Problema e soluzioneÈ troppo presto per decretare la fine dello Stato-nazione

Le sfide globali di quest’epoca, dal cambiamento climatico alla pandemia, sollevano interrogativi sul futuro dei principali soggetti sullo scacchiere internazionale. Tuttavia, come spiega il politologo Francis Fukuyama spiega al think tank Berggruen Institute, cercare risposte solo nelle istituzioni sovranazionali potrebbe essere troppo complicato

Pexels

Le sfide globali come il cambiamento climatico, la pandemia, ma anche le migrazioni o la ricerca di materie prime sono sempre più difficili da affrontare con gli strumenti tipici degli Stati-nazione: sfuggono alle dinamiche e alle risposte della politica interna di ciascun Paese.

Ma la soluzione a quei problemi non necessariamente può essere ricercata in organismi sovranazionali. Il politologo Francis Fukuyama, autore del celebre saggio “La fine della storia” (1989), di recente ha detto che «ci sono due ragioni per cui lo Stato-nazione rimane importante: la prima riguarda l’uso della forza, di cui lo Stato è l’unico detentore; la seconda è il peso storico-culturale della nazione, che crea idee, valori e narrazioni di cui ancora abbiamo bisogno».

Fukuyama è stato intervistato sulla rivista Noema, pubblicazione del think tank Berggruen Institute, in una conversazione con Nils Gilman – vicedirettore del magazine – e Jonathan S. Blake, membro del Berggruen Institute.

Durante la lunga conversazione il tema dell’attualità dello Stato-nazione è stato affrontato da più angolazioni, provando a rispondere alla domanda centrale che pone Gilman in apertura: «I governi di tutto il mondo, in particolare le democrazie, stanno affrontando una doppia crisi di efficacia e legittimità: sembrano sempre più incapaci di risolvere i principali problemi planetari come il cambiamento climatico e la pandemia di Covid-19. E da tali fallimenti, segue una crisi di legittimità. Abbiamo raggiunto il punto in cui gli Stati devono delegare una certa quantità di autorità a una sorta di istituzione politica sovranazionale?».

Per Fukuyama non è ancora il momento di riporre in soffitta il protagonista dello scacchiere internazionale, quello emerso con prepotenza dopo il 1648 – cioè dalla Pace di Vestfalia successiva alla Guerra dei trent’anni.

Più che accantonare lo Stato-nazione forse sarebbe il caso di accelerare e incrementare la cooperazione internazionale, spiega il professore della Stanford University: «Gli organismi sovranazionali con potere e autorità reali creano a loro volta problemi che nessuno ha ancora risolto del tutto». Uno di questi, appunto, riguarda il potere di far rispettare le leggi, mantenere l’ordine interno, difendere la nazione dai nemici esterni, che sono attribuzione esclusiva dello Stato.

«Prendiamo ad esempio la crisi dell’euro e dei rifugiati nell’Unione europea. In teoria, quella di Bruxelles è una comunità che può dettare regole comuni. Ma basta che uno degli Stati membri veda messo in discussione i propri interessi e subito dice “chissenefrega”. E non c’è niente che l’Unione possa fare al riguardo. E se l’Europa non può farlo oggi, non vedo come si possa delegare in futuro il governo dell’uso della forza a un organismo sovranazionale», dice Fukuyama.

L’altra ragione che spiega quella che per Fukuyama sembra una superiorità ontologica dello Stato sulle istituzioni sovranazionali riguarda la capacità dello Stato di imporsi come soggetto con una forte dimensione culturale: un insieme condiviso di valori, tradizioni o narrazioni storiche che non sembrano affatto in diminuzione, considerando le ondate nazionaliste in diversi Paesi del mondo.

«In breve – dice Fukuyama – l’esigenza di avere un’istituzione evoluta in grado di controllare la violenza e l’esigenza culturale della comunità di credere in quelle istituzioni risiedono ancora nei confini dello Stato-nazione. Quindi, se hai intenzione di affrontare questioni planetarie, devi prima convincere quelle unità a cooperare, piuttosto che delegare un serio potere coercitivo a qualche organismo di livello superiore».

Semmai si potrebbe immaginare un futuro in cui cambia l’organizzazione, le prerogative e il funzionamento degli Stati-nazione, almeno in alcuni settori. Quanto basta per affrontare il tipo di sfide che la vita collettiva dovrà affrontare in futuro: sfide che non potranno essere circoscritte alla dimensione nazionale.

Anche per Fukuyama, infatti, molte di queste sfide globali non possono essere risolte dai singoli Stati. Ma poi si rivolge ai suoi interlocutori con una domanda: «Quanti di questi potrebbero essere risolti da una migliore cooperazione tra gli stati esistenti?».

A questo punto Jonathan Blake propone un esempio specifico: «Prendiamo le due sfide planetarie più attuali: il cambiamento climatico e le pandemie. In entrambi i casi c’è una tensione fondamentale in cui l’unità decisiva, lo Stato, sembra essere una barriera piuttosto che parte della soluzione».

La risposta di Fukuyama sta nella necessità di scegliere il minore dei mali, in un certo senso: se per i singoli Stati queste sfide sono un enigma di difficile soluzione, è anche vero che gli stessi Stati sono – con buona probabilità – il soggetto migliore per iniziare a immaginare e progettare una soluzione.

Anche perché, spiega, difficilmente chi oggi detiene quel tipo di potere sarà disposto a cederlo. Al massimo potrebbe accettare di delegare in situazioni eccezionali: per le istituzioni democratiche è più semplice, psicologicamente, cedere il controllo a qualcun altro piuttosto che essere ritenuti responsabili di qualcosa che non possono controllare – come le pandemie o il cambiamento climatico, appunto.

Ma, nel caso, dovrebbe cambiare prima di tutto la percezione riguardo l’urgenza di affrontare queste sfide. Nel libro “The Ministry for the Future”, Kim Stanley Robinson propone proprio uno scenario del tutto eccezionale: una crisi climatica gravissima porta l’India a cedere la sua autorità di Stato-nazione per svincolarsi dalle responsabilità di dover risolvere quel problema. E in un certo senso è così che sono state create nuove istituzioni in passato: una minaccia travolgente e immediata che convince le persone al potere ad abbandonare l’autorità.

«Il problema con il cambiamento climatico, tuttavia, è che politicamente è un esempio sbagliato. Le minacce a lunga scadenza creano pochi incentivi a far muovere la politica verso la prevenzione», spiega Fukuyama.

Quel che resta da fare è immaginare scenari in cui un politico vorrebbe delegare il potere a qualcun altro. Quanto dovrebbero peggiorare le cose prima che un politico sia disposto a rinunciare al controllo della propria autorità in materia economica, ad esempio, o a qualsiasi altra cosa di cui i leader politici pensano di avere la responsabilità?

«Parte del motivo per cui lo Stato-nazione rimane così durevole – dice Fukuyama – è che abbiamo avuto oltre 300 anni per pensare a come costruire istituzioni di un certo livello. Abbiamo avuto molta esperienza pensando a pesi e contrappesi, a sistemi parlamentari e presidenziali e così via. Non abbiamo avuto nulla di simile a quel tipo di sperimentazione o conoscenza accumulata con istituzioni sovranazionali. Il timore immediato che sorge quando si parla di creare un’istituzione sovranazionale seria e potente è la questione dei pesi e delle contrappesi: come possiamo assicurarci che qualunque nuovo potere gli venga loro attribuito sarà poi usato esclusivamente per risolvere problemi planetari e non usato impropriamente per fare altre cose? C’è una lunga storia in cui le istituzioni politiche sono solo macchine per l’accumulazione di potere e non si concentrano sull’uso del potere per fini positivi».

Infine c’è un altro punto sul quale è opportuno riflettere, spiega il professore della Stanford: qual è la procedura per progettare un’istituzione planetaria funzionante? «Spesso – dice Fukuyama – le procedure utilizzate per creare una Costituzione finiscono a loro volta per diventare parte della Costituzione. Solo che se lasci che una legislatura in carica disegni una Costituzione, tutto ciò che faranno è proteggere i loro poteri esistenti».

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter