Benessere sostenibileL’incredibile storia dell’Isola delle Rose veneziana

Nella laguna più famosa d’Italia sorge dal 1870 un’isola artificiale che oggi è diventata un’oasi responsabile, dove lusso e autoproduzione camminano fianco a fianco, in un connubio che ci racconta come è cambiata la nostra concezione del bello

Ci sono luoghi che negli ultimi anni si sono trovati al centro di una riscoperta, di un impegnativo cambio di prospettiva, volto ad abbracciare valori e tendenze nuove, ma ce ne sono anche altri, pochi e rari, che sono venuti alla luce solo nell’ultimo decennio e per questo ideali moderni come la sostenibilità e l’autoproduzione fanno parte della loro stessa, giovanissima, identità. Luoghi come l’Isola delle Rose.

Situata a dieci minuti di barca da Piazza San Marco, cuore della Serenissima, l’Isola delle Rose fu costruita nel 1870, circa un secolo prima di una sua nota omonima, edificata e poi abbattuta al largo della costa di Rimini alla fine deli anni Sessanta del Novecento, che recentemente ha ritrovato notorietà grazie a un film diretto dal regista Sydney Sibilia, che ne racconta l’incredibile storia.

La genesi dell’Isola delle Rose veneziana fu molto meno burrascosa di quella riminese; inizialmente conosciuta come Sacca Sessola, l’isola fu realizzata nella parte sud della Laguna, sul ramo del Canale Rezzo, grazie alle terre di riporto prodotte dagli scavi compiuti per costruire il porto commerciale di Santa Marta. Durante il primo periodo, l’isola fu impiegata come deposito di combustibili, ma dopo pochi anni i suoi 16 ettari di terreno vennero riconvertiti e destinati alla coltivazione di ulivi e ortaggi, mentre i magazzini vennero trasformati in strutture adatte all’accoglienza, alla cura e al ricovero di uomini e donne alla ricerca di riposo e quiete, spesso convalescenti dopo lunghe malattie. Inoltre, in quegli anni, furono costruiti un cinematografo e una piccola chiesa e vennero inaugurate Villa Rose, l’abitazione del direttore dello stabilimento, realizzata in stile neoromanico, e la cavana, ricovero marittimo tipicamente veneziano. Successivamente, negli anni Trenta, sull’isola venne eretto un vero e proprio ospedale, che affiancò la precedente attività di assistenza e accudimento, trasformando definitivamente l’isola in un luogo perfetto per chi desiderasse concedersi un periodo di riposo e aria buona, come si diceva all’epoca.

Un modo di dire che si rivelò non così lontano dalla realtà quando, alla fine degli anni Novanta, dopo un periodo di abbandono durante il quale a vegliare sulla piccola oasi era rimasto solo un frate cappuccino, Sacca Sessola ospitò l’Associazione Venice International Center for Marine Sciences of Technologies, che svolse ricerche nel campo della scienza e tecnologia marina, per comprendere le cause del particolare microclima che rende l’isola particolarmente adatta alla coltivazione di piante particolari per la zona, come l’ulivo.

Proprio questa atmosfera unica, data dall’incrocio fortuito delle correnti, è stata tra le ragioni che nel 2015 hanno convinto il Gruppo JW Marriott a rilevare l’Isola e creare il JW Marriott Hotel Venezia, con il proposito di riscoprire le radici benefiche del territorio che nei primi del Novecento l’avevano reso l’isola un luogo di ristoro sospeso nella laguna.

I lavori di ristrutturazione furono affidati all’architetto Matteo Thun e al suo gruppo, che iniziarono una delicata opera di rinnovamento, volta a creare un sodalizio estetico tra il passato e il presente dell’isola, conservando alcune delle strutture storiche, ricche di dettagli preziosi, e lavorando soprattutto sugli interni, rielaborati in chiave moderna impiegando materiali forniti da produttori e artigiani locali. Nacquero così le residenze, le suite e le maisonette, alloggi eleganti e luminosi, raffinati ma senza eccessi, in linea con lo stile industrial chic del resort. Attento alla sostenibilità e senza dimenticare i trascorsi agricoli dell’isola, Thun affiancò all’uliveto un orto e un frutteto, dove oggi vengono coltivate 25 tipologie di frutta e verdura stagionali, poi raccolte e usate cucine dell’isola insieme all’olio, il primo prodotto a Venezia, impiegato anche nella SPA. Quest’ultima, composta da piscina, hammam, sauna e bio sauna, è tra gli accorgimenti che oggi sottolineano maggiormente la volontà di mantenere l’isola un luogo dove poter trovare innanzitutto quiete e benessere.

E non ci potrebbe essere benessere senza una buona alimentazione, che l’Isola delle Rose propone in diverse forme, dalla colazione alla cena, fino alle scuole di cucina, servita sulla terrazza del Sagra Rooftop Restaurant, nel Fiola, fine dining concept creato all’interno del Dopolavoro Venezia dallo chef Fabio Trabocchi, ma anche nei giardini del resort, dove vengono organizzati eleganti “Chic-nic” sull’erba.

Un sogno o un reel? Lo scopo è stato, sin dall’inizio, quello di creare una vera e propria oasi, dedicata a coloro che volessero scoprire Venezia, restando a dieci minuti di barca da Venezia, godendo dei capolavori della città durante il giorno, ma sapendo di potersi rifugiare in ogni momento su un’isola quasi personale. Un sogno apprezzato soprattutto da avventori statunitensi, britannici o russi, incantati dalla magia del Bel Paese, ma che negli ultimi anni cerca di conquistare anche gli italiani e, ancor di più, i veneziani, giocando proprio la carta gastronomica.

Nasce così l’idea delle cene stellate, fine settimana all’insegna della cucina d’eccellenza, in cui l’executive chef del resort, Giorgio Schifferegger, condivide i fornelli con colleghi del calibro di Edoardo Fumagalli, Alessandro Bergamo, Fabio Pisani, Christian Costardi, Andrea Berton e Massimiliano Mascia. Insieme a ognuno di loro, un fine settimana alla volta, Schifferegger crea menu armonici in cui i piatti dell’uno e dell’altro si alternano, senza mai perdere di vista i sapori tipici del territorio.

Il cannolo di pane al caviale, battuta di gamberi rossi e salsa all’arancia firmato da Fumagalli può dunque seguire l’amouse bouche di salmone selvaggio, mela verde e cetriolo creato da Schifferegger, mentre il Cappellaccio al baccalà, burro bianco al prosecco di Valdobbiadene, salicornia e piselli, sempre di Schifferegger costruisce un’inaspettata affinità cromatica con la successiva trota marmorata “viennese” alle erbe alpine, bouquet di vegetali e salsa ricca al limone, realizzata da Fumagalli.

È un gioco di coppia che risulta divertente al palato e ricco di sapori inaspettati, accordati l’uno all’altro anche grazie alla sapiente scelta dei vini, che Simone Celeghin, Beverage Manager & Head Sommelier del JW Marriott Hotel Venezia, sceglie e racconta con quella competenza rara, che fa venir voglia non solo di assaggiare con cura, ma anche di visitare tenuta e vigna che hanno prodotto quella bottiglia.

Un’attività che forse, fra qualche anno, si potrà fare nella stessa Isola delle Rose, tra una lezione di cucina e una degustazione dell’olio locale, o del vino del territorio. Infatti, il prossimo passo per il JW Marriott Hotel Venezia, racconta Cristiano Cabutti, general manager del resort, sarà quello di creare una vigna, nell’ottica di completare l’opera di agricoltura locale che permette a cuochi e chef di controllare con attenzione la produzione di molti degli alimenti serviti agli ospiti.

Un impegno non da poco, che evidenzia come oggi valori come la sostenibilità e il controllo della filiera produttiva facciano parte di un concetto di benessere sempre più condiviso. Infatti, se in passato, per molti, un fine settimana di riposo e del piacere era uno sfizio da concedersi una volta ogni tanto, pensando principalmente alla cura di sé, oggi è una scelta che si può compiere sapendo di collaborare allo sviluppo di realtà positive, oasi responsabili che stanno cambiando il nostro ideale di lusso.

L’Isola delle Rose, che si è conquistata questo nome negli ultimi anni grazie a uno spettacolare roseto cresciuto sulle sue coste, si inserisce debitamente tra questi luoghi di ristoro per il corpo e per l’ambiente, e tiene a sottolineare l’importanza dei valori che ha scelto di perseguire trasmettendoli anche al proprio personale, coinvolto nella raccolta dei frutti di stagione e nella loro trasformazione. Sono infatti barman, personale di sala e cuochi che raccontano, con una lodevole consapevolezza, propria solo di chi ha impiegato pensieri, fantasia e braccia in un lavoro, la difficoltà e il divertimento di cercare modi diversi di far fruttare, per esempio, una rendita di albicocche particolarmente abbondante. I prodotti dell’isola, infatti, non sono usati solo nelle cucine, ma anche nel bar, dove si ritrovano nei cocktail e tra i cicchetti, e nella SPA.

Una responsabilità che rende oggi l’Isola delle Rose non solo un resort elegante, dove rilassarsi e godere delle meraviglie del territorio, concedendosi anche un giro nella laguna veneziana al chiaro di luna, ma anche un caso di autoproduzione sostenibile che si spera possa generare piccoli e grandi emulatori.