Pietro Nenni non voleva certo enunciare una legge della politica ma semplicemente esprimere la sua incredulità quando dopo il voto del 1948 scrisse la famosa frase: «Piazze piene, urne vuote».
Il leader socialista non si capacitava che malgrado tanta gente fosse accorsa ai suoi straripanti comizi poi nel voto fossero andati meglio i democristiani. Un sentimento simile – lo ricordò tempo addietro il compianto Luigi Covatta – circolò a sinistra anche dopo le elezioni del ’94, quando il neofita Silvio Berlusconi distrusse la “gioiosa macchina da guerra” progressista che pure veniva da importanti vittorie referendarie. Accade, nella politica come nella vita, questa discrasia tra la sensazione e la realtà.
Ci sono invece circostanze in cui sono vuote le piazze e sono vuote anche le urne e questo pare proprio il caso del “nuovo” Movimento Cinque Stelle a guida Giuseppe Conte. L’ex premier ha intrapreso un tour elettorale che è un susseguirsi di flop, di infortuni linguistici, di amnesie, di veri e propri incidenti politici ma ai tg della sera in tv i quattro gatti che vanno a sentirlo non li fanno vedere – in Rai per qualche settimana ancora contano le direzioni giornalistiche dell’età gialloverde – e tuttavia le testimonianze e le foto sui social sono impietose: poca, pochissima gente. Uno Tsunami tour (ricordate quello di Beppe Grillo?) al contrario: è un “Bonaccia tour”.
D’altronde, un po’ vigliaccamente, l’avvocato del populismo ha già messo le mani avanti sul disastro che si profila alle amministrative del 3 e 4 ottobre: «Questa tornata amministrativa non può essere significativa anche per il nuovo corso M5s: mi sono trovato con le liste già pronte e le ho sottoscritte».
Diciamo la verità: è anche vero che le amministrative non sono mai state il terreno migliore per i Cinquestelle e però allora lui, Conte, che ce l’hanno messo a fare, se non per risalire la china? La domanda è tutta politica. Leader da mesi del Movimento, il volto istituzionale e professorale del nuovo leader sembra non in grado di allontanare di un centimetro il baratro politico verso cui sta ruzzolando il grillismo.
A seguire Conte a Bologna ci sono state un pochino di truppe cammellate, le stesse che prima della Festa dell’Unità (con il grottesco coro di “Bella ciao” intonato dall’ex alleato di Salvini) lo hanno seguito nelle strade a favore delle telecamere de La7, la tv “amica” e sovvenzionatrice di lauti compensi a Marco Travaglio e Andrea Scanzi, rispettivamente il Richelieu e il Mazzarino dell’ex premier.
Per il resto, un pianto. A Finale Emilia si era lasciato sfuggire: «Non so se potrò reggere a lungo», salvo poi correggersi asserendo che voleva dire il contrario. A Torino, Conte è stato contestato dai no vax, e vabbè, è la sorte che tocca agli apprendisti stregoni.
A Milano ha salutato la candidata del M5s «Layla Romano» che invece si chiama Layla Pavone. Ad Arezzo, con Mazzarino-Scanzi al seguito, si è riferito a Renzi e uno ha urlato «fatelo fuori» e una signora «sparategli» e l’avvocato zitto («A casa mia si chiede scusa», ha twittato il deputato democratico Filippo Sensi con molta ragione). A Roma non si è quasi visto, e d’altra parte l’avvocato sa bene che quella della Raggi è una causa persa e dunque si accinge all’endorsement per Roberto Gualtieri.
Dai suoi discorsi non sta emergendo nulla di nuovo e, se così si può dire, nemmeno di vecchio. Il nulla assoluto. Lasciamo pure stare l’Afghanistan che si è già dimostrata non essere esattamente la sua materia, ma il simil-leader del Movimento non è protagonista neppure nella discussione su vaccini e green pass se non con qualche frasetta scontata.
Ah, sulla cannabis si è detto favorevole «ma per uso terapeutico», dimenticando che per questo fine il suo uso è previsto da 10 anni: queste sono gaffes che a un ex premier non vanno perdonate. Sulle questioni delle città zero assoluto, un po’ perché evidentemente non ne sa molto, ma soprattutto perché è consapevole che il M5s in queste elezioni non esiste.
I sondaggi sono terribili: a Milano a stento il 5%, a Torino – nella città della Appendino – secondo un sondaggio pubblicato dalla Stampa è al 7,4%. Di Roma si è detto: Virginia Raggi certo porterà il M5s in doppia cifra ma l’ex sindaca nelle ultime ore sta dando segni di cedimento nervoso scatenandosi su Twitter soprattutto contro Gualtieri con piccole provocazioni da liceale quando ci sono le elezioni dei Consigli d’Istituto.
Terza, o addirittura quarta, la prospettiva della sindaca è quella di uno strapuntino nel politburo del M5s di prossimo insediamento: sai che gioia. A Napoli (lì c’era gente, merito dei seguaci di Fico e Di Maio) e a Bologna i grillini non hanno candidati a sindaco quindi le liste andranno ragionevolmente male.
Con percentuali di queste dimensioni nelle grandi città, proprio là dove il grillismo ha marcato negli anni scorsi una sua egemonia, non si capisce bene come facciano i sondaggi nazionali ad accreditare il partito di Conte del 14-15%: molto probabile che in questa fase il Pd stia mangiando nel suo piatto.
Si dice che in asse con Goffredo Bettini l’avvocato agogni le urne nella prossima primavera: meglio il suicidio della lenta agonia? In base a tutto questo, c’è veramente da chiedersi se la cura-Conte stia avendo un senso: tra la disfatta inevitabile del 4 ottobre, l’impazzimento sempre più frenetico dei gruppi parlamentari, l’oscurità della linea politica che si taglia a fette, il grigiore dell’avvocato leader appare più come l’espressione del declino che come l’arma della riscossa.