La cannabis sta per essere liberata. Coltivazione per uso personale, componente terapeutica dei trattamenti anti-dolore, poca rilevanza nel rapporto con le droghe pesanti. Lo sport si allinea e la Wada, organismo di controllo dell’antidoping, ha deciso di alzare la soglia della punibilità e sta prendendo in considerazione di togliere la cannabis dalle sostanze che alterano la prestazione sportiva.
Il caso di Sha’Carri Richardson, velocista esclusa dalle Olimpiadi perché risultata positiva alla cannabis ha portato molti ripensamenti. E meno male, non si capisce davvero come hashish e marijuana possano essere considerate sostanze che migliorano i risultati in qualsivoglia disciplina.
Vi siete mai fatti una canna? Immagino di sì. Quindi conoscete bene l’abbattimento dell’ansia mediante l’abbattimento fisico generale, quel senso di pacificazione dell’hashish e quello più esilarante della marijuana, la contemplazione e la rilassatezza che ne deriva, la sfrenatezza delle risate in compagnia. Insomma il nostro cervello, a cui è richiesto di andare come un bolide ad alte prestazioni in ogni comparto della vita, rallenta e diventa un vecchio diesel che si gode il paesaggio e fa fotografie.
Persino negli sport più statici la cannabis non aiuta, pensiamo al tiro con l’arco o alla carabina e la precisione del tiro che diventa un terno al lotto. Figuriamoci in quelli dinamici in cui cuore, polmoni, muscoli sono sottoposti a uno sforzo eccezionale e sono usati al massimo. Più si vuole reattività e concentrazione, resistenza e sforzo prolungato meno la cannabis dà una mano. Allo scopo avrebbe più senso la maledetta cocaina che sveglia anche un ghiro. È documentato che l’83% del giocatori NBA fuma erba. Ma dopo la gara, è risaputo che abbia effetto miorilassante, sciogliendo la tensione. Molti non la fumano perché toglie aria e capacità polmonare, la ingeriscono in altro modo.
Dunque il vantaggio sportivo alterato dalla cannabis è praticamente nullo, anzi l’uso diventa controproducente in alte dosi. Ben altri sono i metodi di assunzione di sostanze che cambiano davvero la performance e creano il divario ingiusto tra chi si dopa e chi no. Roba chimica da laboratorio, ormoni prefabbricati, sangue ripulito e addensato, muscoli pompati. Scienza, non visioni alterate e ridanciane. Gli immensi interessi economici che si muovono dietro e davanti allo sport e ai suoi campioni rendono una vittoria, una medaglia d’oro, un primato mondiale una fonte inesauribile di guadagni.
Bisogna essere primi, avere laute sponsorizzazioni. Qualcuno, in tanti sport, ha fatto carte false. Lance Armstrong ha dominato il ciclismo e irriso gli avversari, stracolmo di schifezze per anni. C’è chi, ignaro delle conseguenze nel proprio corpo e spinto dalla smania di prevalere, è morto giovane, la velocista Florence Griffith-Joyner su tutti. Molecole complicate elaborate in luoghi segreti, macchine e menti sofisticate.
No, non serve la cannabis al primato sportivo, come non servirebbe l’alcol. È il singolo atleta che decide se, durante le ore di svago, le lunghe trasferte, una serata tra amici, un periodo particolarmente teso, magari per un infortunio o altro caso dell’esistenza, sente il bisogno di consumare erba. Sa anche che, se la usa non occasionalmente, ne risentiranno le sue prestazioni e la sua carriera, ma non verrà squalificato, al massimo arriverà ultimo.
Anche Sebastian Coe, leggenda inglese del mezzofondo, ora baronetto e uomo politico, presidente della Federazione mondiale di atletica leggera, ha espresso la sua ragguardevole opinione. Si è schierato per la rimozione della cannabis dall’elenco delle sostanze dopanti nello sport. La Wada ha dichiarato che se ne discuterà l’anno prossimo ed è probabile che la decisione si applicherà davvero entro il 2023.