Ciascuno è libero di pensarla come vuole, nei limiti delle conoscenze a disposizione, su chi abbia fatto meglio nel contrasto della pandemia: se il governo che per un anno ha tenuto stabilmente l’Italia ai primi posti nella classifica mondiale dei paesi con più morti per Covid (pur essendo l’Italia ben lontana dal figurare tra i paesi più popolati del mondo) o il governo che in pochi mesi, dopo avere immediatamente allontanato i precedenti responsabili della campagna di vaccinazione e averne affidato la direzione al generale Figliuolo, ha fatto crollare il tasso di contagio, e pertanto tutte le cifre relative alle conseguenze dei contagi.
Sarà stato merito dell’estate, o del governo precedente che aveva già fatto il grosso del lavoro, o perlomeno l’aveva impostato, o comunque l’aveva pensato: fate voi. Ciascuno è libero di sostenere che in fondo si stava meglio quando si stava peggio. C’è chi lo fa da quasi ottant’anni, che volete che sia uno più o uno meno.
Il punto è che la radicalizzazione dello scontro, quando arriva agli estremi rappresentati ad esempio dalla prima pagina del Fatto di ieri – «Camilla, vittima n.1, chi chiede scusa?» – finisce per rendere assai complicata la posizione di chi aspira a tenere insieme tutto e il contrario di tutto, facendo pure finta di niente.
Parlo ovviamente dell’attuale vertice del Partito democratico, che vorrebbe presentarsi come il principale sostenitore del governo Draghi e al tempo stesso come il migliore alleato di quelli che intanto, a Draghi, dopo avergli dato poco meno che del golpista, cominciano a dargli poco meno che dello stragista. Dove «quelli», in verità, non sono soltanto gli esponenti del Movimento 5 stelle, ma anche i numerosi nostalgici del contismo ancora presenti nel Pd e in Leu, e forse ancora più numerosi tra gli ospiti fissi dei salotti televisivi.
A mano a mano che la campagna contro il governo assume tratti sempre più macabri e virulenti, infatti, è inevitabile che la posizione del Partito democratico si faccia insostenibile.
Come se non bastasse, giusto ieri Giuseppe Conte e Beppe Grillo sono andati a trovare l’ambasciatore cinese, proprio nel momento in cui Mario Draghi si trovava al G7 che dovrebbe riaffermare, su sollecitazione del nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, una nuova unità tra le democrazie occidentali di fronte alla sfida egemonica di Cina e Russia. Un passo, da parte di un ex presidente del Consiglio, di cui bisogna pensare sia sfuggito il significato allo stesso Conte, il che certo non farebbe onore alla sua intelligenza, perché in caso contrario si dovrebbe concluderne che l’attuale maggioranza ha praticamente i giorni contati, e il Movimento 5 stelle si appresta a uscirne (evidentemente all’ultimo minuto dev’essersene reso conto, giacché si è sfilato adducendo «motivi personali»).
Come è noto, infatti, un governo può ospitare in sé molte contraddizioni e contrasti, ma non può avere due politiche estere e due diverse visioni della collocazione del paese nel quadro delle alleanze internazionali. Per quanto ancora potrà proseguire, pertanto, l’imbarazzato silenzio del Pd?
Prima di discutere di alleanze, coalizioni e federazioni, bisognerebbe chiarirsi le idee su cosa si voglia fare e dove si voglia andare, perché le analisi politiche fondate sulla somma algebrica dei sondaggi sono per definizione una moltiplicazione della fuffa – fuffa al quadrato, per essere esatti – ma a poche settimane dall’inizio del semestre bianco, dunque sapendo che non si voterà prima dell’anno prossimo, sono fuffa al cubo.