La finale degli Europei di calcio sarà una partita tra le due nazionali più simili a squadre di club. Potrebbe non essere una casualità: la forza di Italia e Inghilterra a Euro 2020 nasce proprio dal loro essere squadre estremamente solide, riconoscibili, come se lavorassero insieme da tutta una stagione e non solamente da un mese.
Roberto Mancini e Gareth Southgate sono diventati commissari tecnici rispettivamente nel 2018 e nel 2016. E da quel momento hanno lavorato, nel poco tempo a disposizione con i giocatori, per sviluppare la loro idea di gioco, con un gruppo compatto, unito, proprio come in una squadra di club.
Non è un discorso di stile di gioco, di approccio offensivo o difensivo. Si tratta di costruire un’identità che possa caratterizzare la squadra contro ogni avversario, ovviamente esaltando le doti dei migliori talenti a disposizione ma senza derogare più di tanto ad alcuni principi chiave.
Alla vigilia degli Europei ne avevamo parlato a proposito degli Azzurri: «Mancini – scrivevamo quattro settimane fa – ha costruito la sua squadra partendo dall’idea di valorizzare il gruppo e il sistema di gioco, e per questo ha puntato fin dall’inizio su uno zoccolo duro di giocatori che sono stati convocati praticamente sempre, allargando la platea un po’ per volta, senza strappi». L’idea, dunque, è sempre stata quella di creare un gruppo allargato ma unito, per fare in modo che ogni elemento della rosa conoscesse il suo ruolo in squadra, i compagni, il modulo e il sistema di gioco.
Anche il fatto che in questa nazionale non ci siano blocchi di una singola squadra di club è indicativo: di solito i ct scelgono gruppi di giocatori – magari dello stesso reparto – provenienti da un solo club per avere un vantaggio sull’affiatamento e il gioco di squadra.
Lo ha detto anche qualche giorno fa il terzino destro Giovanni Di Lorenzo, parlando ai canali ufficiali della Uefa: «Gran parte del nostro merito va al mister, che ha creato un gruppo in cui remano tutti dalla stessa parte. La nostra sembra una squadra di club più che una nazionale, e abbiamo dimostrato che quando c’è da soffrire lo facciamo tutti insieme senza problemi».
Gli stessi argomenti possono essere riproposti, con i dovuti accorgimenti, anche per l’Inghilterra, il cui progetto parte da più lontano e ha radici più profonde di quello azzurro: se la Nazionale di Mancini ha il suo punto zero in quella data di maggio in cui il tecnico di Jesi è diventato ct, Southgate non solo ha avuto a disposizione circa due anni di più, ma precedentemente aveva lavorato con l’Under-21 e come dirigente della federazione inglese.
Southgate non è solo il selezionatore della formazione inglese, è il vero demiurgo della nazionale dei Tre Leoni: è l’uomo che ha fatto da collante e da ideologo nella tradizione del football britannico da gioco fisico e intenso a un gioco più cerebrale e ragionato, che poi è quello che si vede in campo oggi con Kane, Mount e compagni.
A gennaio 2011 Southgate è stato nominato capo dello sviluppo d’élite della Football Association (la federcalcio inglese) e nel 2013 è diventato ct dell’Under-21. Tre anni dopo sarebbe arrivato alla Nazionale maggiore con il successo e il consenso che ha ancora adesso.
La sua idea di calcio basato sul palleggio, su una squadra flessibile e rapida nei movimenti collettivi è alla base della nuova FA. Fin da quand’era dirigente, Southgate ha sempre sottolineato l’importanza, per il calcio inglese, di assorbire altri stili e altre culture, da mescolare con la tradizione british per migliorarla.
Il lavoro di Southgate, quindi, è simile a quello di un’alchimista che deve trovare il giusto equilibrio tra le componenti, nello sviluppo dei giocatori, poi nelle convocazioni, infine nella scelta degli undici da mandare in campo.
Puntualmente il ct inglese tiene fuori un gruppetto di giocatori che potrebbe essere titolare in qualsiasi nazionale: ultimamente gli esclusi sono Foden, Sancho, Rashford, con Grealish a prendersi una scarsa mezz’ora di campo. Ma l’Inghilterra ha costruito la sua forza su un sistema di gioco che ha bisogno di avere in mezzo al campo almeno un equilibratore come Declan Rice e un centrocampista di palleggio come Kalvin Philips: non c’è spazio per altri incursori o rifinitori o attaccanti.
«Bisogna sempre cercare un equilibrio. In questo momento abbiamo giovani talenti straordinari, con un futuro meraviglioso. Allo stesso tempo, bisogna mantenere una spina dorsale di leader con esperienza. Credo che la nostra squadra abbia trovato una giusta sintesi, da questo punto di vista. Remiamo tutti dalla stessa parte. Tutti cerchiamo lo stesso obiettivo», ha detto in un’interivsta recente Harry Maguire, leader difensivo dei Tre Leoni.
A questa idea di gioco si aggiunge la capacità di gestione di un gruppo che va oltre il periodo in cui ci si allena come nazionale. «Southgate è uno che ti parla molto, ti messaggia spesso, è sempre al tuo fianco, e ti fa crescere con la sua esperienza», ha aggiunto Maguire.
Inghilterra e Italia hanno avuto coraggio, sono andate contro la loro tradizione, hanno aperto dei cicli nuovi – in maniera diversa, con tempistiche diverse – come se fossero squadre di club e non nazionali.
I loro risultati, indipendentemente da come andrà la finale di Wembley, fanno immaginare che in futuro anche altre federazioni potranno ricercare un approccio simile per le loro rappresentative. Come ha suggerito l’ex capitano della Germania Philipp Lahm in un articolo di commento sul Guardian: «Southgate e Mancini hanno dato l’esempio. Hanno sviluppato uno stile adatto al loro Paese e ai giocatori a disposizione. Hanno creato un’identità». E oggi rappresentano il meglio che l’Europa ha da offrire.