Niente boom dei licenziamentiDal 2022 i navigator non ci saranno più, dice il ministro Orlando

Sono «giovani molto qualificati, che hanno superato una selezione», ma «usati come una specie di foglia di fico». Ora, spiega, serve riformare i centri per l’impiego e il reddito di cittadinanza, che «non è un veicolo per trovare lavoro» come dicevano invece i Cinque Stelle

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

La corsa ai licenziamenti temuta, al di là dei casi di cronaca successivi allo sblocco come Whirlpool, Gkn o Gianetti, almeno per il momento non si vede. Ma le prossime tappe del governo, per affrontare ristrutturazioni e transizioni occupazionali, ora sono la riforma degli ammortizzatori sociali e quella delle politiche attive. Che prevederà, entro fine anno, la fine dell’esperienza dei navigator nei centri per l’impiego italiani.

Il ministro del Lavoro Andrea Orlando, in una conversazione col Foglio, analizza la situazione attuale e la road map da seguire. Sui licenziamenti, spiega, «in linea di massima, l’andamento non individua una dinamica particolarmente diversa rispetto a quella precedente la pandemia. Il blocco, in questi mesi, come sappiamo, non ha evitato i licenziamenti anche perché non ha impedito i licenziamenti per cessazione di attività e non ha impedito i licenziamenti negli ambiti in cui ci si trovava di fronte a contratti a tempo determinato», dice. «Su questo punto, come è noto, la mia preoccupazione è sempre stata questa: che sotto la coperta della cassa integrazione ci fossero molte crisi destinate a esplodere contemporaneamente in una fase in cui la ripresa del Paese non permette di riassorbire tutti».

La cassa Covid, secondo il ministro, è stata in parte «una specie di anestetico che ha rallentato alcuni orientamenti e alcune decisioni che le imprese probabilmente avevano già in animo da prima». Il dato preoccupa il governo. I casi dei licenziamenti di Whirlpool, Gkn e Gianetti scontano «problemi pregressi». In particolare, dice, per la filiera dell’automotive ci sarà bisogno «di un tavolo ad hoc per promuovere le ristrutturazioni del settore». In concreto «significa usare il Pnrr come elemento di compensazione perché noi avremo filiere nelle quali le transizioni genereranno almeno nella prima fase una riduzione dei posti di lavoro, se pensiamo alla transizione ecologica, al passaggio all’elettrico nell’automotive o se pensiamo anche all’impatto in alcuni settori del digitale». Questi passaggi avranno bisogno di ammortizzatori sociali, ma soprattutto di «politiche industriali che in qualche modo compensino questo aspetto perché banalmente ci dobbiamo preoccupare che da un lato queste transizioni genereranno una riduzione di occupazione e dall’altra che gli investimenti contenuti nel pnrr in qualche modo facciano crescere alcune filiere».

Altra questione da affrontare è la mancanza di manodopera per alcuni settori e profili specifici. Il cosiddetto “mismatch” tra domanda e offerta di lavoro. «Occorre investire di più sulle politiche attive e sui percorsi di formazione», dice il ministro, «migliorando anche l’interlocuzione tra i sistemi di formazione e il mondo delle imprese. La nostra riforma sugli ammortizzatori sociali terrà conto anche di questo assetto». Cassa integrazione e Naspi non saranno considerati in pratica come «periodi morti» nei quali «si percepisce un sussidio senza provare a cambiare il proprio profilo professionale». Orlando ipotizza di accompagnare ad esempio la Naspi con voucher formativi. Nel caso della cassa integrazione fa riferimento allo «zainetto del lavoratore» che consenta di trasferire nella nuova impresa che ti assume la dote che sarebbe spesa altrimenti nel sussidio.

Orlando analizza il fallimento delle politiche attive italiane e dice: «Il problema è che i centri per l’impiego funzionano forse nelle regioni che ne hanno meno bisogno, mentre invece in quelle dove ci sarebbe bisogno di una più forte e intensa attività siamo all’anno zero». E non ha certo funzionato l’inserimento dei navigator. Sono «giovani molto qualificati», dice il ministro, «che hanno superato una selezione, sono stati a mio avviso usati come una specie di foglia di fico. Servivano cioè a coprire un equivoco, e cioè che il reddito di cittadinanza fosse uno strumento per le politiche attive del lavoro. In verità dovremmo avere dei centri per l’impiego che si rivolgano a tutti e che siano in grado di fare il bilancio di competenza e orientare parte dei percettori di reddito di cittadinanza che possono essere occupabili». In ogni caso, assicura, «l’esperienza dei navigator alla fine dell’anno si andrà a esaurire».

E il governo prevede anche una correzione al reddito di cittadinanza, sulla quale ormai anche i Cinque Stelle sono d’accordo. Orlando elenca tre azioni. «Primo: rendere più semplice l’accesso e l’utilizzo dei cosiddetti Puc, cioè quei piani che consentono agli enti pubblici di utilizzare le persone che percepiscono un reddito per attività di pubblica utilità. Secondo: lavorare per creare un sistema più efficiente sulle politiche attive facendo fare un salto di qualità ai centri per l’impiego. Terzo: lavorare sull’istruzione di base e sulla formazione, anche triangolando con le imprese. Il reddito di cittadinanza va cambiato, non va abolito». Il punto, ribadisce, «è spacciare una perfettibile misura contro la povertà per quello che non è: un veicolo per trovare lavoro».