Enjoy CeferinLo stolto guarda Ronaldo che nasconde la Coca Cola, il saggio vede le ragioni della Superlega

Il campione portoghese ha tolto dall’inquadratura le bottiglie di uno degli sponsor di Euro 2020, invitando tutti a bere acqua. Un gesto simile lo hanno fatto anche Pogba e Locatelli, ricordandoci che nel mondo della Uefa gli accordi economici sono tutti dell’organizzatore e chi produce ricchezza resta fuori dalle trattative

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Prima Cristiano Ronaldo con la Coca Cola, poi Pogba con l’Heineken, e Locatelli di nuovo con la Coca Cola. La giocata più ripetuta degli Europei al momento si fa fuori dal campo, in conferenza stampa: i protagonisti entrano in sala, salutano i giornalisti, spostano dall’inquadratura una bibita a scelta tra gli sponsor di Euro 2020.

Qualcuno ha anche provato a quantificare la perdita della Coca Cola dopo il gesto di CR7 – prima di quello di Locatelli, che sicuramente ha un peso inferiore – cercando un segnale nel calo repentino del prezzo della azioni per la società di Atlanta: Coca Cola ha perso l’1,6% dopo il passaggio del portoghese in sala stampa, sono circa 4 miliardi di dollari.

Evidentemente nessuno ha pensato alla locuzione “Post hoc ergo propter hoc”: la conseguenza temporale non implica necessariamente causalità tra due eventi.

Nel frattempo si discute soprattutto di due temi legati all’economia del calcio. Il primo è quello dell’opportunità, per un calciatore, di prendere un’iniziativa di questo tipo di fronte a contratti multimilionari tra la Uefa e gli sponsor. Il secondo riguarda il modello di business della Uefa, che era anche il tema messo sul tavolo da chi non molto tempo fa aveva presentato al mondo la Superlega.

I calciatori che arrivano in conferenza stampa non avrebbero nessun obbligo di fronte ai brand. Anzi, stelle come Cristiano Ronaldo e Paul Pogba sono vere e proprie aziende, con un un’identità, un target di consumatori, una loro riconoscibilità: se ritengono che una bevanda nell’inquadratura li danneggi evidentemente avranno le loro ragioni nel rimuoverla.

«Per Ronaldo l’immagine è un asset, quindi a meno di accordi particolari che non conosciamo con la federazione o con la Uefa è assolutamente libero di non associare il suo volto a un determinato brand. Anche se gli organizzatori del torneo vogliono dire il contrario», dice a Linkiesta Guido Martinelli, avvocato specializzato in diritto sportivo.

«Nel caso delle squadre di club, invece nella maggior parte dei casi le società possono usare i giocatori come testimonial perché c’è una cessione dei diritti d’immagine, o almeno una quota, nei contratti di lavoro. Ma con la Uefa non c’è alcun accordo con cessione di diritto d’immagine per i giocatori», spiega Martinelli.

Difficilmente quindi si potrà chiedere a Ronaldo di cambiare atteggiamento, almeno fin quando non subentreranno obblighi contrattuali diversi, tanto che queste scene non si vedono mai nei campionati per club dove gli sponsor contribuiscono a pagare i favolosi stipendi dei calciatori. «Le federazioni nazionali obbligano i giocatori a rispettare determinati requisiti, come partecipare alle conferenze stampa e indossare la divisa corretta. Ma nulla regola questo particolare dettaglio nella vicenda con Coca-Cola. Per questo un’azione disciplinare contro Cristiano Ronaldo sembra improbabile. Anzi, una multa non danneggerebbe il calciatore, ma potrebbe mettere in cattiva luce l’azienda», aggiunge Bloomberg.

Ma la questione è il modello di business della Uefa, messo in discussione dai club della Superlega. C’è, infatti, una contraddizione di fondo: chi produce ricchezza sono i calciatori e  le squadre, ma gli accordi commerciali sono tra l’Uefa e i brand.

La torta di Euro 2020 è un business da almeno due miliardi euro, forse tre, anche se le cifre ufficiali – non ancora diffuse – potrebbero essere molto più alte. Quel valore esiste soprattutto grazie ai protagonisti, quindi a Cristiano Ronaldo, Pogba, Locatelli, e ovviamente Mbappè e Lukaku, Neuer e Lewandowski.

La grande parte di quei ricavi, però, finisce nelle casse della Uefa, guidata da Ceferin. Le 24 squadre prenderanno 9,25 milioni per la partecipazione, mentre la vincitrice potrebbe arrivare fino a 28 milioni. Poi ci sono ovviamente le spese e i costi dell’organizzazione, ma il grosso finisce a Nyon (sede della Uefa).

Un vecchio articolo di Calcio e Finanza ad esempio ricorda come cinque anni fa, per gli Europei del 2016, il montepremi totale fu di 301 milioni e il fatturato totale di 1,93 miliardi di euro. «I costi si sono assestati poco sopra il miliardo di euro, a quota 1,1 per la precisione: 650 milioni per l’organizzazione, 301 per i premi alle squadre e 150 milioni ai club per aver rilasciato i giocatori durante torneo e qualificazioni», si legge nell’articolo, portando all’organizzazione un utile di oltre 830 milioni di euro.

Vale più o meno lo stesso con la Champions League, sempre un prodotto Uefa. In quel caso la percentuale distribuita ai 32 club partecipanti è leggermente più alta. Ma il discorso di fondo è sempre lo stesso.

La contraddizione è quella che avevano sottolineato Florentino Perez, Andrea Agnelli e tutti i presidenti che avevano – e hanno – in programma l’organizzazione della Superlega: l’organo di governo del calcio europeo organizza le varie competizioni – Champions League, Europei, Nations League – incassa da sponsor e diritti tv, e decide come a a chi distribuirli. Calciatori e società sono i protagonisti, l’organizzatore dovrebbe fare solo da cornice, stare sullo sfondo, invece ha tutto il potere decisionale e mette in cassa milioni su milioni in ricavi.

Il modello economico che avevano provato a portare i club fondatori della Superlega nasce invece da altri principi. L’aveva spiegato in un’intervista a Le Parisien, il segretario generale della Super League Anas Laghrari: «Vogliamo creare un business stabile grazie alla fan base delle 12 squadre. Il calcio oggi non fa guadagnare soldi, c’è frustrazione per un sistema instabile basato sui risultati dei club in Champions che possono creare delle differenze di centinaia di milioni rispetto alle previsioni pluriennali. La nuova competizione garantirà circa 300 milioni ai club fondatori, ma ci sarà anche un fondo per il resto dei club esclusi di 400 milioni: è enorme se si pensa che l’Uefa distribuisce 130 milioni a 54 federazioni».

Cristiano Ronaldo, Pogba, Locatelli, involontariamente ci hanno ricordato ancora una volta che attualmente il sistema economico dell’industria calcistica non premia chi produce ricchezza, chi attira pubblico, spettatori, sponsor (quindi soldi), ma chi ha tutto il potere di stipulare accordi e di decidere la distribuzione dei ricavi.