Divisione dei beni Ecco perché frazionare le dosi potrebbe velocizzare la campagna di vaccinazione globale

Secondo alcuni studi in corso d’opera o in attesa di ufficializzazione, ridurre il dosaggio di un’iniezione al 50 o al 25% potrebbe creare comunque un livello di immunizzazione sufficiente per sconfiggere il virus. Senza contare che diminuendo l’utilizzo delle fiale avremmo già potuto vaccinare la popolazione adulta mondiale

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Il divario è chiaro e allarmante: più della metà della popolazione del Regno Unito è completamente vaccinata, mentre con una popolazione grande circa la metà dell’Inghilterra, il Camerun, secondo Our World in Data, ha somministrato solo 160.000 dosi di vaccino.

Come intervenire per restringere questo gap e accelerare la campagna di vaccinazione a livello mondiale? Secondo un articolo del Financial Times a più di sei mesi dall’inizio, meno di un quarto delle persone in tutto il mondo ha ricevuto almeno una singola dose di vaccino. «Non c’è da meravigliarsi se siano già morte di Covid nel 2021 più persone di quante ne siano morte nel 2020», scrive il quotidiano.

Quindi cosa si può fare? Si è parlato molto dell’equità nelle forniture dei vaccini, ma il problema principale non è la disponibilità di dosi o l’aumento dei prezzi: il vero ostacolo è infatti quello della produzione su larga scala. «Le case farmaceutiche non possono fare le dosi abbastanza velocemente», chiarisce l’articolo.

Se fosse possibile, un paese come l’India (che ospita migliaia di aziende chimiche-farmaceutiche) avrebbe già vaccinato completamente più del 5 o 6 per cento della sua popolazione. Ma invece non è così.

Detto questo, la produzione globale è stata in netta crescita: «Secondo Airfinity, una società di analisi delle scienze della vita, già il 12 aprile è stato raggiunto il record di produzione del miliardo di dosi. Un miliardo in più è stato prodotto entro il 26 maggio e il terzo miliardo entro il 22 giugno», si legge ancora.

Tuttavia, per vaccinare completamente il 70% del mondo servono 11 miliardi di dosi. Qui nasce un’idea, forse ingenua per quanto magari efficace. «Se riduciamo le dosi, possiamo vaccinare più persone con ogni fiala di vaccino. Perché non dare alle persone mezze dosi? E le dosi da un quarto? Con un quarto di dose avremmo già potuto vaccinare la popolazione adulta mondiale», spiega il Ft.

L’idea sembra assurda, ma non priva di fondamento. Cinque anni fa, nella Repubblica Democratica del Congo per sopperire alla carenza di vaccini di fronte a un’epidemia di febbre gialla, sette milioni di persone hanno ricevuto un quinto di dose ciascuno. La strategia, sostenuta dall’OMS, ha funzionato.

A supporto di questa ipotesi ci sono poi Alex Tabarrok, professore alla George Mason University, che ha promosso per diversi mesi l’idea di regimi di dosaggio alternativi. Insieme a lui e ad altri ricercatori, l’economista premio Nobel Michael Kremer ha pubblicato uno studio al riguardo.

Infine, su Nature Medicine è stata pubblicata una lettera, scritta dagli epidemiologi Benjamin Cowling e Wey Wen Lim e da una specialista dell’evoluzione dei virus Sarah Cobey, che sostiene per l’appunto la sperimentazione di dosi frazionate.

Quali prove ci sono che le vaccinazioni a basso dosaggio potrebbero funzionare anche per il Covid? «Da studi clinici su vasta scala, non molte. Anche se c’è stata la scoperta fortuita che il vaccino Oxford/AstraZeneca sembra funzionare meglio quando la prima iniezione si limita a una mezza dose. D’altro canto però ci sono anche molti dati sui livelli di anticorpi che le persone producono in risposta a piccole dosi e, secondo un recente articolo su Nature Medicine di David Khoury e alcuni colleghi, quegli anticorpi sono fortemente essenziali per una protezione totale contro il Covid», si legge.

Dal fronte delle iniezioni alternative si sottolinea però che se i livelli anticorpali sono davvero una buona misura di protezione, allora i vaccini mRNA (BioNTech/Pfizer e Moderna) possono proteggere – così come il vaccino AstraZeneca – anche se vengono distribuiti a due terzi, 50 per cento o anche 25 per cento di forza.

«Un recente rapporto preliminare (ancora da esaminare adeguatamente) rileva anche che un ciclo di due dosi del vaccino di Moderna al 25% di forza produce una risposta anticorpale tale da combattere ad armi pari il virus Covid. Una sperimentazione è invece in corso in Belgio per esplorare dosi alternative del vaccino Pfizer, mentre Moderna ha affermato che sta anche studiando dosi più basse», scrive il quotidiano britannico.

Insomma, il giusto dosaggio è ancora al centro di sperimentazioni e ricerche, ma sopratutto di incertezze. Perché? Tutti i vaccini anti-Covid sono stati sviluppati a grande velocità, e la dose completa – fino a pochi mesi fa – sembrava la unica soluzione adottabile. Melissa Moore, direttore scientifico di Moderna, ha riconosciuto però che è plausibile «che arriveremo a considerare le dosi attuali come inutilmente alte». Questo non vuol dire che dovremmo abbandonare le dosi standard, che sono state provate e testate in ampi studi clinici. Ma suggerisce che dovremmo testare immediatamente le alternative.

Dove sta l’aspetto negativo in un frazionamento delle dosi? Pensiamo all’iter attuale: se la prima iniezione di vaccino a basso dosaggio non funziona, il richiamo dovrebbero essere in grado di risolvere il problema. Più complicato è invece lo scenario per cui un ampio pool di persone a basso dosaggio possa spingere il virus a evolvere verso una resistenza ai vaccini.

Sarah Cobey riconosce questo rischio, ma sostiene sul Ft «che se le dosi frazionate aiutano a ridurre il numero di persone infette, ciò dà al virus meno opportunità di mutare». Anche qui, rimaniamo su un terreno di ipotesi e non di chiarezza. Mentre ciò che è chiaro è che milioni di vite potrebbero essere salvate se si dimostrasse che, invece, i vaccini a dose frazionata funzionano.

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