It’s ferie d’agosto, stupidL’era della borghesia burina (e ci credo, con la sinistra che abbiamo)

Di fronte alla classe progressista più antipatica della storia, la gente reagisce dando ascolto ai leader populisti. Questi del resto assecondano il popolo in tutto (come succede in Florida), anche nel rifiuto di indossare mascherine o vaccinarsi

Claudio Furlan/LaPresse

Scriveva Baricco quand’eravamo tutti assai più giovani che «accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita ti risponde». Aggiornato a quelle che sono diventate le conversazioni nell’epoca dei monologhi, clicchi link che sono come domande: ne clicchi un altro centinaio, o se sei più fortunata al massimo un paio, e la vita ti risponde.

Nel caso della notte scorsa, avevo cliccato Paul Krugman. Che, sul New York Times, s’interrogava su Ron DeSantis, governatore repubblicano dello stato della Florida che fa gli stessi capricci che fa la destra di qui: con dieci volte i contagi e i morti che ci sono a New York, proibisce ai negozi di pretendere vaccinazioni dai clienti e alle scuole di pretendere mascherine dagli allievi.

È un complotto della sinistra, dice DeSantis, e Krugman trasecola: scemo non è, quindi perché dice queste cose? Se posso permettermi di spiegare una cosa a un premio Nobel per l’economia qual è Krugman, è solo perché ho un vantaggio: sono connazionale dell’uomo che ha detto tutto ciò che serve per capire la contemporaneità. Tra le altre cose, Corrado Guzzanti ci spiegò anche la svolta niente ordine e niente legge della destra: è la casa delle libertà, facciamo un po’ come cazzo ci pare.

Tuttavia, prima di procurarmi video di Guzzanti sottotitolati in inglese da mandare a Krugman, ho letto David Brooks sull’Atlantic. Brooks è quello che, ventun anni fa, s’inventò i BoBo, bourgeois bohemien: la classe dirigente che, invece di mettere l’orologio sul polsino, compra olii essenziali.

Se pensate che l’ha inquadrata un bel po’ prima che persino il vostro commercialista vi parlasse di come lo yoga gli ha cambiato la vita, capirete che l’uomo sa quel che fa.

Adesso, Brooks ha deciso che è arrivato il momento di portare di nuovo avanti la sua vocazione di allevatore di maiali editoriali, quella categoria che include noialtri che d’un’idea, così come del porco, non buttiamo niente: un articolo diventa un libro che diventa un film che diventa la certezza che neanche l’anno prossimo dovrò trovarmi un lavoro vero.

Ventun anni dopo, si scopre che tutto quello yoga e tutti quegli olii essenziali hanno fatto male agli equilibri politici: il porco del mese è il BouBour. Trattasi di boorish bourgeoisie, borghesia burina. Insomma: delle destre contemporanee (per la gioia dei commentatori di qui, Brooks ci mette dentro anche Salvini). 

L’invenzione del marchio non è sua: i bourgeois-bourrin, oltre che nelle nostre vite e nei nostri Instagram e nei nostri televisori, stanno coi loro tatuaggi e il loro anti-intellettualismo in due libri francesi del 2016, Anthropologie du Boubour e La quadrature des classes; ma Brooks sa che solo un autore americano sa prendere un saggio sulle classi sociali e ridurlo a slogan pubblicitario e a sigla accattivante. 

Una volta, dice Brooks, era tutto più semplice: «C’erano i ricchi, che s’iscrivevano ai circoli del tennis e votavano repubblicano; la classe operaia, che lavorava in fabbrica e votava democratico; e in mezzo, la massa della piccola borghesia di provincia. Avevamo un’idea precisa di cosa sarebbe stato il conflitto di classe, quando fosse arrivato: gli appartenenti alla classe operaia si sarebbero alleati con gli intellettuali progressisti per scalzare l’élite capitalista. Eppure, quando il conflitto di classe è arrivato, nel 2015 e 2016, non somigliava per niente a quella nostra idea».

Improvvisamente c’era la destra che mica rappresentava più l’aristocrazia: difendeva la classe operaia. E i partiti di sinistra, invece d’incarnare la rivolta del proletariato, erano considerati in ostaggio delle élite troppo istruite («voi intellettuali v’atteggiate tanto, parlate così sofistici»: datemi l’indirizzo di Brooks, devo mandargli un dvd di “Ferie d’agosto”).

Come tutti noi commercianti di suini, Brooks si rivende come premessa i BoBo, e – fingendo di fare autocritica su quel che non ha capito della sinistra post-guerra fredda – ci ricorda alcune delle sue formidabili intuizioni circa le modalità con cui la sinistra è diventata una roba che chiunque abbia problemi di sussistenza prenderebbe a schiaffi. Per esempio: le stanze della casa.

Inaccettabile spendere cifre fantasmagoriche per quelle di rappresentanza – un lampadario di cristallo, che orrore – ma incoraggiato farlo per quelle che furono le stanze della servitù: è di sinistra spendere l’equivalente d’un mese d’affitto per un’isola a induzione sulla quale farsi due uova (uova di galline felici, sia chiaro). Quando parla delle preferenze per i materiali un po’ rovinati, lo leggi e ti vergogni per tutte le volte che hai detto a un agente immobiliare che tanto meglio se gli infissi erano marci, «mi piacciono le case fané» (sì, mi sto dando del tu).

Ventun anni fa, Brooks pensava ancora che quella fosse una sinistra accogliente, che «chiunque abbia le giuste competenze culturali e professionali» potesse farne parte; adesso, dice che è la frase più ingenua che abbia mai scritto. Era (siamo) una sinistra taleqquale al Silvio Orlando di “Ferie d’agosto” (cioè: di venticinque anni fa): non abbiamo niente contro i poveri, specie se poeticamente dei sud del mondo; ci fanno però schifo i poveri che hanno gusti dozzinali, che guardano programmi volgari alla tele, che pensano più a tatuarsi che alla differenziata.

E quindi ecco arrivare i BouBour: forti presso il pubblico (l’elettorato) che a destra cerca riparo, prima ancora che dai problemi economici, dall’umiliazione culturale.

Brooks si è formato come intellettuale negli anni del clintonismo, e quindi sottotraccia a tutta la sua riflessione c’è un «it’s the economy, stupid»: quasi mai parla di razza o di generi sessuali, e quando è proprio costretto a citare la suscettibilità (la wokeness) dice che è una strategia come un’altra per prendersi il potere.

I suscettibili non lo leggeranno (figurarsi: venti cartelle d’articolo) e quindi non sapranno mai della sua contrizione finale. Quella in cui dice che dovremmo dare meno peso ai titoli di studio e più alla capacità di collaborare con gli altri, e valutare un’infermiera almeno quanto un consulente aziendale.

Se anche si mettono di buzzo buono a leggerlo, s’areneranno a metà, quando dice che abbiamo sbagliato a escludere i conservatori, a essere intolleranti della diversità ideologica – sarà lì che gli daranno del fascista e chiuderanno innervositi la pagina. Peccato. Perché un articolo che non nomina mai la pandemia è un’ottima spiegazione di come siamo arrivati fin qui: con governatori della Florida e capi di partito europei al cui elettorato tocca dire che sì, avete ragione, la sinistra è prepotente e i vaccini sono un sopruso.

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