Cinque stelle, cinque padriLa rivoluzione liberale a parole come autobiografia della nazione

Oltre a Casaleggio, il degrado civile che ci ha consegnato ai manipoli grillini ha altri responsabili: la sinistra “seria” che si è concessa il brivido dell’avventura populista, ma soprattutto i seguaci del finto medico di Gemonio, le torme berlusconiane garantiste con se stesse e forcaiole con gli altri e la gauche illiberale in competizione con l’incultura di Di Maio & C.

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L’Italia reazionaria e plebea che ha issato al potere i neofascisti dei 5Stelle, da una parte, e quella della gente seria di sinistra che assisteva sbigottita e nullafacente all’imperversare dei manipoli grillini fino alla decisione di abbandonarsi con loro alla pianificazione dell’affascinante avventura, dall’altra parte, non bastano a spiegare il degrado culturale e civile di un Paese che, dopotutto, non si esaurisce in quelle due componenti pur notevoli.

La porzione residua della rappresentanza politica italiana, infatti, quel che chiameremmo centrodestra se la definizione non risultasse ormai inaderente, non è meno responsabile di quel degrado e anzi, a ben guardare, ne ha assicurato il trionfo perché la storia del suo accreditamento è abbastanza simile.

Fu Umberto Bossi, il finto medico che passava le giornate al bar, a portare in Parlamento carovane di sfaccendati con titoli davvero non migliori rispetto a quelli che poteva esibire la massa di manovra degli schedatori della Casaleggio Associati. Il leghista medio, il bifolco della valle bergamasca sceso a Roma col camaglio e lo spadone a portare il verbo padano, non era poi molto diverso rispetto al parassita meridionale che trent’anni dopo vi saliva per portarvi la politica dell’onestà: quello e questo figli infine della stessa cultura infingarda, della stessa vocazione lavativa, della medesima propensione qualunquista.

Né cambiò l’andazzo, anzi, con l’avvento di Silvio Berlusconi, che aveva i soldi, il potere, le strutture per formare almeno un abbozzo di classe dirigente e invece assoldava perlopiù venditori di pentole e graziose signorine, più una buona quota di rottami ex democristiani, ex comunisti, ex socialisti, ex missini, tutti rigorosamente di quarta fila e tutti allegramente coinvolti nell’ebbrezza del liberalismo stipendiato, un po’ in lista elettorale e un po’ nei giornali e in tv, a fare alternativa alle toghe rosse e allo strapotere della sinistra spiegando che Silvio è alto un metro e ottanta, che le olgettine sono tutte laureate e che Zio Mubarak è il punto di riferimento fortissimo di tutti i moderati.

Che su un simile terreno di raffinatezza fosse incongrua la nascita di varianti aggiornate, che avrebbero sostituito con un po’ di violenza da periferia quel perbenismo da villani rifatti, può crederlo solo chi ora fa le viste che una purissima palingenesi liberale sia stata annichilita dalla protervia giudiziaria.

Che è la teoria adoperata da un quarto di secolo dal garantismo classista che non ha tolto una virgola di potere alla piovra giudiziaria perché si eccitava in concomitanza dei perimetrali di Arcore e per il resto reclamava il suo bell’ordine liberale della certezza della pena per gli altri, l’istanza sicuritaria a tutela della gente perbene, che è un altro modo per dire la gente onesta, assediata dai drogati, dalle cospirazioni gender e dagli immigrati, insomma ogni realtà estranea al circolo dei galantuomini biascicanti Beccaria giusto il tempo necessario a ottenere il rinvio del processo: del proprio, o di quello dell’amico.

La sinistra illiberale che tenta di cannibalizzare, peraltro senza riuscirvi, la molestia antidemocratica dell’incultura grillina è solo apparentemente più colpevole rispetto a quelli che non hanno neppure fatto finta di contrastarla perché neppure la riconoscevano, perché neppure si erano educati a riconoscerla, perché neppure capivano quanto essa fosse il risultato della rivoluzione liberale a parole.