Siamo sicuri che lo schema centrosinistra contro centrodestra regga ancora? Che il (forzoso) bipolarismo ideato a metà degli anni Novanta del secolo scorso fotografi una realtà politica che, da allora, ha subito talmente tanti sommovimenti che solo la Lega e Forza Italia sono ancor oggi presenti sulla scena? Se non si scioglie questo nodo, tutte le discussioni sulla legge elettorale diventano fini a se stesse, o funzionali ai rispettivi interessi di parte. O a produrre pasticci come Porcellum e Rosatellum.
Purtroppo da molti anni a questa parte una vera discussione di sistema non c’è. Si bordeggia la riva delle proprie convenienza e si escogitano mezzucci per rientrare in Parlamento (salvo poi inventare una controriforma che taglia l’erba sotto i piedi dei partiti come la riduzione del numero dei parlamentari, un vero incidente storico). E dunque è tutto fermo. Aspettando l’elezione del Presidente della Repubblica, vero e unico turning point della situazione politica italiana.
La domanda è sempre la stessa: maggioritario o proporzionale? Mentre a destra la dinamica di questi anni (ma attenzione ai fatti nuovi di questi giorni, ne parleremo dopo) sembrerebbe spingere per la formazione di un blocco di centrodestra, le cose sono più complicate in un centrosinistra che nemmeno riesce a stabilire la sua composizione, il che è ancor più paradossale se si pensa che Enrico Letta è assoluto fautore – per convinzione ma anche per un pizzico di nostalgia prodiana – dello schema maggioritarista centrodestra contro centrosinistra, lavorando – dice – a una ricomposizione del suo campo che però continua a eludere il punto di fondo: centrosinistra sì, ma per fare che?
«C’è la volontà di costruire in Italia un campo comune – ha detto il segretario del Partito democratico al congresso di +Europa – che faccia evolvere le alleanze sui territori e la costruzione di un’alternativa alle destre all’ungherese in modo che nel marzo 2023 possiamo proporre agli italiani una comune idea di futuro». Chiacchiere, paiono. Questo nuovo centrosinistra che idea avrebbe del futuro del Paese? Quella di Pier Luigi Bersani, quella di Giuseppe Conte o quella di Matteo Renzi? E di Mario Draghi, o meglio: del draghismo come prassi illuminata di governo, che ne facciamo?
Al momento è tutto per aria. Improbabile che le famose Agorà, che non vorremmo diventassero una specie di supermercato politico dove si parla di tutto e di più, potranno scogliere questo nodo strategico. Sulla base dei fatti – fatti che raccontano di una stagnazione da tre anni a questa parte – verrebbe da ipotizzare che le singole forze del centrosinistra abbiano bisogno di una totale autonomia di pensiero e di iniziativa per moltiplicare i consensi in vista di quella che, dopo il voto, potrebbe essere una forte alleanza di governo. Libertà, movimento, rispetto reciproco.
Un po’ d’aria nuova dopo il politicismo burocratico di questa fase chiusa con l’avvento di Mario Draghi al governo.
Parrebbe che la stagione zingarettian-bettiniana dell’alleanza strategica con i grillini non abbia insegnato niente, come se quell’intesa scritta male e condotta peggio non abbia costretto il Pd a un continuo aggiustare una linea malferma immobilizzando le sue possibilità espansive fino al grottesco limite di innalzare Giuseppe Conte a leader di una ipotetica alleanza.
In effetti, un proporzionalista da sempre come Matteo Orfini nota che «noi dobbiamo essere più liberi e innanzi tutto toglierci questa camicia di forza dell’intesa con il Movimento 5 stelle».
La rigidità del maggioritario tra l’altro impedisce per legge un accordo elettorale con quelle forze riformatrici e in cerca di uno spazio al centro la cui forza elettorale potrà anche essere ridotta ma sarà comunque decisiva per un’alleanza parlamentare. Osserva Benedetto Della Vedova, nuovo segretario di +Europa (che Letta forse immaginava dalla sua parte): «Lo schema reggeva forse trent’anni fa: la verità è che oggi centrodestra e centrosinistra non esistono più». E dunque ciao ciao al bipolarismo maggioritarista.
Stefano Ceccanti, costituzionalista dem, sostiene che le possibilità di tornare al proporzionale sono davvero pochissime stante il nyet della destra e in particolare della Lega. «Il centrodestra ci ha spiegato che se insistiamo col proporzionale il discorso finisce prima di cominciare. L’unica possibilità è un sistema come quello delle comunali con liste apparentate e concorrenti, con un premio di maggioranza ed eventuale doppio turno che porti a ottenere non più del 55% dei seggi, una soglia distante dal quorum di garanzia», onde evitare che il vincitore possa avere la maggioranza per cambiare la Costituzione.
Ma è anche da notare – lo fa Orfini – che la competition Salvini-Meloni potrebbe indurre il primo a mettere in discussione l’ipotesi maggioritaria per non escludere la presenza leghista in un governo di unità nazionale, con Giorgia (esattamente come adesso) all’opposizione. Insomma, il proporzionale potrebbe convenire anche a una Lega (per non parlare di Forza Italia) che volesse fare politica ed emanciparsi dalla connotazione ungherese per sbarcare su lidi più europei. Giorgia, che ha naso, si sta già imbizzarrendo: «Io – ha detto ieri – continuo a credere nel centrodestra, ma quello che voglio capire adesso è se ci credono anche gli altri, perché sono accadute troppe cose che francamente mi fanno temere il contrario», ha detto ieri. A destra ne vedremo delle belle. A sinistra, boh, tutto tace.