Ho una modesta proposta, me l’hanno fatta venire in mente le reazioni inglesi alla sconfitta nella finale degli Europei, e se vi scocciate a leggere l’intero articolo ve la metto qui subito: forse i Vangeli vanno riscritti.
È accaduto – mi dicono – che l’Inghilterra abbia perso contro l’Italia ai rigori, e che tra coloro che hanno sbagliato i rigori inglesi ci fossero tre giocatori neri. Il che credevo non fosse una notizia: l’Inghilterra non è il paese più integrato che si sia mai visto? Mi sbagliavo, o forse dipende da quel problema nel revisionismo dei Vangeli.
È accaduto infatti – se n’è accorto il Daily Mail, uno di quei tabloid che noi editorialisti perbene disprezziamo prima e dopo i pasti, salvo passare il resto della giornata a saccheggiarli – che, sull’Instagram di Bukayo Saka, il cui rigore è stato parato facendo perdere all’Inghilterra la partita, siano arrivati i soliti intellettuali a dirgli vattene dal nostro paese, torna in Nigeria, e altre amenità.
Ci sono molti filoni di dibattito che si potrebbero aprire a partire da questo fattarello.
Uno è che nessuno che lasci commenti sui social di qualcuno che non conosce è sano di mente. Sì, Linkiesta ha i suoi canali social, e tanto per farmi benvolere dirò che questa valutazione non esclude coloro che scriveranno «genio» e altre iperboli sotto il link di questo articolo (sui miei canali social non potranno scriverlo perché io chiudo preventivamente i commenti, anche se so bene ch’essi sono una valvola che, se fosse esistita nel 1980, avrebbe permesso a Mark David Chapman di sfogarsi e a John Lennon d’invecchiare sereno).
Un altro è che certo, il tifoso di calcio non è la categoria più sveglia in circolazione, e nessuno s’aspetta che vada sui social d’un calciatore a parlare delle tesi di Wittenberg, e tuttavia, forse, se la prima cosa che ti viene da dire a un calciatore che sbaglia il rigore non è «sei una pippa» o «con quel che ti pagano», ma «tu che sei nero», forse, ecco, non vorrei esagerare ma magari la tua scemenza una piccola sfumatura razzista ce l’ha.
Il discorso che più m’interessa, però, è il terzo, quello che riguarda Andrea Duncombe. In “Incompreso”, un film di cinquantacinque anni fa (tratto da un romanzo inglese di cent’anni prima), Andrea era il primogenito d’un vedovo che gli preferiva il fratellino. Per una ragione del tutto ragionevole: il fratello piccolo apparentemente non creava alcun problema, Andrea era apparentemente un bambino difficile. In realtà Andrea voleva solo essere amato, come tutti i fidanzati stronzi delle nostre giovinezze, ma non divaghiamo.
Quel che è importante è che il ragazzino incompreso ribaltava quella parabola che cita chiunque abbia frequentato per mezz’ora il catechismo alle elementari: quella del figliol prodigo.
Il figliol prodigo, lo sapete perché quella mezz’ora l’avete frequentata, era quello che si faceva i cazzi suoi e, quando tornava a casa, il padre invece di prenderlo a coppini ammazzava il vitello grasso (io a catechismo mica capivo che voleva dire che gli serviva una cena prelibata per festeggiarne il ritorno: pensavo fosse uno strano rituale macabro; probabilmente una bambina d’oggi penserebbe alla grassofobia, per fortuna a noi quel tic lessicale veniva risparmiato).
Ora, a me pare chiaro che la più insidiosa sfumatura della questione razziale nel ventunesimo secolo sia – come tutto – una sfumatura di classe.
Certo che non abbiamo niente in contrario al tuo essere nero, ma se sei un fenomeno di non si sa bene quale settore ma assai monetizzabile, come Khaby Lame.
Certo che non abbiamo niente in contrario al tuo essere nero, ma se sei un figo incontrovertibile, come Barack Obama.
Certo che non abbiamo niente in contrario al tuo essere nera, ma se sei una macchina da soldi, come Beyoncé, come Naomi, come Lupita.
Se invece sbagli il rigore, se sei imperfetto, se sei fallace, se sei umano, ci ricordiamo improvvisamente che sei nero. E il nostro ricordarcene, giacché siamo un’epoca in cui gli intellettualmente inattrezzati possono diffondere le proprie parole esattamente come i grandi pensatori, e un commento su Instagram vale quanto un saggio della Pléiade, non sfoga mai nel dirti che cosa non ci piace di quel che fai: sfoga nel rinfacciarti il colore di pelle che hai.
In un “Incompreso” di oggi, Andrea sarebbe il bambino nero adottato prima di riuscire ad averne uno biologicamente proprio, da genitori medi riflessivi che però, è più forte di loro, dal bambino nero pretendono una perfezione che non chiedono mai al frutto dei loro lombi.
E quindi, ho una modesta proposta. Lo so che l’istanza che va di moda è quella che ricorda ai bianchi che Gesù Cristo non era certo bianco: «Quando volevano confondersi tra la folla andarono in Palestina, mica in Danimarca», ha detto l’anno scorso un sagace rappresentante di Black Lives Matter, chiedendo che venisse rimossa l’iconografia che rappresenta Gesù come bianco.
Ma mi pare un’istanza inutile: alla parte bianca d’occidente non serve sapere che uno che si comportava benissimo era non bianco. Le serve abituarsi all’idea che i neri possano sbagliare e i loro sbagli – siano sul campo di calcio o altrove – venire accolti come quelli di gente più chiara di pelle.
Ho una modesta proposta: riscriviamo il Vangelo, specificando che il figliol prodigo era nero. Magari facciamo tutt’un pacchetto, mettiamoci pure la Maddalena. Non credo tantissimo nelle opere di fantasia come modelli comportamentali, ma sono disposta a ricredermi, e comunque un tentativo male non fa. Mi pare più utile che cambiare finale alla Carmen per non renderla un’opera in cui s’ammazza una donna (i teatri lirici sono assai meno frequentati dei testi sacri): prendere un libro pieno di peccatori, e dire che erano tutti neri. Tutti col numero dieci sulla schiena, e poi sbagliavano i rigori