Dunque sulla giustizia il Paese non è ostaggio del cosiddetto “sistema”, cioè il porcaio delle nomine e delle trame correntizie, delle scalate per via mafiosa ai vertici degli uffici, delle indagini appaltate agli amici degli amici e dei processi affidati ai nemici dei nemici, delle veline cospirazioniste scrutinate nel pissi pissi bao bao con il parlamentare antimafia, della Loggia Gulasch da lasciare in paiolo e con chef anonimo così dopo un po’ va nell’indifferenziato del modello italiano e buonanotte.
No: a tenere in ostaggio il Paese, spiega Enrico Letta, e a intralciarne il corso riformatore, è «lo scontro politico tra giustizialismo e finto garantismo» (dicitura diciamo così migliorista, quest’ultima, perché fino a qualche settimana fa a petto del giustizialismo non c’era il garantismo finto, ma la categoria salvinian-melonian-davighiana ottimamente accreditata in identica inflessibilità dal Papeete giù giù fino a Volturara Appula: l’impunitismo).
Domandarsi (e figurarsi domandargli) dove si ponessero il suo partito e lui, Letta, nel quadro di quello scontro è perfino ozioso: perché c’è da star certi che stessero dalla parte del garantismo vero, quello che ogni giorno albeggiante per vent’anni sulla Repubblica delle Procure vedeva il Pd onorare il nome e difendere l’operato di Antonio Bassolino, o il garantismo vero del consorzio con i punti di riferimento fortissimi, quelli dei festeggiamenti per l’arresto del sindaco di Lodi da far marcire in galera perché, come insegnava il ministro-dj, «gli innocenti non vanno in galera».
Nobilmente, il Pd si presta dunque a liberare l’ostaggio: e il miglior modo, evidentemente, è pagare il riscatto, che però guarda caso finisce nelle tasche di una sola delle due cosche di sequestratori, quella giustizialista che non è dato di capire come e quando sia stata avversata da chi fa le mostre di denunciarne le malefatte.
Perché anche in questo caso, e come praticamente su tutto, la dirigenza Pd continua nella tradizione di illustrare al Paese i mali che lo affliggono nella rigorosa esclusione anche solo della remota ipotesi d’aver contribuito a determinarli: e dunque, per stare alla giustizia, nel rigoroso accantonamento della realtà più semplice, e cioè che per migliorarla occorrerebbe, non si dice combattere, ma almeno non favorire quelli che han tanto – e molto efficacemente – lavorato per peggiorarla. Quelli, e gli altri in toga verso cui ridonda il favore.