Enrico Letta ha trovato il modo di farsi male da solo. Altro non si può dire infatti della sua decisione di presentarsi alle elezioni a Siena e quindi di non esercitare alcuna leadership da qui ad ottobre, cioè in tutta la fase cruciale di approvazione delle riforme a cui è subordinato il Pnrr. Da qui ad allora Letta dovrá infatti solo cercare consenso nell’elettorato dei Cinquestelle, di Liberi e Uguali e naturalmente del Pd per la semplice ragione che quel seggio non è affatto blindato. Anzi. Per di più è ben probabile che Matteo Renzi si sottragga alla coalizione che a suo tempo fece vincere Pier Carlo Padoan in quel seggio senese con soli 4 punti di scarto dal candidato del centrodestra.
Il senatore di Rignano ha infatti più di una ragione per sottrarre a Letta i 7 punti accreditati al suo partito in quel collegio nelle elezioni regionali, cercando di ottenere due vantaggi: la conferma del suo ruolo di detentore del banco del centrosinistra e le dimissioni obbligate di Letta dalla segreteria del Pd. Ennesimo, eventuale psicodramma a sinistra che aprirebbe tutti i giochi al Nazareno.
Dunque, virtualmente (le elezioni suppletive sono strane, fanno storia a sé), Letta è in svantaggio, perché non esistono più i benedetti collegi blindati della sinistra di un tempo e ha una sola possibilità di vincere quel seggio: riuscire a convincere anche gli elettori dei Cinquestelle e di Liberi e Uguali a votarlo. Il problema drammatico è che in quel seggio nel 2018 i Cinquestelle presero solo il 22%, contro il 33% a livello nazionale e Dio solo sa quanto voti avranno ad ottobre e soprattutto il problema è che il centrodestra vedeva allora Fratelli d’Italia attorno al 4%, mentre ora viaggiano a livello nazionale attorno al 20%, in grado dunque di trainare lo sfidante del centrodestra
Alla luce di questo quadro tutto è chiaro nel comportamento di Letta nelle ultime settimane, che verrà replicato nei prossimi mesi. Letta si è obbligato a comportarsi da qui a ottobre non da leader del Pd e detentore potenziale della golden share dell’esecutivo, ma da candidato in affanno in un collegio difficile, a rimorchio dei balzi d’umore e della demagogia dell’elettorato grillino. Da qui il suo estremismo alla Cirinná sul disegno di legge Zan, il suo incredibile silenzio sul fallimento acclarato del castrismo a Cuba, addirittura la sua apertura a modifiche dei Cinquestelle della riforma Cartabia che tanto ha irritato Mario Draghi e anche buona parte del Pd. Lo stesso accadrà sulle riforme imposte dal Pnrr che andranno in aula in Parlamento da qui all’autunno.
Il risultato è che il Pd, con un segretario mutilato, assumerà un atteggiamento e caldeggerà scelte minoritarie e demagogiche alla ricerca di voti in un piccolo collegio invece di “esercitare egemonia” nella compagine di governo. Questo obbligherà Mario Draghi a ulteriori arrabbiature nel confronti di Letta e soprattutto consegnerà al centrodestra il ruolo di partner affidabile in Parlamento per l’approvazione delle leggi di riforma che l’Europa ci impone.
Per di più, da qui ad ottobre, deve prendere forma la Legge di Bilancio per il 2022 e di nuovo Draghi dovrà fare affidamento sul centrodestra e sulla propria volontà di ferro per rintuzzare le pressioni demagogiche che eserciteranno i grillini alla disperata ricerca di una rimonta dei consensi con le solite elargizioni a pioggia.
Così, mentre si affilano le armi e si iniziano a costruire le alleanze per la elezione nel febbraio del 2022 del nuovo presidente della Repubblica, il Pd si ritrova ad avere un segretario in affanno.