Papeete ha fatto pippaLa parabola triste di Salvini alla ricerca di un’egemonia perduta

Il leader della Lega non vuole creare davvero serie fibrillazioni nel governo, di quelle che non si sa dove possano portare. Il quadro politico gli sta benissimo così com’è. Sa che non toccherà palla alle amministrative di ottobre, e per risalire la china tenta di costruire un argine al successo di Fratelli d’Italia ammaliando un Berlusconi in disarmo

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Ci sono delle espressioni nel giornalistichese politico abbastanza brutte. Una di queste è: tal dei tali «ha fatto pippa», per dire – chiariamo ai non romani – che è stato zitto, non ha replicato, ha subito. Potrà non piacere l’espressione ma si attaglia bene al Matteo Salvini di questi giorni: egli sta facendo pippa un po’ su tutto. Gli basta apparire nei pastoni dei tg, dichiara su tutto e su niente, passa di palo in frasca, quando non ha proprio nulla da dire ritira fuori Elsa Fornero, soprattutto cerca disperatamente qualche nemico perché senza è come i bambini a cui hanno tolto le macchinine. Si tira persino fuori dalle battaglie elettorali certamente destinate alla sconfitta, per esempio non candidandosi al consiglio comunale della sua Milano – prima volta da 28 anni! – per non mettere nemmeno di profilo la sua facciona sul disastro della destra dinanzi alla vittoria di Beppe Sala.

Il nuovo nemico – anzi, nemica (com’è stato notato, è più a suo agio a prendersela con le donne) – è Luciana Lamorgese, criticata per la vicenda del Rave party nel viterbese, una Woodstock da Strapaese che è stata effettivamente tollerata per troppi giorni: ma in definitiva si tratta di un casus belli agostano, non uno scandalo in grado di terremotare il Viminale. 

È chiaro, dietro questa polemica, che l’uomo del Papeete non digerisce qualcosa di ben più sostanzioso, e cioè il fatto che la ministra dell’Interno sta gestendo il problema dell’accoglienza degli immigrati molto meglio di lui, che ai tempi del governo Conte I lasciava donne, uomini, vecchi e bambini allo stremo delle forze fuori dai porti siciliani «per difendere l’Italia». Lamorgese invece dimostra ogni giorno che l’Italia è salva anche accogliendo qualche decina di disperati e che non c’è nessuna invasione in atto, né aumento di criminalità, furti, stupri e via dicendo: così cadono le retoriche di cartapesta.

Salvini peraltro si rende benissimo conto che la titolare del Viminale non verrà sostituita e non perché «Draghi la blinda» come dicono sbrigativamente i giornali ma perché non esiste – lo abbiamo appena detto – un motivo valido per rimuoverla. Ci sarà un colloquio tra la ministra e il suo predecessore alla presenza del presidente del Consiglio, e questo gli basterà per i suoi 10 secondi al telegiornale, poi la partita sarà chiusa. Fino alla prossima mossa propagandistica. Perché questo è il punto attuale della linea politica di Salvini: propaganda e non politica, comunicazione e non contenuti. Oltre il comizio, in piazza o in tv, Salvini non va. Non è nelle sue corde di cantante di provincia intonare Puccini, non è nel suo bagaglio mentale costruire cattedrali d’idee.

E così ugualmente sul penoso caso-Durigon. Il capo della Lega ha sperato che la polemica si spegnesse e che alla lunga nessuno di ricordasse più della demenziale proposta del sottosegretario di dedicare il parco Falcone-Borsellino di Latina al fratello del duce, il fascistissimo Arnaldo Mussolini. Invece Mario Draghi, ed Enrico Letta, questa cosa non l’hanno dimenticata. E il presidente del Consiglio ha dato l’idea di volerla chiudere ottenendo dimissioni spontanee di Durigon, il quale però resiste, forse anche perché non avrà letto la Treccani alla voce “Arnaldo Mussolini” che «ebbe un ruolo decisivo nella stabilizzazione del regime», come peraltro noto a chiunque conosca un minimo la storia del fascismo.

Eppure, le voci dicono che il sottosegretario, di riffa o di raffa, dovrà lasciare il suo incarico, e, soprattutto, rassegnarsi al fatto che il suo leader non lo salverà, augurando noi a Salvini che Durigon non ricordi un terribile motto di Arnaldo Mussolini: «Tradire è perire».

La verità è che Salvini non ha affatto interesse a creare serie fibrillazioni nel governo, di quelle che non si sa dove possano portare, non ha intenzione di accendere potenziali focolai di destabilizzazione di un quadro politico che gli sta benissimo così com’è: sta al governo, con Giancarlo Giorgetti in posizione chiave, e contemporaneamente ha le mani libere quel tanto che basta per fare, come detto, un po’ di casino in favore di telecamere. 

Certo, non è un linea politica esaltante. Insidiato dalla ben più vista Giorgia Meloni, ormai più popolare di lui, l’ex Capitano ascolta i brontolii che rumoreggiano al Nord (si dice che il tradizionale appuntamento di Pontida salti proprio per evitare qualche polemica pubblica), sa che non toccherà palla alle amministrative di ottobre, e per risalire la china tenta di costruire un argine al successo di Fratelli d’Italia ammaliando un Silvio Berlusconi in disarmo. Ma unire le forze in un’unica formazione, dice un sondaggio, sembra non convenire, e quando si tratta di Berlusconi non si può mai essere certi di nulla, talché non è detto che i progetti di fusione o quello che è andranno avanti. Così l’ex ministro dell’Interno “fa pippa” su tutto, vagando di Papeete in Papeete alla ricerca di un’egemonia perduta.

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