La tragedia e i poriL’influencer di Nine Perfect Strangers è la fotografia dei nostri tempi narcisisti

Per adesso il dettaglio più interessante della nuova serie su Prime (con Nicole Kidman nei panni di una mamma Ebe gnocca e russa) è la ragazza famosa grazie a Instagram. Il suo personaggio racconta, con la finzione, la verità di quello che siamo diventati

frame da Nine Perfect Strangers

Cerchiamo la tragedia. La inseguiamo, la condividiamo sulle nostre pagine, la cuoriciniamo: siamo convinti ci dia gravitas. Se posto di qualche guerra in qualche sud del mondo, invece che del mio nuovo mascara che le ciglia le fa proprio lunghissime, allora sì mi prenderanno sul serio.

Poi, per fortuna, arriva qualcuno che sappia scrivere a ricordarci che le vere tragedie sono quelle ridicole, che per pittare un’epoca servono dettagli minuscoli e apparentemente irrilevanti, che la vecchia di Pirandello oggi siamo tutte, nessuna si senta offesa.

“Nine Perfect Strangers” è lo «squadra che vince non si cambia» di “Big Little Lies”. Dalla stessa romanziera (Liane Moriarty), lo stesso autore televisivo (David E. Kelley), con la stessa Nicole Kidman che produce e interpreta, questa volta, una mamma Ebe però gnocca (e di origine russa: Nicole ricorda di fare l’accento russo in un decimo delle scene, ma chi se ne importa).

“Nine Perfect Strangers” (su Prime; “Big Little Lies” era su Sky: se il modulo funziona, funziona ovunque, e Prime per l’occasione utilizza il metodo da tv e non da piattaforma di darti una dose di droga – cioè: una puntata – a settimana) è il soggiorno dei nove estranei nel ritiro gestito dalla mamma Ebe gnocca e russa.

Il posto si chiama Tranquillum, che dà subito l’idea della burinata e quindi è perfetto. Non è, ovviamente, la spa in cui si aspettano di andare questi nove disgraziati. È un posto pieno di segreti e perversioni e bugie e trucchi per ottenere sangue (suspense: cosa ne faranno?) e ancora non si sa cos’altro dagli ospiti (non sono avvantaggiata: ho visto solo le tre puntate che sono già su Prime e che potete vedere anche voi).

Ospiti che a loro volta sono pieni di segreti e bugie e vergogne: la famiglia il cui figlio s’è ammazzato tre anni prima e che non s’è mai ripresa; la scrittrice d’apparente successo cui l’editore ha appena detto che il nuovo manoscritto fa schifo; l’ex campione sportivo con ginocchio sfasciato dipendente dagli antidolorifici; ma, soprattutto, la influencer.

Tre scene della influencer valgono cento editoriali medi riflessivi su questo mondo esibizionista dal quale ci facciamo ingoiare, dieci romanzi sulla contemporaneità, cinque monologhi folgoranti di comico in forma.

Il dettaglio che farà ridere solo gli italiani è che il compagno della influencer – compagno che poi è la ragione per cui ella va in questo posto in cui ti sequestrano i telefoni proprio come nei ritiri di yoga frequentati da Carrère, ed è quindi costretta a rinunciare alla propria natura: la ragione è che vuole salvare la storia d’amore con questo tizio che come lei non saprà chi sia Carrère – ha una Lamborghini. Sì, come il marito di quella influencer che non c’è bisogno di nominare, dell’archetipo di tutte le influencer (no, forse l’archetipo è Kim Kardashian: facciamo vicearchetipo con delega per il mercato italiano).

Ma, quando gli chiedono di raccontare la propria vita, come se la sia comprata, come abbia fatto i soldi, il ragazzo dice una cosa stupenda, che spero si confermi nelle prossime puntate vera e non una balla di posizionamento: ho vinto la lotteria. Guidavo un furgone che vendeva cibo, era faticoso ma miglioravo le giornate della gente. Poi ho vinto 22 milioni. Non dice che il denaro ti arrubba la felicità, ma quasi.

Ma torniamo a lei, al mio personaggio preferito degli ultimi anni di televisione.

A un certo punto va a parlare con mamma Ebe Kidman, e le dice una cosa minuscola e straziante. Dice che quando immagina la propria morte non pensa al dolore della famiglia: pensa ai commentatori social. Diranno che è una tragedia che sia morta così giovane e bella, e questo è un sollievo; ma poi si dimenticheranno di lei, e questo è un dramma.

Ogni mattina – ogni mattina prima di arrivare a Tranquillum, dove la traumatizzano requisendole il telefono, cioè la sua economia del sé – la influencer come prima cosa apre Instagram e controlla che tutti dicano che è belloccia. Giacché, spiega, lei non si trova tale. Procede a elencare difetti immaginari, e sarebbe un’ordinaria scena di ventennitudine (di cosa diamine ti devi preoccupare, a vent’anni, se non d’essere belloccia e del mal d’amore?). Senonché a un certo punto dice le parole magiche: ho i pori troppo grandi.

Questo articolo è il mio modo di scusarmi con l’amica che svolge molta parte delle proprie attività imprenditoriali su Instagram, e che da anni mi parla della percezione alterata di cui sono vittime le ragazze che le scrivono: sono così abituate ai filtri che se si vedono i pori della pelle si spaventano, sono convinte di non doverli avere. Sono anni che le rido in faccia. Aveva ragione lei.

Magari no, direte voi: la tizia ossessionata dai pori è un personaggio di finzione, mica un’inchiesta svolta tra le giovani d’oggi.

Ma è esattamente a questo che serve la finzione: a svelare la verità. (Non ho sottomano una copia del “Falò delle vanità”, ma Sherman McCoy diceva qualcosa tipo: farò trionfare la verità nell’unico modo in cui si possa fare, mentendo).

Per conoscere la Francia dell’Ottocento, Balzac è più utile dei sussidiari. Volendo capire il carattere degli italiani, raccomanderei “Il gattopardo”, mica i “Comizi d’amore”. E, per quel che ne ho visto finora, un’influencer inventata, privata del suo cellulare, dei suoi like, delle sue conferme, dei suoi filtri che azzerano i pori, di infiniti specchi frantumati che le consentono di rimirare sé, di pensare a sé, di guardare sé, quell’influencer che neanche esiste è una tragedia più illuminante di tutte quelle contenute nell’”Introduzione al narcisismo”. Scusami, Sigmund.