È stata una lunga corsa, interrotta solo all’ultima curva. Berrettini si arrende in finale per 3-1 (6-7, 6-4, 6-4, 6-3) contro il numero uno al mondo, dopo aver strappato al tie-break il primo set.
Il sogno italiano di trionfare nel torneo più prestigioso è svanito di fronte a un fenomeno che ha appena messo in bacheca il ventesimo Slam – record assoluto a pari merito con Nadal e Federer – e il sesto titolo di Wimbledon.
C’è stato un momento che probabilmente ha rappresentato il vero turning point della finale. Primo game del secondo set, punteggio sul 40-15. Berrettini avrebbe due occasioni per andare avanti, dopo aver vinto il primo set. Ma nulla da fare. Una volée di rovescio, un diritto a incrociare nell’angolo lontano, un errore gratuito di Berrettini, un altro punto di volo molto comodo e break per Nole.
Djokovic è salito di colpi nel momento del bisogno, ha iniziato a calcolare qualunque opzione possibile, come un computer di nuova generazione. È diventato quasi imbattibile.
Quasi. Perché Berrettini non ha mai ceduto del tutto, è stato eccellente nei turni al servizio – pur non mettendo molte prime: 60% in campo – e ha battagliato su ogni punto per provare a strappare qualche break e rimanere in partita. Non è bastato, non poteva bastare. Nemmeno per una delle versioni migliori del 25enne romano.
Berrettini era arrivato in grande condizione alla finale. Ha vinto tantissime partite sull’erba nel 2021, ha trionfato nel Queen’s – che è spesso di buon auspicio in vista del torneo più importante – e si è fatto strada turno dopo turno nel tabellone di Wimbledon fino all’ultimo atto.
Qui ha trovato un campione assoluto a sbarrargli la strada. In questa fase della carriera, Djokovic è ingiocabile: copre il campo come nessun altro, la sua difesa è impenetrabile, scivola sull’erba come Nadal sulla terra rossa. Berrettini ha sempre dovuto cercare e tirare un vincente più del solito per portare a casa ogni singolo punto, e il campo è sembrato sempre troppo piccolo.
Djokovic in queste partite è un androide che raggiunge tutte le palline, anche quelle degli scambi che sarebbero già chiusi, e le rimanda di là trovando spesso angoli e profondità.
L’avevamo già visto nella semifinale contro Shapovalov, si è ripetuto sul prato del Centre Court: nelle difficoltà, Nole ingrana un paio di marce. Per ogni punto, ogni scambio, ogni singolo colpo sembra ignorare il coefficiente di difficoltà: è sempre in grado di salire di un livello, fino ad arrivare così in alto da risultare irraggiungibile per il suo avversario.
È per questo che la sconfitta in finale a Wimbledon contro il numero uno non può portare con sé dei rimpianti: deve essere considerata il coronamento di un percorso brillante, un traguardo non scontato.
L’edizione 2021 era solo la terza partecipazione di Berrettini a Wimbledon. E raggiungere la finale «non era neanche un sogno, perché era troppo anche per immaginarlo», aveva detto lo stesso Berrettini prima della partita.
Quella del tennista romano è stata un’ascesa silenziosa, frutto di un lavoro che parte da lontano. Merito dell’impegno del coach Vincenzo Santopadre, che ha visto in lui un giocatore in grado rompere gli schemi del tipico tennista italiano, invitandolo a ricercare un gioco meno conservativo rispetto alla tradizione nostrana e forzare più colpi vincenti e scambi più brevi.
C’è voluto un po’ per capire fino in fondo come valorizzare al meglio un corpo lungo e potente come quello di Berrettini, ma oggi è assolutamente e meritatamente nella top 10 del tennis globale: è un late bloomer, un ragazzo maturato in ritardo rispetto alla precocità con cui si affacciano ai grandi palcoscenici i veri campioni.
Con Santopadre, Berrettini ha costruito, studiato, lavorato per nascondere i suoi difetti ed esaltare i suoi pregi, rendendoli un’arma letale. Oggi, a 25 anni, Berrettini è un tennista completo, in grado di competere ai massimi livelli su tutte le superfici, contro qualunque avversario: un’anomalia per il tennis italiano che ha visto per la prima volta un giocatore in finale a Wimbledon, ed è tornato ad avere un finalista in uno Slam dopo 45 anni (Adriano Panatta nel 1976)
Con la finale di Wimbledon Berrettini ha dimostrato, una volta di più, di meritare un posto nell’élite. L’esultanza di Djokovic, che a fine partita ha anche assaggiato un filo d’erba del Centrale, non è solo per un’impresa storica che a oggi sembra l’ennesimo di tanti record dello sport impossibili da replicare e superare. Ma anche per la soddisfazione di aver battuto uno degli avversari più forti che potesse incontrare.