Rivincita a metàL’occupazione degli under 35 è quella che cresce di più (anche se è quasi tutta precaria)

A maggio 2021 i lavoratori tra i 15 e i 24 anni erano solo il 2,3% in meno rispetto a gennaio 2020. Si tratta di un progresso imponente rispetto agli altri mesi della pandemia, quando i giovani con un lavoro erano diminuiti molto di più, fatto però di contratti pagati poco, e di assunzioni a tempo determinato

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Forse qualcosa sta cambiando nel mondo del lavoro. In questa nuova era post-pandemica ancora incognita in cui stiamo entrando, le incertezze superano di gran lunga le cose di cui possiamo essere sicuri. A cominciare dall’effettiva entità del rimbalzo che l’economia potrà avere e del reale impatto di Next Generation Eu.

C’è però un dato che non può passare inosservato e che negli ultimi mesi è apparso sempre più evidente. E riguarda il segmento di società che finora ha pagato di più le ultime crisi, sia quella finanziaria sia quella pandemica. Quello dei giovani.

Sembra che siano loro che stanno ricevendo i dividendi più ricchi di questa iniziale fase di ripresa, almeno dal punto di vista occupazionale. A maggio 2021 il numero di chi aveva tra i 15 e i 24 anni e un lavoro in mano era solo del 2,3% inferiore al livello del gennaio 2020, l’ultimo mese prima dell’arrivo del Covid in Italia.

Si tratta di un progresso imponente se si considera che a dicembre, gennaio, febbraio gli occupati di quest’età erano ancora oltre il 12% in meno rispetto all’inizio dell’anno scorso.

L’altra fascia che dai primi mesi del 2021 che appare in recupero è quella successiva, dei 25-34enni. Anche se qui è meno deciso, il rimbalzo c’è.

E soprattutto è in concomitanza con la prosecuzione del declino del numero dei lavoratori 25-49enni. Che a questo punto appaiono i più colpiti dalla pandemia.

Sempre indenni a ogni tempesta gli over 50, come sempre.

Fonte: Istat

I numeri in senso assoluto appaiono ancora più eloquenti. A fronte di un altro calo dei lavoratori di 52 mila unità tra maggio 2020 e maggio 2021, aumentano di 105 mila quelli con meno di 25 anni e di 157 mila quelli al di sotto dei 35. Mentre crollano di 245 mila i più vecchi, almeno fino a 50 anni.

Se è vero che i più giovani erano quelli che nel 2020 avevano subito i peggiori rovesci occupazionali, sono anche gli stessi che ora godono del rimbalzo maggiore.

Fonte: Istat

Gli unici, in realtà, se consideriamo più correttamente il tasso di occupazione, ovvero calcolando anche il fatto che a livello demografico sono sempre meno coloro che hanno meno di 35 anni e quindi è giusto guardare ai dati in proporzione al totale della popolazione di una certa fascia di età.

Anche se i valori di 2 anni fa non sono stati ancora recuperati i più giovani sono i soli a vedere un incremento di quasi due punti rispetto al maggio 2020

Fonte: Istat

E così nel complesso rispetto allo stesso mese del 2019, quindi all’epoca pre-Covid, il peggioramento della situazione occupazionale di chi ha meno di 25 anni appare analoga a quella di coloro che sono tradizionalmente i più fortunati, gli over 50, ovvero più lieve di quella degli altri.

Fonte: Istat

C’è un’inversione di tendenza rispetto al trend precedente, quello che si era visto con la crisi finanziaria e dell’euro e che aveva fatto in modo che tra il 2009 e il 2019 fossero stati solo i più anziani a incrementare moltissimo il loro tasso di occupazione, mentre gli under 35 erano stati i più svantaggiati.

Fonte: Istat

Vi sono anche altri indicatori che, se guardati più in profondità, raccontano di una realtà più positiva per i giovani. Sono quelli che riguardano i disoccupati e gli inattivi. Il fatto che rispetto al maggio 2019 i primi tra gli under 25 aumentino di ben 100 mila, facendo crescere il tasso di disoccupazione dell’1,8%, più di quanto accaduto agli altri, mostra in realtà che questi preferiscono reagire alla crisi cercando lavoro piuttosto che rimanere inattivi.

Come non fanno invece i 35-49enni: in particolare coloro che hanno perso il lavoro sembrano essersi rassegnati a non lavorare più.

Fonte: Istat

È evidente che cominciano a sentirsi gli effetti degli incentivi all’assunzione dei giovani, come l’esonero contributivo fino a 36 mesi per i nuovi lavoratori con meno di 36 anni. E allo stesso tempo sembra chiaro che a fare un rimbalzo siano quei settori, spesso a basso valore aggiunto, come il commercio e il turismo.

Qui emerge il lato agrodolce di quello che sta accadendo. Ovvero una ripresa povera, fatta di contratti precari, pagati poco, di assunzioni per così dire con beneficio del dubbio.

Manca una vera fiducia, dopo un declino così lungo, di cui la crisi pandemica è stato solo il culmine. Sostanzialmente stanno aumentando, e molto, solo i posti a tempo determinato, che erano a maggio il 16,4% in più che un anno prima, mentre scendevano dell’1,5% quelli permanenti.

Fonte: Istat

Vi sono due sfide ora davanti.

La prima è rendere la ripresa così sicura da rendere permanenti quelle assunzioni che ora vengono fatte solo a termine, magari solo perché c’è un incentivo.

L’altra è non dimenticare la fascia di mezzo, quella dei 35-49enni, quelli che hanno vissuto pienamente il lungo declino italiano degli ultimi 20 anni, i primi a provare i co.co.co, il precariato, gli stage non pagati, le finte partite Iva. Sono gli ex giovani degli anni 2000, quelli che allora subivano l’apartheid lavorativo rispetto ai più anziani, e ora che hanno 40 anni e oltre continuano a essere gli ultimi, superati dai più giovani, più istruiti, dinamici, e meno costosi.

Una sfida non facile, che sarà vinta solo se tutte le promesse di una crescita finalmente robusta saranno rispettate.

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