Fate con calmaLa Cop26 sarà rinviata di nuovo?

Il governo del Regno Unito assicura di no, ma lo chiedono a gran voce attivisti, associazioni e importanti ong, comprese Amnesty, Greenpeace e Oxfam. La preoccupazione, tanto per cambiare, riguarda le possibili infezioni da covid, i vaccini e le quarantene

A Glasgow, la città scozzese dove dal primo novembre comincerà la Cop26, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima, gli alberghi propongono quasi esclusivamente stanze da mille euro a notte, e anche tra gli affitti su Airbnb non si trova quasi nulla sotto i 500. Il motivo è ovvio: la città è piccola e ci si aspetta che arrivino migliaia di persone tra manifestanti, attivisti, giornalisti e politici. Ed ecco che, tra le associazioni ambientaliste, da qualche settimana ha iniziato a montare un certo malumore. 

Di preoccupazioni da parte di associazioni e attivisti, però, ce ne sono anche altre, e più serie. Il Climate Action Network (Can) ha pubblicato sul suo sito ufficiale una dichiarazione in cui si legge che «è evidente che una conferenza globale sul clima sicura, inclusiva e giusta all’inizio di novembre sarà impossibile, dato il fallimento nel sostenere l’accesso al vaccino anti covid-19 a milioni di persone nei paesi poveri». Non è un colpo possibile da ignorare per gli organizzatori dell’evento, cioè il governo di Boris Johnson, anche perché fanno parte della rete realtà come Greenpeace, Oxfam, Amnesty, Action Aid e Wwf, tutte associazioni sufficientemente importanti da avere un ruolo attivo alla prossima conferenza sul clima delle Nazioni Unite.

La Cop26 però è già stata rinviata una volta. Si tiene ogni anno e nel 2020, proprio per via della pandemia, è stata annullata. Di rinviarla anche nel 2021, quindi, secondo il presidente della Cop26, il conservatore britannico Alok Sharma, non se ne parla. In una recente intervista rilasciata alla Cnn ha detto: «La Cop26 è già stata posticipata di un anno, e siamo tutti troppo consapevoli che il cambiamento climatico non aspetta» e ancora «il recente rapporto dell’Ipcc sottolinea perché la Cop26 deve andare avanti questo novembre per permettere ai leader mondiali di riunirsi e stabilire impegni decisivi per affrontare il cambiamento climatico». Che è una posizione comprensibile, anche se va letta anche alla luce del fatto che il paese ospitante della Cop, in questo caso il Regno Unito, ha un ovvio interesse strategico e diplomatico nell’ospitare l’evento. Nello specifico il governo di Londra punta molto sulla conferenza di Glasgow per ottenere credibilità internazionale in un periodo molto particolare, quello post-pandemia e post-Brexit.

Nel caso in cui la Cop26 fallisse, evidentemente, il rischio per Downing Street è che l’evento, da grande occasione per stringere relazioni e fortificare la propria reputazione internazionale, si trasformi in una figuraccia globale. E non è soltanto una questione di sfortuna o difficoltà organizzative, ma di vere e proprie colpe. Sì, perché secondo gli attivisti alcuni problemi sarebbero da imputare proprio al Regno Unito, che dopo aver promesso vaccini ai delegati invitati a partecipare, sta tardando nelle consegne. Poi ci sono i tempi previsti dalla legge inglese per i viaggi e le quarantene, anche questi considerati inaffrontabili da chi cercherà di essere presente in Scozia a inizio novembre. Politici e delegati provenienti da 62 paesi distribuiti tra America del Sud, Africa e Asia, in teoria dovrebbero poter partecipare alla Cop26, ma il Regno Unito li tiene nella “lista rossa”, cioè quei luoghi (quasi tutti paesi in via di sviluppo) da cui non si può viaggiare verso le destinazioni Uk.

Gli attivisti ne fanno un discorso di pericolosità dell’evento, visto che in assenza di partecipanti vaccinati, si potrebbero creare focolai che poi si diffonderebbero in paesi in cui la percentuale dei protetti è minima (in Africa, in media, è protetto il 3% della popolazione). Ma anche di giustizia sociale. Come ha detto Mohamed Adow, direttore del think tank Power Shift Africa: «Se la Cop26 va avanti come previsto temo che solo i paesi ricchi e le loro ong saranno in grado di partecipare. Questo va contro i principi dell’Onu e apre le porte a una manipolazione dei colloqui da parte delle nazioni più ricche».

Ma davvero la Cop26 sarà un summit sul clima senza i paesi in via di sviluppo? É chiaro che, nel caso, sarebbe un fallimento, anche perché paesi come il Bangladesh, il Brasile e le Maldive sono tra quelli più colpiti dal cambiamento climatico. Secondo il già citato presidente della Cop26 Sharma non sarà così, perché i delegati che si sono registrati per le vaccinazioni cominceranno a ricevere le loro dosi tra pochi giorni, e i rappresentanti politici provenienti dai paesi compresi nella lista rossa saranno ospitati, gratis, durante il loro periodo di quarantena.

Lo stesso Sharma ha sottolineato poi come non tutte le associazioni siano a favore di rimandare nuovamente il summit. Il Climate Vulnerable Forum, che include rappresentanti da 48 paesi in via di sviluppo, sostiene che la Cop26 debba tenersi a novembre, e di persona, anche se con «robuste misure anti-covid19».

Ciò che è certo è che la Cop26, se si terrà, sarà un evento su cui peserà una responsabilità non indifferente: trovare accordi politici stringenti ed efficaci che permettano alla temperatura globale di essere contenuta entro i +1,5 gradi centigradi (rispetto al periodo preindustriale). Se si andasse a +2, stando alle stime più accreditate, gli eventi climatici estremi impatterebbero molto duramente sulla vita di almeno 420 milioni di persone.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club