«È stato una specie di gioco di prestigio: il Direttore ci ha parlato del contesto senza chiarire assolutamente nulla dei fatti». Molti dei colleghi di Sira Rego, eurodeputata della sinistra spagnola, la pensano come lei. Davanti alla Commissione Libertà Civili del Parlamento Europeo il numero uno di Frontex, Fabrice Leggeri, ha dovuto spiegare il presunto coinvolgimento della sua agenzia in operazioni di respingimento illegali di migranti, i cosiddetti pushback. È solo una delle critiche che, con sempre maggiore insistenza, piovono sull’operato della Guardia di frontiera europea.
Un’inchiesta pubblicata lo scorso ottobre da diversi media europei, tra cui il settimanale tedesco Der Spiegel, ha documentato con fotografie, video e testimonianze, il coinvolgimento di agenti di Frontex in un respingimento avvenuto al confine marittimo fra Grecia e Turchia. In altri casi, si legge nell’inchiesta, lo staff dell’agenzia avrebbe lasciato fare il lavoro sporco alle autorità greche, permettendo scientemente violazioni dei diritti umani dei migranti coinvolti.
Frontex è l’agenzia europea che si occupa del controllo dei confini dell’UE, sia terrestri che marittimi, intercettando eventuali tentativi di ingressi irregolari. Le sue norme di ingaggio, delineate nel Regolamento 2019/1896, prevedono che ogni operazione venga svolta nel rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Convenzione di Ginevra, che sancisce i diritti dei rifugiati. La Guardia di frontiera non solo deve astenersi dal violare questi diritti, ma ogni suo membro ha il dovere tassativo di segnalare una potenziale violazione di cui sia a conoscenza.
Fra i diritti garantiti c’è quello a richiedere asilo. In accordo al principio di non-refoulement, non sono possibili respingimenti collettivi: non si può cioè allontanare un’intera imbarcazione di migranti che oltrepassi il confine delle acque territoriali di un Paese, perché sopra potrebbero esserci alcune persone titolate a esercitare il diritto d’asilo. Le autorità greche invece lo avrebbero fatto più volte negli ultimi mesi, con la complicità di Frontex.
Il Direttore Leggeri si è difeso sostenendo che non gli risulta nessuna prova di coinvolgimento in attività di questo tipo. Una spiegazione poco convincente secondo Sira Rego, componente della Commissione LIBE. «Se non ha visto il video che dimostra la partecipazione di Frontex, glielo mando io. L’atto di spingere una barca di plastica in piena notte verso le coste della Turchia ha un solo nome: pushback», dice la deputata a Linkiesta.
L’audizione squarcia un velo su alcune dinamiche messe in atto da Frontex, che rasentano pericolosamente i termini giuridici a cui l’agenzia deve attenersi. La prima riguarda il sistema di monitoraggio delle sue attività, della cui efficacia non dubitano solo i deputati del Parlamento. L’Ombudsman europeo Emily O’Reilly ha aperto un’inchiesta formale lo scorso 10 novembre per verificare la trasparenza del Complaint Mechanism, lo strumento interno che permette di segnalare eventuali casi di violazione dei diritti umani.
Il monitoraggio è assegnato a due organismi. Il primo è un forum formato da Ong e organizzazioni internazionali, che però ha un ruolo esclusivamente consultivo: può fare denunce basate su informazioni di stampa e social media, ma non indagini sul campo. Il secondo, che in termini teorici potrebbe essere più efficace, è una divisione interna di Frontex e si chiama Fundamental Rights Officer.
Gli addetti di questa sezione dovrebbero assicurarsi che tutte le operazioni di Frontex siano in linea con i diritti fondamentali, conferma a Linkiesta l’agenzia europea. Ma anche se di recente è stato aperto un bando per 40 nuove assunzioni, resta un ufficio con personale ridotto, come spiega Giuseppe Campesi dell’Università di Bari, esperto dell’argomento e autore del libro “Polizia della frontiera. Frontex e la produzione dello spazio europeo”.
La sproporzione risulta evidente se si guarda al budget di Frontex: nel 2020 la Guardia di frontiera ha ricevuto 460 milioni di euro dall’UE e dagli altri Paesi dello spazio Schengen. Solo uno è stato destinato alle attività del Fundamental Rights Officer. Oltre all’efficacia, è discutibile anche l’indipendenza del sistema di monitoraggio: «C’è un consistente flusso di informazioni sulle operazioni di Frontex, ma questo flusso rimane interno, senza un’autorità indipendente a giudicare l’agenzia», dice a Linkiesta Campesi.
Durante l’audizione in Parlamento, Leggeri ha ammesso che gli sono pervenuti rapporti di possibili violazioni, affermando di averne chiesto conto al governo greco. Questo aspetto porta dritto a un altro problema, di natura più politica. L’agenzia conduce le sue operazioni in maniera congiunta con le forze di polizia o la Guardia costiera degli Stati Membri dell’UE. Il comando resta alle autorità nazionali: nel caso specifico c’è Atene al vertice di Poseidon, la missione di controllo delle coste dell’Egeo.
Sul tema del rispetto dei diritti umani, questo significa che Frontex può riportare i casi sospetti allo Stato Membro e chiedere spiegazioni, ma poi deve accontentarsi delle risposte. Come chiarito da Leggeri ai parlamentari, «Non possiamo dire al governo greco che non ci fidiamo di loro».
Il direttore esecutivo di Frontex avrebbe comunque il dovere di sospendere ogni attività se sospetta violazioni di diritti umani, secondo quanto recita l’Articolo 46 del Regolamento dell’agenzia. Ma sul piano pratico non è così facile: «Sarebbe un atto politico che implica un giudizio negativo sull’operato di quel Paese», segnala Giuseppe Campesi. Non è un caso che questa strada non sia mai stata percorsa, nemmeno quando lo scorso marzo 2019 la Grecia decise di fermare per 30 giorni la possibilità di chiedere asilo, in palese violazione del diritto internazionale.
«C’è una contraddizione strutturale nella gerarchia dell’agenzia, un organismo dipendente dalla Commissione, che propone il Direttore esecutivo. Quest’ultimo viene però votato da un management board intergovernativo, composto dai rappresentanti degli Stati». In questo modo ogni Paese tutela i propri interessi nazionali e Frontex non può fare sgarbi a nessuno.
Frontex vede, la Libia interviene
Alla difficoltà nell’accertare violazioni dei diritti umani si accompagna una progressiva tendenza all’esternalizzazione delle frontiere. Frontex del resto è diventata a tutti gli effetti una Guardia di frontiera europea nel 2016 per impedire l’immigrazione illegale. Da allora, con un notevole incremento delle risorse a sua disposizione studia i metodi migliori per ottenere i risultati desiderati.
Nel Mediterraneo Centrale questo si è tradotto principalmente con un arretramento nel raggio d’azione delle navi dell’agenzia: «Nei documenti dell’operazione Triton, che sostituì Mare Nostrum nel novembre 2014, si enuncia in maniera velata la tesi per cui imbarcazioni vicine alle coste africane costituirebbero un incentivo alle partenze illegali». Secondo l’analisi del professor Campesi, sia Frontex che lo Stato italiano hanno supportato la costituzione di una Guardia costiera libica e salutato con favore l’istituzione di un’area Search and Rescue per il Paese africano.
In una Sar è responsabilità giuridica del Paese di competenza soccorrere eventuali imbarcazioni in difficoltà: Frontex continua quindi a monitorare il Mediterraneo, ma da più lontano, con le navi a ridosso delle coste europee. Così interviene molto meno spesso nel salvataggio di migranti, che non è il suo core business, ma rimane un obbligo sancito dal diritto internazionale e ribadito dal Regolamento.
L’agenzia di fatto scarica questo compito sulle spalle della Guardia costiera libica, finanziata, addestrata e rifornita logisticamente anche dalle forze navali italiane. A Frontex conviene accorgersi quanto prima della presenza di un imbarcazione di migranti, in modo da segnalarla alle autorità libiche fintanto che queste possono ancora intervenire. Non è un caso se ultimamente l’agenzia sta investendo somme considerevoli nella sorveglianza aerea: l’ultimo caso è quello di una gara d’appalto da 50 milioni di euro per un sistema di droni.
Per molti si tratta di un modo cinico di adempiere al proprio dovere. Frontex vuole evitare che i migranti imbarcati sul Mediterraneo diventino un suo problema, senza curarsi troppo della loro sorte: la Libia non può essere considerata un porto d’approdo sicuro, come più volte ribadito dall’Onu. «Quella di Frontex è un’interpretazione formale del diritto. Le cronache sono piene di situazioni in cui le autorità libiche piuttosto di salvare le persone le hanno messe in pericolo», ricorda il professor Campesi.
La rotta intrapresa non sembra facile da invertire. Il Parlamento Europeo, che appare in questo caso l’istituzione comunitaria più attenta al rispetto dei diritti fondamentali, non può intervenire direttamente su Frontex, ma al massimo esprimere il suo disappunto tramite una risoluzione. Quello che può fare l’Eurocamera, invece, è rinforzare il quadro legislativo in cui l’agenzia deve muoversi. «Il nuovo Pact on Migration deve contenere un efficace meccanismo di controllo, che monitori ogni possibile aspetto di violazione dei diritti fondamentali alle nostre frontiere», afferma a Linkiesta Kati Piri, deputata socialista olandese.
Nel frattempo però la palla è nelle mani della Commissione europea, l’unica titolata a rimuovere il Direttore di Frontex o a modificarne la strategia. «Mi aspetto un seguito alle preoccupazioni espresse sul tema da Palazzo Berlaymont. E anche che gli Stati UE si assumano le proprie responsabilità all’interno del board», rimarca la parlamentare.
Come ha dichiarato il commissario Margaritis Schinas, però, proprio un più attento controllo delle frontiere sarà un pilastro essenziale del Pact on Migration. Per cominciare, è aumentato il budget destinato a Frontex, che nel prossimo Quadro finanziario pluriennale riceverà 6,1 miliardi per sette anni. Resta da vedere se, per chiudere le frontiere, la Commissione sarà disposta anche a chiudere gli occhi sui diritti umani.