Scomode veritàPerché quelle di Tokyo non sono le olimpiadi più ecofriendly della storia

Secondo uno studio, pubblicato sulla rivista Nature e incentrato sulle ultime 16 edizioni invernali e estive dei Giochi, la sostenibilità di queste competizioni internazionali è diminuita nel tempo, ottenendo - nell’arco di quasi 30 anni - un punteggio medio tendenzialmente scarso

LaPresse

I Giochi Olimpici di Tokyo 2020 non sono ancora terminati ma sono già passati alla storia. Non solo perché sono le Olimpiadi del Covid-19, degli stadi vuoti e delle interviste in videoconferenza. E neanche perché sono le più costose di sempre – secondo i dati infatti, il governo giapponese ha speso più di 20 miliardi di dollari per la realizzazione dell’evento, quasi tre volte la previsione originale di circa $7,4 miliardi. No, queste Olimpiadi sono passate alla storia (anche) perché si sono dette le più sostenibili. Ma è davvero così?

Prima dell’inizio dei Giochi, gli organizzatori di Tokyo 2020 avevano rilasciato una dichiarazione assai coraggiosa. In un report pubblicato a Giugno, sull’impronta ambientale dell’evento, avevano affermato che le Olimpiadi di quest’anno non sarebbero state solo carbon neutral, ma addirittura carbon negative. Il che vuol dire che avrebbero rimosso maggiori quantità di emissioni a effetto serra di quelle immesse nell’atmosfera.

Fin da subito allora sono state fissate grandi aspettative riguardo il rapporto tra le Olimpiadi e la loro sostenibilità, e tutti i riflettori erano puntati sul Giappone. «La strada per contribuire a una società sostenibile sarà irta di varie difficoltà, ma la determinazione delle molte persone coinvolte nei Giochi consentirà di superare queste sfide – aveva affermato Yoshiro Mori, presidente al momento della pubblicazione – Tokyo 2020 non solo perseguirà iniziative di sostenibilità e le trasmetterà ai Giochi futuri, ma creerà anche ricordi vividi del valore dello sport nelle menti delle persone del mondo, e ciò contribuirà a realizzare la società sostenibile di domani».

Una dichiarazione coraggiosa, supportata dalla strategia di sostenibilità globale promossa dalle Nazioni Unite (SDG’s) in materia di cambiamento climatico, gestione delle risorse, ambiente naturale e biodiversità, approvvigionamento e altro ancora.

E sulla carta, sembra tutto fantastico. Tra i vari progetti messi in atto, ad esempio c’è quello del BATON (Building Athletes’ village with Timber Of the Nation), al quale hanno aderito 63 comuni in tutto lo Stato.

Il progetto prevedeva di costruire il Village Plaza, la residenza degli atleti, utilizzando legname giapponese proveniente da fonti sostenibili e/o donato dalle autorità locali, per poi smantellarlo dopo i Giochi al fine di restituirlo alle comunità per il riutilizzo.

C’è poi anche il Tokyo 2020 Medal Project, che consisteva nella raccolta di dispositivi elettronici usati, da cui sono poi stati estratti i metalli preziosi in essi contenuti e riciclati per creare le medaglie olimpiche d’oro, d’argento e di bronzo.

Per la riuscita del progetto erano state installate più di 18mila cassette di raccolta dei dispositivi presso gli uffici delle aziende partecipanti e partner dei Giochi, nei dipartimenti governativi e nelle camere di commercio di tutto il Paese.

Vanno poi menzionati anche il riutilizzo di alcune sedi esistenti, il riciclo del 65% dei rifiuti prodotti durante l’evento e la decisione del team giapponese di indossare divise realizzate con abiti riciclati. Così come la scelta di utilizzare l’idrogeno, che non emette anidride carbonica quando viene bruciato, come combustibile per la torcia olimpica.

Ognuno di questi elementi si somma in quello che apparentemente sembra uno sforzo gigantesco nella direzione della sostenibilità. Ma tutto questo è davvero sufficiente per dichiarare Tokyo 2020 l’Olimpiade più ecologica di sempre?

Sicuramente, gli sforzi compiuti per alleggerire l’impatto che un evento internazionale così grande ha sul pianeta sono da applaudire. Ma va fatto però notare che non sono comunque abbastanza. Anzi, i Giochi di Tokyo sono rappresentativi di un generale declino della sostenibilità delle Olimpiadi. Secondo uno studio, pubblicato sulla rivista Nature, realizzato dai geografi e ricercatori dell’Università di Losanna, Svizzera, la sostenibilità di quest’evento mondiale sta diminuendo con il passare degli anni. A sostegno di questa affermazione, lo studio ha analizzato e misurato la sostenibilità delle ultime 16 edizioni, invernali e estive, dei Giochi Olimpici in termini di efficienza economica, impatto ecologico e giustizia sociale.

Le categorie di efficienza economica e giustizia sociale includevano metriche come lo spostamento della popolazione e quale quota del budget dell’evento era coperta dai contribuenti locali. La categoria ecologica si concentrava invece sulla dimensione fisica dell’evento, il numero di partecipanti e la quota di edifici di nuova costruzione utilizzati durante i Giochi. Nello studio però, come specificano i due autori Martin Müller e Sven Daniel Wolfe, la carbon footprint non è stata presa in considerazione come fattore poiché la misurazione e la segnalazione delle emissioni erano incoerenti tra gli eventi.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la sostenibilità delle Olimpiadi è effettivamente diminuita nel tempo, ottenendo – nell’arco di quasi 30 anni – un punteggio medio tendenzialmente scarso. Questo nonostante il concetto di sostenibilità sia diventato un principio fondamentale (e altamente pubblicizzato) nelle proposte e nell’organizzazione dei Giochi Olimpici.

Per quanto riguarda Tokyo 2020 nello specifico, i ricercatori hanno attribuito a quest’edizione delle Olimpiadi il punteggio di 48 su 100; appena sopra la media di 40 punti. Ad abbassare il punteggio è stata proprio la categoria dell’impatto ecologico, principalmente per le dimensioni dell’evento e per la spesa di 3 miliardi di dollari in nuove costruzioni. Secondo gli autori, il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha cercato di promuovere la sostenibilità nei suoi criteri di selezione della città allentando però una vecchia regola secondo cui tutte le strutture devono essere situate all’interno di un perimetro specifico. Regola che limitava la costruzione di nuovi luoghi volti a una sola funzione che sarebbero diventati molto probabilmente inutili e inutilizzabili dopo la conclusione dei giochi.

Nella ricerca sono stati presi in considerazione anche i report del Wwf e del Rainforest Action Network che hanno messo in evidenza come l’evento abbia acquistato legno, olio di palma e altri materiali naturali da fornitori che contribuiscono alla deforestazione insostenibile.

Quasi ironicamente, il più grande contributo green di Tokyo è stato quello non pianificato e che ha causato allo Stato non pochi problemi. Si tratta degli aggiustamenti apportati a seguito della pandemia di Covid-19 che ha ridotto drasticamente le dimensioni dell’evento; sia in termini di addetti ai lavori – sono infatti stati chiamati all’ordine solo coloro che ricoprivano un ruolo indispensabile per la riuscita dell’evento – che in termini di visitatori.

Ma Tokyo è ben lontana dal vincere la medaglia d’oro come Olimpiade più sostenibile. Sul podio ci sono i Giochi Olimpici tenutisi a Salt Lake City nel 2002, seguiti da quelli di Albertville e Barcellona nel 1992. Tuttavia, nessuna delle tre edizioni ha raggiunto un’elevata sostenibilità complessiva.

Non ci sono dunque Olimpiadi che hanno ottenuto punteggi alti in tutti o anche solo nella maggior parte degli indicatori del modello usato per la ricerca. Città come Vancouver e Londra, che nel corso degli anni si sono spacciate come modelli di sostenibilità da seguire e hanno consigliato altri host sulle scelte più green da fare, hanno in realtà ottenuto punteggi inferiori alla media. In fondo alla classifica i giochi invernali di Sochi nel 2014 e le Olimpiadi Rio de Janeiro nell’Agosto del 2016.

Questo risultato suggerisce che la retorica sulla sostenibilità non corrisponde ai risultati effettivi ottenuti nella realizzazione di quest’evento mondiale. Sembra quasi che lo sforzo per centrare gli obiettivi ambientali e di sostenibilità dei Giochi Olimpici sia orientato verso misure spettacolari, facili da comunicare a un vasto pubblico, ma che abbia poca applicazione nella realtà.

In breve, Müller crede che la filosofia di sostenibilità degli organizzatori delle Olimpiadi sia quella di «ripulire se stessi» e dare spettacolo: «Ad esempio, realizzare podi della vittoria con plastica riciclata è molto visibile nei media, ma questa plastica, ovviamente, non avrebbe dovuto essere utilizzata in primo luogo».

«Nel migliore dei casi – continua Müller – le misure di sostenibilità olimpiche producono un buon feeling per gli spettatori e placano la cattiva coscienza di aver volato dall’altra parte del mondo per vedere gareggiare il proprio nuotatore preferito».

Nel peggiore dei casi, però, questi spettacolari sforzi di sostenibilità legittimano semplicemente il business-as-usual, distraendo da problemi strutturali più grandi. Ancora in troppi, infatti, evitano di porsi la domanda più difficile: un evento che muove centinaia di migliaia di persone da tutto il mondo può mai essere effettivamente sostenibile?

Sicuramente l’impatto ambientale dei Giochi Olimpici può e deve essere migliorato; per esempio, riducendo il numero di spettatori e le dimensioni delle sedi, riutilizzando le strutture esistenti, ruotando i Giochi attorno a un elenco prestabilito di città e nominando un’organizzazione indipendente che si occuperà solo di monitorare e far rispettare gli standard di sostenibilità.

Sono necessarie poi riforme incisive per migliorare la sostenibilità olimpica prima che questa possa ispirare e influenzare futuri eventi sostenibili, ma che di sostenibile hanno in effetti veramente poco.

Alla fine, però, come hanno sottolineato gli autori della ricerca, il potere del Comitato Internazionale Olimpico è limitato. Spetta ai governi locali prendere l’iniziativa più etica a favore di una svolta sostenibile. «C’è una politica dello spettacolo in cui ogni evento deve essere più grande e più appariscente di quello precedente – ha detto Wolfe – Abbiamo bisogno di un ripensamento radicale di come vengono gestiti i Giochi Olimpici se vogliamo che siano compatibili con la nostra definizione di sostenibilità».

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