L’intersezionalismo è il Superclassifica Show di questo secolo. Il primo posto si raggiunge con un complicato sistema di punteggi parziali. Certo, se sei nero sei vittima. Ma se sei donna nera? Uh! E se sei donna nera trans? Tua è la Terra e tutto quel che contiene e – quel che più conta – tua è l’insiemistica della discriminazione, figlia mia.
Poiché i social non creano dinamiche, ma le anabolizzano, una variazione dell’intersezionalismo è alimentata dal quotidiano bisogno di mostrare a coloro coi quali interagiamo virtualmente che non siamo così limitati da spenderci per una sola buona causa, da struggerci per un solo male del mondo, da dedicare le nostre attenzioni a una sola disgrazia.
Lo fa qualunque cancellettista minore che seguiate: una storia Instagram sull’Afghanistan, una sul bruto che le ha detto «abbòna» sporgendosi dall’impalcatura, una sulla vicina d’ombrellone che non fa vaccinare il figlio che compie dodici anni dopodomani, una su Haiti – eccetera, con preferenza per le disgrazie lontane, giacché inginocchiarsi per il caporalato in Calabria è terribilmente meno chic che prodursi in rituali solidali contro la polizia di stati americani che non sapremmo trovare sulla cartina (non che la Calabria, ecco, come dire).
Lo fanno le minori, poteva mai risparmiarcelo la dolente maggiore? E infatti Meghan Markle, la Diana Spencer che questo secolo può permettersi, ha prodotto un comunicato (firmato col marito, che si fatica a credere abbia scelto anche solo gli aggettivi) che è tutto intersezionalismo e dizionario dei sinonimi.
Vediamolo nel dettaglio, questo formidabile pezzo di letteratura contemporanea.
«Il mondo è eccezionalmente fragile in questo momento» (non aggiunge «è per questo che io prospero», apprezzerete la discrezione).
«Mentre sentiamo tutti i molti strati di dolore dovuti alla situazione in Afghanistan, restiamo senza parole» (il dolore multistrato, il club sandwich del dolore).
«Mentre guardiamo tutti il crescente disastro umanitario ad Haiti, e il rischio che peggiori in seguito al terremoto dello scorso fine settimana, restiamo col cuore spezzato» (iniziate a sentire il ritmo, sì? Non azzardatevi a pensare che ce l’abbia nel sangue, mostri).
«E mentre siamo tutti testimoni della perdurante crisi sanitaria globale, esacerbata da nuove varianti e dalla costante disinformazione, restiamo spaventati» (chissà cosa intende con «disinformazione»: vuoi che non sia come minimo devota ai fiori di Bach?).
Poi dice che come esseri umani siamo condizionati (dell’algoritmo? Dalla chiesa cattolica? Da mamma Ebe?) a credere che la sofferenza sia imprescindibile, e che vuole farci fare delle offerte a organizzazioni umanitarie (il mio lato preferito degli americani è la disinvoltura con cui i milionari ti dicono che dovresti fare beneficenza), e che insieme possiamo farcela. Nessuno si salva da solo, come ci assicurava anni fa una scrittrice sua quasi omonima.
Ci ha messo il Covid perché vuoi non mettercelo in questo decennio, l’Afghanistan perché vuoi non mettercelo questa settimana, e Haiti perché lei è milionaria – e noi no – anche perché sa fingersi interessata persino alle tragedie che non trovano posto in apertura dei tg.
È, dice l’aspirante principessa del popolo, così che proviamo la nostra umanità, «alleviando le sofferenze di coloro che conosciamo e di coloro che potremmo non incontrare mai». Chissà a quale dei due insiemi pensa quando pensa a Kate Middleton. Forse a entrambi.
Forse Meghan Markle ha creato l’intersezione perfetta. Quella tra gente che purtroppo conosci e gente che speri di non dover mai più frequentare. Quella dell’alleviare con un bonifico le sofferenze degli altri purché essi altri non pretendano che tu rivolga loro la parola: le iniziative umanitarie per il terzo mondo come gli alimenti a certe ex mogli particolarmente odiose.
Soprattutto, Meghan Markle si è posizionata in un dibattito che finora aveva visto schierate solo celebrità minori: e tu con chi stai, col cantante che mette su il fondo per aiutare i lavoratori dello spettacolo fermi per la pandemia, o con quello secondo il quale la beneficenza si fa ma non si dice?
Per Meghan è evidente, è ovvio, è il solito albero nella solita foresta: se penso fortissimo all’Afghanistan senza instagrammarmi, se dono alle buone cause senza dirlo a nessuno, se perseguo il bene senza comunicato stampa, ho pensato davvero, ho donato davvero, ho perseguito davvero?
E, soprattutto, se non ricordo al pubblico che sto dalla parte dei buoni, se non rimarco che il cogente elenco delle buone cause del momento mi è chiaro, se non fortissimamente dico che urge essere buoni, non correrò il rischio che mia non sia la Terra e tutti i cuoricini e le condivisioni e le visualizzazioni che contiene?