Caro Giovanni, prima di parlare nello specifico di Matteo Salvini, che ha portato varie novità nel partito di cui è segretario dal 2013, intanto accordiamoci su un punto: la Lega è antipolitica?
È giusto partire dalla Lega, perché, se è vero che Salvini ha introdotto degli elementi importanti di discontinuità, è vero pure che il partito nasce nel clima antipolitico degli anni Ottanta che abbiamo descritto tante volte durante questa nostra conversazione. Quella Lega denunciava la crisi delle forze politiche tradizionali: la perdita di capacità di rappresentare il territorio, l’autoreferenzialità, la corruzione.
Era un attacco antipolitico da due punti di vista: strumentalmente, perché era rivolto contro l’ordine esistente; strutturalmente, perché ricorreva anche ad argomentazioni di natura moralistica e giudiziaria. Per questa via la Lega diventa un’accanita tifosa di Mani Pulite, fino al cappio in Parlamento agitato da Luca Leoni Orsenigo il 16 marzo del 1993. A quel tempo, del resto, i discorsi dei leghisti in Parlamento erano letteralmente forcaioli. O almeno lo erano quelli che ho avuto modo di leggere.
Detto questo, però, la via d’uscita dalla crisi che la Lega propone già allora non è antipolitica, ma, al contrario, per tanti versi è iper-politica. Gli strumenti distruttivi sono in parte antipolitici, e sono branditi con violenza, ma l’obiettivo finale è ri-politicizzare, non de-politicizzare. Mettiamo Bossi a confronto con Berlusconi. La soluzione alla crisi del politico che propone il leader di Forza Italia prevede che al posto di Andreotti vada Berlusconi stesso, ossia un non politico al posto del non plus ultra del professionismo politico, e che anche in futuro non ci siano più politici di professione. Per la Lega, invece, sul seggio di Andreotti deve sedersi Bossi. E Bossi è un politico.
Insomma, siamo in presenza di due modi diversi di essere antipolitici, uno tattico e congiunturale, uno strutturale e strategico. Per Berlusconi i politici di professione devono essere permanentemente sostituiti dall’aristocrazia della società civile. Anche per Grillo alla fine del percorso di trasformazione ci dev’essere la casalinga. La politica dev’essere marginalizzata per sempre, insomma. Per Bossi si tratta invece di rimpiazzare questi politici di professione con altri politici di professione. E i nuovi professionisti devono avere profonde radici locali, organizzarsi capillarmente sul territorio, rappresentare l’identità della loro gente. Insomma: più politica e più tradizionale di così, si muore. Non mi pare un caso che i leghisti finiscano vittime degli stessi meccanismi che hanno colpito i partiti della Prima Repubblica. E che ci finiscano da subito: già alla fine del 1993 salta fuori che la Lega ha preso una tangente di 200 milioni da Montedison. Del resto, un partito organizzato, radicato sul territorio, che amministra enti locali, non può fare a meno di confrontarsi col problema del finanziamento della politica. Rispetto a tutto questo, Salvini rappresenta un passo ulteriore, o forse vari passi ulteriori, e in direzioni differenti”.
Anche per Salvini valgono le stesse cose?
Salvini mi pare al contempo iper-politico e antipolitico. Il suo, del resto, è un percorso pieno di ambiguità perfino per gli standard attuali: pensa, per non prendere che un esempio, alle oscillazioni dal forcaiolismo “modello citofonata” alla raccolta delle firme per i referendum sulla giustizia insieme ai radicali. A ogni modo: Salvini è iper-politico perché il cosiddetto sovranismo non è altro che una ribellione politica di fronte ai processi di depoliticizzazione della nostra epoca. Che cosa vuole il sovranismo? A farla breve: riportare il potere dalle istituzioni sovranazionali a legittimazione democratica debole, quando non assente, agli stati nazionali che si presume siano controllati e legittimati direttamente dagli elettori. Riaccostare il luogo della rappresentanza a quello della decisione. Mi pare un chiaro tentativo di ri-politicizzare”.
Altro che antipolitica, insomma.
Esatto. Se il trasferimento dei poteri a istituzioni tecnocratiche o semitecnocratiche, spesso sovranazionali, o la creazione di governi tecnici modello Monti o Draghi rappresentano momenti di de-politicizzazione, di riduzione del territorio coperto dalle forze politiche ed esposto al conflitto fra di esse, il tentativo sovranista di arrestare o invertire questo processo rappresenta uno sforzo di ri-politicizzazione. Torniamo al “Visco fatti eleggere” di cui dicevamo nel capitolo precedente, anche se lì stavamo citando un tweet di Di Maio, non di Salvini: la decisione di conservare o abolire la legge Fornero appartiene al territorio politico, non a quello tecnico, quindi se Bankitalia vuole dire la sua deve prima passare per un processo di legittimazione politica.
Dov’è che Salvini può essere considerato antipolitico, allora? Secondo me soprattutto nelle forme del suo fare politica: la citofonata, il Papeete, l’uso esasperato dei social, la personalizzazione altrettanto esasperata, i post su Facebook sulla figlia, i maccheroni su Instagram. Nella comunicazione politica che viene fatta passare attraverso canali impolitici o prepolitici, insomma. Ora, è evidente che la – per così dire – depoliticizzazione della comunicazione politica non appartiene affatto soltanto a Salvini, ma è una caratteristica della nostra epoca, pure se il leader leghista su questa strada si è spinto parecchio più avanti di altri. Credo tuttavia che si possa parlare anche in questo caso di anti-politica, o più precisamente vedervi un segno ulteriore della crisi del politico come ambito delimitato e specializzato dell’agire umano. Se il leader politico si presenta e comporta come una celebrity, insomma, rendendosi per tanti versi indistinguibile da un artista o uno sportivo, è evidente che in quel momento le specificità della dimensione politica sono belle che scomparse.
Per riassumere un ragionamento non troppo lineare: mi pare che la Lega possa esser considerata contenutisticamente e strutturalmente iper-politica sia nella versione Bossi sia in quella Salvini; che abbia spesso utilizzato strumentalmente delle parole d’ordine antipolitiche, più con Bossi, forse, che con Salvini; e che con Salvini usi forme comunicative che tendono a far deperire il politico schiacciandolo su modelli pop.
da “Antipolitica. Populisti, tecnocrati e altri dilettanti al potere”, di David Allegranti e Giovanni Orsina, Luiss University Press, 2021, pagine 144, euro 15