Marta Cartabia rottama Alfondo Bonafede e la sua riforma della prescrizione facendo così cadere, con grave scorno di Giuseppe Conte, uno dei pilastri del governo gialloverde, un emblema del Movimento 5 stelle “di governo” che oggi appare lontano come una canzone di Alberto Rabagliati o giù di lì.
La ministra della Giustizia ha lavorato di fino e con enorme pazienza per cucire una nuova normativa sulla prescrizione che deve adesso affrontare il normale iter parlamentare, e in questo Mario Draghi è stato abile a portare la questione “politica”, non un articolato di legge, in Consiglio dei ministri: chi è contrario? Nessuno.
Così alla fine quella che Repubblica ieri sparava in prima pagina – “La sfida del M5S” – è stato un progressivo accucciarsi sulla proposta della ministra: Alfonso Bonafede, come Bonaparte a Sant’Elena, non fa più paura.
Ma è soprattutto Conte, di cui Fofò Dj è sodale, ad uscire scornato. L’avvocato non è nemmeno riuscito a trovare un comune denominatore con il moncone grillino. Una prova di enorme debolezza mentre sta lottando per ottenere la leadership: è la prima legge del suo governo, a parte le follie di Salvini, che viene rottamata dal governo Draghi, e se il buongiorno si vede dal mattino è tutta una cultura giustizialista ad essere incamminata verso l’oblio.
Da parte sua Marta Cartabia ha mediato tenendo il punto e fornendo ai grillini un contentino che ha pure la sua importanza, e cioè la previsione di tempi più lunghi per i reati contro la Pubblica amministrazione, compresi dunque corruzione e concussione, uno “scalpo” che il Movimento 5 Stelle può esibire all’adorante pubblico manettaro e travaglista.
Il sito del Fatto, fan di Conte, ha schiumato subito rabbia: «Il M5s si è calato le braghe». Tutto torna. Va in crisi tutto un apparato concettuale davighiano che antepone le manette ai diritti dell’imputato. Il “lodo Cartabia” riscrive la norma del precedente Guardasigilli e la “nuova” prescrizione vedrà scandire così i tempi della giustizia penale in Italia: 3 anni per chiudere un processo in appello (dunque non più 2 anni come recitava l’ultima bozza) e 18 mesi in Cassazione (e non più 12), pena l’azzeramento del processo.
Politicamente, la vicenda racconta di un Movimento che ormai pesa relativamente, anche e soprattutto a causa della faglia che si è spalancata fra Grillo e Conte, con un Luigi Di Maio trattativista e un Bonafede (o il mite Stefano Patuanelli) che in quanto “contiani” stavolta hanno fatto la parte dei “duri”.
Nel delirio grillino, Mario Draghi si è confermato un politico di razza, e con lui la ministra, predisponendo tutte le condizioni per mandare in soffitta la vecchia prescrizione bonafedista. Il Partito democratico è stato con il premier; Italia viva, malgrado l’allungamento dei tempi per corruzione e concussione, alla fine è soddisfatta e anche Forza Italia si accoda. E Bonafede non abita più qui.