Ogni giorno la Uefa trova un modo per far parlare di sé. E raramente sono buone notizie. Stavolta Aleksander Čeferin che guida l’organismo di governo del calcio europeo ha attirato l’attenzione per aver minacciato il governo britannico: in ballo ci sono semifinali e finali degli Europei, attualmente previste per 6, 7 e 11 luglio, sotto l’arco di Wembley.
Nyon si è rivolta a Londra per rivedere la sua politica riguardo il periodo di quarantena che deve osservare chi arriva nel Regno Unito: a oggi è previsto un autoisolamento di 10 giorni, ma la Uefa non è d’accordo.
Come riportato dal Times in prima pagina, l’ente organizzatore di Euro 2020 vorrebbe rimuovere questa limitazione almeno per i 2.500 ospiti Vip previsti per la finale di Wembley – si tratta di dirigenti Uefa e Fifa, di sponsor, manager e giornalisti: a loro dovrebbe essere concesso il lusso di non rispettare le restrizioni di quarantena imposte agli altri viaggiatori. E come se non bastasse, si tratta di spettatori che dovrebbero avere accesso non solo allo stadio, ma anche alle sessioni di allenamento e agli incontri con alcuni politici del Regno Unito.
Quella della Uefa sembra la classica offerta che non si può rifiutare: l’alternativa è veder spostare le ultime partite di Euro 2020 – sicuramente la finale, forse anche le due semifinali – in Ungheria, dal fidato di Viktor Orbán, che in queste settimane è diventato il miglior alleato di Aleksander Ceferin: alla Puskás Aréna ormai entrano stabilmente 65mila persone, senza nessuna forma di distanziamento, senza mascherine, senza altre misure di sicurezza. Mentre al momento per semifinali e finale Londra prevede una capienza al 50% di Wembley.
Allora dopo che Boris Johnson ha fatto di tutto per accogliere la finale nella capitale inglese, il governo britannico fa sapere che i ministri stanno valutando l’opportunità di esentare i 2.500 Vip dalla quarantena.
Il punto è che per Downing Street questa mossa rappresenterebbe un doppio rischio: dal punto di vista sanitario c’è ovviamente la possibilità di causare aumento della diffusione del virus in un momento delicato per tutto il Paese e per il continente; in termini politici e sociali potrebbe invece portare con sé polemiche da parte dei cittadini britannici, viste le norme ancora in vigore che limitano i movimenti.
Sembra una riedizione di quanto già accaduto circa un mese fa con la sede della finale di Champions League. Inizialmente era prevista a Istanbul, ma la precaria situazione sanitaria che avrebbe impedito ai tifosi di Chelsea e Manchester City di viaggiare, la Uefa ha deciso di spostare la finale.
Proprio Wembley era stata valutata come prima opzione: una partita tra due squadre inglesi che assegna il trofeo europeo più importante, giocata nello stadio più prestigioso del Regno Unito, sarebbe il miglior ringraziamento possibile da parte di Aleksander Ceferin e della Uefa al primo ministro Boris Johnson che ha avuto un ruolo decisivo nel dissuadere i club inglesi dalla partecipazione alla Superlega.
Ma quando il governo britannico aveva fatto capire di non poter garantire una percentuale di riempimento troppo ampia, da Nyon hanno deciso di portare la partita più importante dell’anno a livello di club a Lisbona. «L’organo di governo del calcio europeo ritiene che in Portogallo sarà più facile ottenere l’accesso per sponsor ed emittenti, che invece dovrebbero essere rimborsati se non fossero in grado di assistere alla partita», scriveva il New York Times in quei giorni.
Linkiesta ha raccontato anche un episodio molto simile connesso agli Europei: Bilbao e Dublino hanno perso la possibilità di ospitare le partite a poche settimane dal via, e i motivi, in entrambi i casi, sono legati al Covid e alle restrizioni per il pubblico che Nyon proprio non tollera.
Addirittura, nel caso di Bilbao, la Uefa aveva chiesto all’amministrazione cittadina di autorizzare, nelle aree Vip, libertà totale da mascherine e distanziamento, proponendo anche di aumentare la capacità consentita al 50%, suggerendo di superare a destra le restrizioni per motivi sanitari: «La Uefa – aveva detto l’assessore allo sviluppo economico della città basca, Xabier Ochandiano – non condivideva l’idea che l’ingresso del pubblico dipendesse dalle condizioni igienico-sanitarie. E poi hanno detto che senza pubblico Bilbao non sarebbe stata sede degli Europei, e che la situazione sanitaria non aveva importanza».