È sempre più faticoso, questo gioco di fioretto. Beppe Sala dichiara che non intende restituire le polemiche sollevate dal candidato del centrodestra, che non è il momento di alzare i toni. Il senso è chiaro e comprensibile: la città uscita stremata dall’emergenza covid, costretta a fermare la sua formidabile macchina di relazioni umane, culturali e produttive, non va dilaniata in uno scontro politico violento.
Onore a Sala, per questo riguardo che mostra senso civico e coscienza cittadina . Tuttavia vi sono temi e risvolti di questa campagna elettorale, e del futuro immediato della città, che rendono davvero difficile l’approccio moderato e pacificato. Sala non può e non vuole accendere i toni, ma chi scrive se lo può (e forse se lo deve) permettere.
La narrazione da parte di Bernardo di una città dove i ricchi sono coccolati e le periferie abbandonate è effetto di una visione miope e distorta da una destra populista che Milano non merita.
Ci sono anzitutto i progetti di sviluppo della metropolitana, e quelli di riqualificazione massiccia, come quello che partendo da piazzale Loreto includerà tutta l’area tra via Palmanova, via Padova e viale Monza, ma soprattutto c’è un Pnrr tutto costruito sulla nuova urbanizzazione e sull’inclusione sociale. Con un record rappresentato dal finanziamento immediato di 130 milioni per nuove formule abitative popolari a San Siro, Lorenteggio, Giambellino, Greco, Niguarda, che non può passare sotto silenzio.
E le voci del Piano di ripresa e resilienza disegnano un futuro chiaro. Gestione dei rifiuti ed efficienza energetica vogliono dire quartieri sani e spese abitative più contenute; piste ciclabili e piani di trasporto di massa, vogliono dire collegamenti nil quartieri e tra le zone della città; tutela e valorizzazione del erede urbano, vogliono dire aree ricreative e di vivibilità negli agglomerati urbani; i piani per asili nido e scuole per l’infanzia, vogliono dire tutela e sostegno alle famiglie. E poi ancora sostegno alle persone vulnerabili e con disabilità, modernizzazione della pubblica amministrazione cittadina.
Bernardo riesce al massimo a dire che «bisognerà ricorrere ai finanziamenti del Pnrr», ma non sa che la strada è già segnata, ed è una strada in continuità con gli anni passati. O forse lo sa bene.
Questa destra che racconta la modernità del centro come iniquità sociale, ha persino dimenticato quella che dovrebbe essere parte della sua stessa storia. Nel centro di Milano, non in periferia, nel marzo del 1921 apriva il primo grande magazzino d’Italia, chiamato La Rinascente non da un pubblicitario creativo di allora, ma da Gabriele D’Annunzio. Il suo manifesto, creazione del genio di Aldo Mazza, era un ramo d’ulivo dal quale spuntavano germogli.
Da lì iniziò il racconto della Milano moderna, dove fuori dalla cintura della città migliaia di immigrati trovavano lavoro nelle grandi industrie. Da lì è nato un processo che ha via via urbanizzato sempre più le periferie, portando a far diventare quartieri di Milano quelli che erano resti di marginalità urbana.
Lo stesso processo va rilanciato oggi. Con un centro che deve essere sempre più anticipatore delle soluzioni di vita metropolitana e i quartieri che devono beneficiare dell’espansione dei servizi.
Ha le sue ragioni Sala per smorzare i toni, insomma, ma Bernardo – che incentra la sua campagna sull’adombrare sospetti di boicottaggio elettorale per il ritardo nella cartellonistica , perché ha investito cifre da capogiro – non sa che il futuro di Milano non dipende dalla sua faccia sui manifesti, ma dai progetti. E a volte sì, fa perdere la pazienza.