Mentre i talebani mostrano il loro volto spegnendo con gli spari le proteste a Jalalabad e Asadabad – due città a Est della capitale – l’Amministrazione Biden decide di bloccare l’accesso alle riserve valutarie della Banca centrale afghana depositate nelle banche statunitensi. E non è l’unico provvedimento economico per indebolire il nuovo Stato islamico: anche il Fondo monetario internazionale ha sospeso la distribuzione dei 460 milioni di dollari destinati all’Afghanistan per contrastare la pandemia.
La decisione degli Stati Uniti di bloccare l’accesso alle riserve, scrive il quotidiano statunitense Washington Post, è stata presa dalla segretaria al Tesoro Janet L. Yellen e dai funzionari del Foreign Assets Control, l’ufficio di controllo dei beni stranieri. Una scelta preventiva, stando alle parole del governatore della Banca centrale afghana Ajmal Ahmady, fuggito dal Paese domenica scorsa. «In nessun modo le riserve internazionali dell’Afghanistan sono mai state compromesse», ha infatti twittato l’altro ieri.
Ma le cose non vanno bene: «Se le persone credono che la situazione sia drammatica ma volga al termine, la stanno sottostimando. È finita la fase militare, ora dobbiamo guardare a quella economica», ha detto infatti lo stesso Ahmady in un’intervista al quotidiano britannico Financial Times. Le prospettive finanziare, ammonisce, sono disperate. Il Paese dipende in larga parte dalle spese militari, dagli aiuti esteri e dall’accesso ai circa 9 miliardi di dollari di riserve valutarie, che ora si stanno esaurendo, e questo provocherà un aumento dei prezzi dei generi alimentari e dei controlli sui capitali.
La minore disponibilità di liquidità di dollari e l’inflazione alta spingeranno le persone ad abbandonare l’Afghanistan, con conseguenze per i cittadini afghani e per l’Europa. Anche Ian Bremmer, presidente e fondatore della società di consulenza Eurasia Group, ritiene che la condizione economica disastrosa possa influire sui flussi migratori: «Vedremo molti più rifugiati e molto più radicalismo», ha dichiarato a The Washington Post.
Il governatore della Banca centrale afghana aveva già accennato allo stato delle finanze del suo Paese. In un lungo thread su Twitter, pieno di risentimento nei confronti del governo e di stupore per la rapida capitolazione dell’esercito, scriveva che prima della resa di Kabul la Banca centrale era riuscita a stabilizzare relativamente bene il contesto macroeconomico. La situazione è precipitata quando gli è stato comunicato che non sarebbero più arrivate le spedizioni fisiche di dollari, obbligando la Banca centrale afghana a fornire meno valuta ai mercati.
Nei giorni scorsi Ahmady è tornato sulla questione, assicurando con un altro cinguettio sul social che «i fondi accessibili ai talebani sono, forse, lo 0,1-0,2 per cento delle riserve internazionali totali del Paese». Nonostante le rassicurazioni, però, le conseguenze negative saranno gravi in particolar modo per le fasce più deboli della popolazione.
Secondo gli esperti, bloccare l’accesso alle riserve depositate nelle banche statunitensi non è solo la prima delle decisioni difficili che si prospettano per gli Stati Uniti. Un altro tema spinoso è la gestione delle sanzioni nei confronti dei talebani, sanzioni che potrebbero sospendere l’assistenza umanitaria e internazionale alle persone in difficoltà.
È un tema che per il momento Biden preferisce non affrontare, propendendo per l’appello vago fatto nel discorso di inizio settimana: gli Stati Uniti continueranno a sostenere il popolo afghano «con diplomazia, influenza internazionale e aiuto umanitario».
Ma «l’influenza internazionale» seguirà un percorso comune? Alcuni Paesi, tra cui il Canada, si sono già detti contrari a riconoscere il governo dei talebani. La posizione del primo ministro britannico, Boris Johnson, è più conciliante: «Lo riconosceremo a patto che vengano tutelati i diritti umani». Ancor più possibilista il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, che considera segnali incoraggianti la disponibilità dei talebani a collaborare con altre forze politiche e la loro rassicurazione di ammettere le ragazze nelle scuole, scrive l’agenzia di stampa AP.
I prossimi giorni chiariranno le questioni su cui gli esperti già si interrogano a Washington: bloccare l’accesso alle riserve è stata una scelta giusta? Alcuni sostengono di no, perché la decisione darà ai talebani l’impressione che il governo statunitense voglia distruggere il tessuto economico del Paese. Altri ritengono di sì, considerandola un incentivo per i talebani a comportarsi meglio.
Alcuni, però, ipotizzano che il blocco delle riserve imposto dagli Stati Uniti non intacchi le finanze dei talebani, che derivano – come denunciava Roberto Saviano sul Corriere – dal commercio illecito di stupefacenti. Il rischio, per ora, sembra essere che il nuovo Stato islamico riservi alle sanzioni americane lo stesso sprezzo dedicato alla democrazia.