È la settimana mondiale degli uomini che espongono indesideratamente il pisello. Mentre in Italia si vocifera di magnifiche sorti e progressive per la carriera d’un uomo politico che ne mandava autoritratti a poverecriste, in America l’ex moglie di Anthony Weiner – Huma Abedin, consigliera di Hillary Clinton – annuncia un’autobiografia. Non vedo l’ora di leggere quattrocento pagine su come sia stato essere sposate col più famoso mandatore di foto di pisello che l’epoca dei telefoni che fanno le foto abbia conosciuto.
Anthony Weiner aveva una carriera politica (era persino candidato a sindaco di New York), all’altezza dei primi scandali. Poi, quando si è capito che disintossicarsi dall’invio di foto del prepuzio è più difficile che smettere di giocare alla roulette, la sua carriera è stata archiviata.
L’unica ricchezza di Weiner sono i ritratti del suo pisello, e infatti l’altro giorno ha annunciato di volerne fare degli NFT, Non-Fungible Token, una specie di bollino Chiquita elettronico con cui garantisci che quell’esemplare di foto di prepuzio è l’unico, l’originale, l’irriproducibile, nonostante ne siano stati inoltrati migliaia di screenshot (l’era della riproducibilità è assai dannosa, se vuoi monetizzare le foto dell’arnese). Povero Anthony, sembra i cinquantenni che si aprono un account Tik Tok per fare i balletti coi figli tredicenni.
Povero Anthony, che se l’altra sera ha acceso la Cnn avrà visto il proprio Sliding doors: come sarebbe potuta andare. Com’è essere uno che ha esibito il pisello a spettatrici non desideranti ed è riuscito a recuperare la propria carriera.
Di Jeffrey Toobin avevo qui raccontato a ottobre, quando il New Yorker aveva organizzato una simulazione elettorale via Zoom tra i propri collaboratori, e in una pausa egli aveva ben pensato di farsi una sega, davanti ai (divertiti? attoniti? provvisti di cellulare col quale precipitarsi a filmare? provvisti di numero d’avvocato da contattare rapidamente per scoprire se potevano chiedere i danni?) colleghi della rivista.
Il New Yorker l’aveva licenziato di lì a poco, la Cnn (di cui pure era collaboratore) aveva detto che si era preso un’aspettativa. L’altra sera, Toobin è tornato in onda, dopo una pausa parecchio più lunga di quella del chitarrista di Propaganda (che d’altra parte non aveva esposto il contenuto delle mutande ma solo il mancato contenuto del cervello, il che è reputato meno grave dalla pubblica morale).
Doveva parlare della regolamentazione delle armi da fuoco, ma prima c’era da pagare pegno. Il pegno erano otto minuti di prologo, in forma d’intervista in cui una garbata ma implacabile conduttrice – Alisyn Camerota: se questa storia la sceneggiassi io, alla fine si scoprirebbe che era lei quella cui il goffo Toobin intendeva dedicare la sega cui invece assistette la redazione del New Yorker – gli chiedeva conto dei dettagli della trascorsa imbranataggine.
Il video è da subito sconcertante: non si può fare a meno d’immaginare l’inimmaginabile scena d’una conduttrice italiana che chieda a un ospite fisso della rete «Dicci un po’, com’è andata questa vicenda che durante una chiamata su Zoom col New Yorker ti sei masturbato?».
Il mio cervello si rifiuta d’ipotizzare i diversi stili con cui diverse conduttrici, dalla Gruber alla Annunziata, affronterebbero un’intervista del genere; ma non d’ipotizzare nomi di italiani cui potrebbe capitare un inciampo del genere e successiva intervista riparatrice. Il mio avvocato sconsiglia però di trascriverli qui.
Toobin, devo dire, è stato quasi perfetto. Ha detto che pensava d’aver chiuso la chiamata Zoom, ma che questa non è una scusa, che è stato profondamente imbecille, che in questi mesi ha cercato di diventare una persona migliore, di cui gli altri possano fidarsi, che è andato dallo psicologo, e che – il ricatto della beneficenza funziona sempre – è andato a fare il volontario alla mensa dei poveri (lei, magnanima, non ha chiesto se ha fatto tutto ciò tenendoselo nelle mutande).
Ha persino criticato quelli che, finendo in casini d’ogni pubblico tipo, si scusano «con chiunque si sia sentito offeso». Si è scusato con tutti, famiglia, amici, colleghi.
L’implacabile bionda ha infierito, per anni ti sei occupato degli scandali sessuali di Trump, di Spitzer, Bill Clinton, Weiner (poteva non citare Weiner?), e insomma qualcosina ne sai, com’è possibile che tu non abbia saputo darti una regolata.
Perché, ha passivaggredito lui, sono un essere umano, e gli esseri umani sbagliano. Lei non ha infierito ricordandogli che quel tipo di errori – non capire se la webcam sia accesa o no – lo fa una sola categoria di esseri umani: quelli anziani e che dovrebbero limitarsi al fax, un macchinario che tra l’altro non stimola la libido.
Lui ci ha tenuto a specificare che in ventisette anni di New Yorker non se l’era mai menato in pubblico, dice che l’ufficio del personale gli ha assicurato che nessuna collaboratrice aveva mai sporto reclamo nell’ordine di «Toobin se l’è tirato fuori» (idea per un romanzo: l’ansia d’un uomo nelle settimane in cui l’ufficio del personale indaga sul suo eventuale esserselo menato in ufficio).
Lei gli ha chiesto se il New Yorker l’avesse punito esageratamente, lui ha graziosamente concesso che l’imputato non è adatto a fare da giudice (la collaborazione di Toobin con la Cnn è in quanto esperto di faccende legali) e poi, in pieno spirito postmoderno, ha deciso che più esecrabile di chi l’ha licenziato fosse chi ha riso di lui.
Ha buttato lì mezza frase sul Saturday Night Live che aveva fatto ben due sketch su di lui e insomma non sarà un’esagerazione. Per la precisione erano due tranche di trenta secondi l’una, e a me sono parse invero pochine: se scrivessi un programma comico e un tizio della tv venisse licenziato perché si fa una sega durante una riunione, ne farei il tema dell’intera stagione.
Ma soprattutto si è impettito quando la Camerota gli ha ricordato che persino OJ Simpson aveva osato irriderlo su Twitter (OJ era seduto sulla riva del fiume da quando Toobin scrisse un libro sul suo processo).
Mio padre, ha detto Toobin con la pomposità con cui si cita il calendario di Frate Indovino, diceva che un uomo si riconosce dai suoi nemici. Se il mio nemico è OJ Simpson, ha concluso orgoglioso di non si sa bene cosa, per me va benissimo. Credo che il sottotesto fosse «meglio rei confessi di sega in teleconferenza che assolti da accusa d’omicidio col mondo intero che comunque ti ritiene colpevole». O forse era «molti nemici, molto onore»: magari sull’atlantico è un motto meno impresentabile che sul mediterraneo.