Come moltissimi altri al mondo anche io sono sempre stato un lettore attento nonché grande estimatore della personalità, della prospettiva, dello stile e dell’opera del filosofo e sociologo Solomon Edgar David Nahoum, conosciuto con il nome da partigiano Edgar Morin.
La sua analisi lucida e profonda della complessità nella quale siamo immersi mi ha sempre dato strumenti importanti per procedere in ciò che è la mia vocazione: osservare la contemporaneità per individuare i segnali del futuro. Perciò ho attinto con estremo interesse a tutto ciò che è stato pubblicato sui media in occasione del suo centesimo compleanno avvenuto lo scorso 8 luglio.
In un’intervista al settimanale 7, dopo avere riaffermato la sua idea che la gigantesca crisi nella quale l’avventura umana si è venuta a trovare, e dove è in gioco il nostro destino, offra maggiori probabilità alla peggiore delle soluzioni, alla domanda se non esistano delle forze rigeneratrici che diano invece prospettive positive all’umanità risponde che questa «potrebbe rigenerarsi attraverso la rieducazione delle menti a un pensiero più adeguato, quello che noi chiamiamo pensiero complesso».
«Mai abbiamo avuto tante conoscenze – prosegue nell’argomentare – ma sono frammentate e quindi inadeguate a trattare i grandi problemi globali, fatti di tante dimensioni intrecciate».
Ho sempre condiviso in pieno la sua visione in materia di educazione. Essa richiede una profonda e radicale riforma della formazione scolastica e universitaria affinché ogni individuo possa raggiungere livelli di adeguatezza non solo per comprendere ma anche per vivere e agire nelle nuove dinamiche governate dalla globalizzazione dove le economie, le politiche, le amministrazioni, le conoscenze e le religioni sono interconnesse e interdipendenti. Ma sono altrettanto convinto del principio che sostengo da lungo tempo che ogni uomo sia un educatore.
Questo principio rimette nelle mani di ogni singolo individuo la responsabilità di quanto accade nel mondo, ribadendo la necessità del passaggio dall’approccio competitivo che ha dato prove fallimentari a una nuova prospettiva cooperativa che è molto più fruttuosa e stimolante per ciascuno e per l’insieme.
Nel modello di economia sferica che ho teorizzato nell’ultimo libro “Gratitudine. La rivoluzione necessaria” approfondisco l’idea di come un nuovo modello per-il-Bene che si fondi sulla gratitudine e sulla consapevolezza della centralità dell’individuo, delle sue più intime e profonde aspirazioni, dei valori universali che lo devono guidare nel corso della sua esistenza, possa essere quella forza rigeneratrice dell’umanità auspicata da Morin.
È un modello di economia sostenibile in quanto esprime la capacità di esistere insieme, nella relazione col tutto e non soltanto come parte a sé stante, ed è basato sul capitale creativo culturale che riconosce nell’amore l’atto economico per eccellenza e ha nella gratitudine il suo vero motore. L’economia sferica vuole essere la risposta all’esigenza di concludere finalmente lo straordinario processo di globalizzazione degli ultimi anni con il passaggio a una vera “società-mondo”, come l’ha ben definita Morin, che unifichi il Pianeta nel segno della solidarietà dopo averlo unito sul piano economico, tecnologico e culturale.
Perché, citando ancora Morin, «non ci fu mai una causa così grande, così nobile, così necessaria come la causa dell’umanità per sopravvivere, vivere e umanizzarsi, tutto in una volta e inseparabilmente». Per questo dobbiamo essere grati per ogni attimo che ci è stato concesso, poiché c’è solo una via per ribellarsi alla peggiore delle soluzioni: vivere consapevolmente.