Carlo Fuortes molto probabilmente è il miglior organizzatore culturale che c’è in Italia. Scegliendo lui come amministratore delegato della Rai, Mario Draghi ha lanciato un messaggio preciso: il problema del servizio pubblico non è solo e tanto di conti in rosso quanto una questione di qualità del prodotto, e dunque più che un uomo dei bilanci a posto (tutte le voci andavano in questo senso in quello che è stato un fantastico depistaggio di palazzo Chigi) a viale Mazzini serve uno che metta testa, competenza e sensibilità per restituire finalmente al servizio pubblico un ruolo di prestigio e di consenso, che è poi la precondizione per rimettere in piedi i bilanci.
Una scelta dunque raffinata, quella del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia Daniele Franco, che sotto il profilo della qualità si riconnette in qualche modo alla lontana scelta del 1996 di Enzo Siciliano presidente dell’azienda ma, c’è da credere, con molto maggiore senso pratico. Perché Fuortes ha un curriculum di gestione manageriale lungo così. Da ultimo, è stato (è) un grande Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma, mai così innalzato ai fasti della grande stagione musicale ed è al vertice di molte istituzioni culturali: una persona di grande cultura, un ottimo manager.
Draghi e Franco hanno anche indicato Marinella Soldi come presidente, lei che nelle settimane era stata ipotizzata come amministratore delegato. Anche qui un curriculum di tutto rispetto. Soldi è attualmente presidente della Fondazione Vodafone, è stata Ceo di Discovery Network Southern Europe, poi ancora a Mtv a Londra e Milano. Due manager, insomma. Niente personaggi famosi è nemmeno tecnici tipo Banca d’Italia. Due scelte molto draghiane, potremmo dire, difficili da criticare nel merito dei rispettivi profili e tantomeno sotto l’aspetto politico: fa ridere la leghista Lucia Borgonzoni che lamenta il fatto che Fuortes sia «vicino al Pd», un professionista universalmente stimato che da adesso ha in mano l’azienda più irriformabile del Paese.
Difficile dire da dove comincerà, Fuortes. Ha davanti tre anni per rimettere in piedi un’azienda ferita a morte dal triennio gialloverde targato Foa. Non ha i grillini tra i piedi, ma diremmo che un po’ tutti i partiti stavolta avranno difficoltà a mantenere stretto l’osso del potere reale, sebbene, naturalmente, le incrostazioni di potere siano spesse come la lava di un vulcano centinaia di anni dopo l’eruzione. Già, i partiti (soprattutto M5s e Lega, appunto i gialloverdi che in questi anni hanno messo le mani sull’informazione Rai) stanno perdendo la partita: se il loro obiettivo era mantenere i vertici aziendali e giornalistici fino alle amministrative, bene, Draghi li ha spiazzati. C’è da aspettarsi ora qualche cambiamento, e anche vistoso, a partire dai direttori dei Tg. Non subito, ma dopo l’estate. Da domani qualcuno trema.
Draghi corre e sceglie il meglio, ancora una volta. Come avevamo scritto, il presidente del Consiglio ha anticipato i partiti che forse già mercoledì 14 potrebbero eleggere alla Camera e al Senato i 4 consiglieri di nomina parlamentare, sempre che il giorno prima non scoppi la terza guerra mondiale sulla legge Zan (ma è difficile perché l’aria che tira è trascinarla per le lunghe). Dopo il capolavoro dell’unanimità sulla fine della prescrizione bonafedista, ecco che il presidente del Consiglio fa un’altra volta passare il pallone sotto le gambe dei partiti mettendoli dinanzi a scelte veloci e forti. Ormai Draghi pare un soggetto politico in sé, con gli altri a prendere atto.
Insomma, ha suonato la sveglia per i gruppi parlamentari che ancora non hanno trovato un accordo definitivo, con soprattutto il punto interrogativo – strano eh? – sulla scelta di un M5s spaccato fra contiani, grillini e dimaiani. Draghi il suo l’ha fatto: alla sua maniera, saldando velocità e qualità. I politici avranno capito l’antifona?