Il lavoro di chi fa il pane si concentra su quattro ingredienti – farina, acqua, lievito e un pizzico di sale. In mezzo, tanti gesti. La farina che scivola tra le mani. Il gesto della formatura. L’infornata. Il taglio del filone per mostrare l’interno, l’alveolatura. Qualche storia su Instagram in cui si spiega l’errore del giorno o la piccola grande soddisfazione. I panificatori sono tornati a metterci la faccia: non si nascondono più in laboratori da cui fuoriusciva un solo profumo, fragrante e invitante, ma sempre uguale a se stesso. Parlerebbero per ore delle loro miscele e dei produttori che hanno scelto. Si legano al territorio e lo raccontano con ricette speciali. Credono nell’artigianalità della loro vocazione. Sanno che per fare il pane servono fatica, passione e alzatacce. Ecco le quattro verità che spiegano perché dobbiamo ricominciare a fidarci del pane.
Materia prima
Quando si parla di pane, una riflessione su terra e lavoro è necessaria. Il comparto agroalimentare rappresenta l’11% del Pil italiano e crea lavoro per 1,5 milioni di persone. Persone come Filippo Drago, patron dell’azienda Molini del Ponte, dimostrano che il grano antico, che lui per primo ha rimesso sotto i riflettori, è più di una materia prima: è stata una via di fuga dalla disperazione di quei prezzi troppo bassi. Profeta inascoltato in patria, ha reso unico il pane nero di Castelvetrano, trasformandolo ne Il Castelvetrano. «In una farina vera ci deve essere solo il grano, non importa se moderno o antico – spiega Drago – Deve essere coltivato nel suo territorio o almeno in Italia, per fare dei pani davvero tipici. Anche l’origine del mulino conta, così come il processo di lavorazione del grano, che deve essere raccolto, pulito, conservato, pulito ancora, poi molito e lasciati tal quale. Ma l’altro ingrediente fondamentale è l’onestà dell’intera filiera. Per questo abbiamo deciso di chiudere il cerchio creando un panificio accanto al Molino in cui realizzeremo i prodotti da forno della linea Grani d’Autore, preparandoci anche al delivery in tutta Italia».
Territorio
Roberta Pezzella si è tatuata sul braccio il motto «Il pane è una cosa seria». Lo è così tanto che ha dovuto fermarsi perché le facevano male le mani per il troppo impastare. Dopo aver girato l’Europa e aver fatto suo il metodo di panificazione americano, oggi, a 39 anni, è considerata una delle panificatrici più brave d’Italia. Ha strappato il mestiere con le mani e con i denti. L’incontro con Heinz Beck le ha cambiato la vita: è lì che si è innamorata della lievitazione. Poi i tre anni da Bonci. Infine, il ritorno a Frosinone con il suo progetto, Pezz de Pan: cinque tipi di pagnotte, ognuna dedicata a una persona. «Non c’è una sola verità, così come non c’è un solo pane e quindi nemmeno un solo gusto». Lo dice anche Matteo Piffer di Panificio Moderno di Trento: «La complessità del pane deve essere intesa come diversità di farine, tecniche, lieviti e batteri. Voglio meravigliarmi nel vedere l’armonia che troviamo nel prodotto finito». I panificatori italiani stanno impreziosendo la provincia: chi tornando a casa, come Pezzella, chi sposando il paese d’origine della sua compagna, come Marco Lattanzi che ha dato il via alla new wave di panificatori pugliesi a Corato (Ba). E nel legame tra pane e territorio si scrivono tante verità.
Vendita
Anche nelle pezzature, oltre il chilo, c’è un messaggio. Si conservano meglio, sono semplici da rigenerare in forno e cambiano con il passare dei giorni. «Un pane di grande formato è come un vino – spiega Lattanzi – riesce a maturare perché dentro ha una parte viva, che fa evolvere il prodotto nell’arco dei 7-10 giorni. Ciò che conta è il rapporto crosta-mollica. E questo fa parte della mia ideologia di artigiano». Inoltre, sono perfette anche per le spedizioni. Durante la pandemia tanti panificatori hanno messo su delivery che portano pagnotte, ma anche pizze e focacce, in giro per l’Italia. Per renderlo possibile, hanno analizzato i propri impasti, punti di forza e di debolezza. Hanno creato siti e app. Ma soprattutto hanno pensato alla forma più efficace per allungare la data di scadenza, e il grande formato ne è uscito vincente rispetto al panino. Inoltre, molti artigiani sono entrati nelle cucine dei cappelli alti per portare la propria verità nel cestino del pane da ristorante, sempre meno banale.
Comunicazione
C’è chi ha scelto di mettere in comune le esperienze e il sapere, creando un movimento, quello dei Panificatori Agricoli Urbani. Nel loro manifesto si legge «Fare il Pane è il nostro modo per prenderci cura della fertilità del suolo, per coltivare relazioni sincere e per esprimere il nostro senso di responsabilità verso il prossimo». Un punto di partenza per un lavoro che, più che di passato, parla di futuro. Un bel futuro, che però va raccontato. Marco Lattanzi comunica il suo pane con trasparenza e sincerità. Ha acceso le luci sul suo laboratorio perché non basta farsi capire solo attraverso una pagnotta. «Finora, insieme al lavoro, è stata nascosta la fatica di questo mestiere», spiega il creatore di Il Panificio il Toscano di Corato (Ba). Il lavoro che si fa comunicando è anche quello di ridare valore all’artigianalità, che significa mostrare la pagnotta, che non ha forme sempre uguali e che il prodotto finisce, senza la corsa a riempire di continuo gli scaffali. In virtù di tutto questo, ricominciamo a fidarci del pane: è lì che troviamo le verità più importanti su di noi e sul nostro pianeta.
28 Agosto 2021