto attento. Quando cantano qualcosa di volgare dico basta, e se non obbedisce, lo taglio nel missaggio». Non basterà: il 15 febbraio del 1995, a 46 anni, verrà anche lui assassinato dai fondamentalisti di fronte al suo studio, che nel frattempo aveva espanso fino a un 24 piste. Sarà un duro colpo a una musica che, in quei pochi anni in cui è stata in auge, era fra le più vigorose e importanti di tutta la world music.

 

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