Alternativa digitalePerché le criptovalute hanno grande successo nei paesi in via di sviluppo

Nel mondo occidentale bitcoin, ethereum e simili vengono considerate troppo volatili e soggette a speculazioni troppo forti per essere affidabili, ma negli gli Stati con economie meno solide queste monete trovano terreno fertile. Un articolo del Financial Times spiega le cause del grande appeal in Vietnam, Brasile, Nigeria e altre nazioni

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Le criptovalute stanno diventando sempre più importanti nell’economia globale. Sono un universo in espansione apparentemente destinato a una crescita ancora duratura, nonostante lo scetticismo di molti addetti ai lavori: in gran parte del mondo occidentale, le criptovalute sono viste con sospetto, considerate troppo volatili e soggette a speculazioni molto forti.

Ma nei Paesi in via di sviluppo le criptovalute stanno silenziosamente mettendo le radici. Soprattutto negli Stati che hanno un’economia storicamente instabile l’uso della criptovaluta sta rapidamente diventando una realtà per tutti i cittadini, parte della loro quotidianità.

Chainalysis, una banca dati delle blockchain, ha messo il Vietnam al primo posto in un ranking globale per l’utilizzo di criptovalute: nella top 20 ci sono 19 mercati emergenti o ancora molto piccoli, i soli Stati Uniti rappresentano le economie avanzate, all’ottavo posto nel 2021.

I dati raccolti da UsefulTulips.org, che tracciano le transazioni bitcoin sulle più grandi piattaforme di trading di criptovalute peer-to-peer del mondo, mostrano che nelle ultime settimane l’Africa sub-sahariana ha superato il Nord America come regione con il più alto volume di questo tipo di attività crittografica.

«Questo cambia la posizione del bitcoin nel sistema finanziario globale e accelera l’intero dibattito sulle valute digitali prenderlo molto sul serio», dice Paul Domjan, coautore del libro “Chain Reaction: How Blockchain Will Transform the Developing World”.

Domjan è una delle fonti citate dal Financial Times in un articolo, scritto a quattro mani da Jonathan Wheatley e Adrienne Klasa, sulla storia e l’impatto delle criptovalute nei Paesi in via di sviluppo.

Una prima ragione che spiega la diffusione di bitcoin e simili in determinate aree del mondo è che offrono un’alternativa monetaria credibile a valute tradizionalmente deboli.

«I mercati emergenti sono terreno fertile per le criptovalute: come riserva di valore, come mezzo di scambio o come unità di conto, le valute nazionali in alcuni Paesi in via di sviluppo troppo spesso sono insufficienti. In più, l’inflazione imprevedibile e i tassi di cambio volativi, uniti a sistemi bancari instabili e restrizioni finanziarie, rendono le criptovalute più appetibili», si legge nell’articolo.

La Nigeria, il Paese più popoloso dell’Africa, offre uno spunto per capire la situazione. È un Paese con una popolazione giovane, una classe media creativa molto attiva, eppure deve fare i conti con alti tassi di disoccupazione e difficoltà economiche diffuse in tutte le fasce della popolazione.

Le oscillazioni del prezzo del petrolio, la principale esportazione del Paese, hanno ancora un impatto enorme sull’economia nigeriana, e dopo il calo dell’ultimo periodo molte aziende non sono state in grado di pagare fornitori e istituti di credito esteri, portando quasi al fallimento di una centrale elettrica sostenuta dalla Banca mondiale – che tra l’altro fornisce un decimo dell’elettricità della Nigeria.

Per i cittadini muovere denaro, emettere fattura, incassare rimesse o fare altre operazioni simili è sempre un problema. «Quando tocchi con mano la realtà di molti Stati africani capisci che per le persone ogni operazione quotidiana è una sfida, quando si tratta di soldi. Cose che noi occidentali non riusciamo a immaginare», ha detto al Financial Times Ray Youssef, amministratore delegato di Paxful, piattaforma che consente agli utenti di scambiare denaro direttamente tra loro proprio in criptovalute.

Un terzo degli utenti di Paxful si trova in Africa e la Nigeria è il suo mercato più grande (anche perché si tratta di un territorio che ospita oltre 200 milioni di abitanti): oggi si contano 1,5 milioni di utenti, un aumento dell’83% da giugno 2020.

Le criptovalute, però, non vengono usate come un semplice rimpiazzo per la moneta tradizionale. O meglio, istintivamente verrebbe da pensare che per un singolo individuo una criptovaluta possa essere semplicemente un’alternativa per una valuta difficile da reperire o usare.

Invece dal Venezuela al Kenya, dal Brasile al Vietnam, le persone usano un portafoglio differenziato di criptovalute, ognuna per una cosa diversa. «Le monete come Dash vengono utilizzate di più per acquisti più piccoli, i bitcoin per quelli più grandi a causa di commissioni più elevate e i litecoin per cose come pagare le bollette, gli abbonamenti e altre cose simili», dice il Financial Times.

Le criptovalute sono anche un’alternativa molto utile alle rimesse tradizionali, un’ancora di salvezza cruciale per molte economie in via di sviluppo: qui molto spesso trasferire denaro oltre i confini, attraverso canali tradizionali, può essere proibitivo in termini di spesa.

«Anche inviare denaro nel Paese africano che confina con il tuo è un vero incubo, e inviare denaro al di fuori dell’Africa – in America, Europa, Cina, qualunque cosa sia – è quasi impossibile, a meno che tu non sia ricco», si legge nell’articolo del quotidiano britannico.

Secondo la Banca Mondiale, il costo dell’invio di 200 dollari ai Paesi dell’Africa sub-sahariana è stato in media del 9% del valore della transazione nel primo trimestre del 2020, il più alto di qualsiasi regione del mondo, e in alcuni luoghi quella percentuale può arrivare oltre il 10%.

Ma con le criptovalute queste commissioni sono in genere tra il 2 e il 5%. Le commissioni di transazione medie per bitcoin erano inferiori a 3 dollari nell’agosto 2021, mentre per ethereum oscillavano tra 8 e 44 dollari.

Tuttavia, queste operazioni non sono prive di rischi. Il Financial Times ha intervistato Paola Subacchi, docente di economia internazionale al Queen Mary Global Policy Institute dell’Università di Londra: «Una soluzione migliore per i lavoratori migranti sarebbe quella di ridurre il costo delle rimesse. Le criptovalute sono un cattivo rimedio per un problema che dovrebbe e potrebbe essere risolto utilizzando la tecnologia che già abbiamo. Criptovalute e società di criptovalute si presentano come strumenti per l’inclusione finanziaria, ma gli esclusi dalle tradizionali strutture finanziarie sono proprio quelli che meno possono permettersi di correre rischi con i loro soldi».

Poi c’è il caso peculiare di El Salvador, piccola nazione centroamericana da 6,4 milioni di abitanti, che a breve diventerà il primo Stato al mondo a rendere il bitcoin una valuta a corso legale. Questo vuol dire che, i commercianti – dai concessionari di auto alle caffetterie – saranno obbligati ad accettarlo come pagamento.

Questo ha fatto schizzare lo scetticismo del Fondo monetario internazionale e di altre istituzioni, ma in ogni caso sarà ufficiale a breve. Il Fondo ha spiegato che l’uso diffuso dei token volatili potrebbe minare la «stabilità macroeconomica» del Paese e potenzialmente esporre i sistemi finanziari a diffuse attività illecite.

La Financial Conduct Authority del Regno Unito ha avvertito che «se i consumatori investono in questi tipi di prodotti, dovrebbero sapere che corrono il rischio perdere i loro soldi».

È per questo che, dall’altro lato, le aziende del settore – almeno nelle comunicazioni pubbliche – si preoccupano molto della sicurezza dei consumatori, in particolare nella protezione da truffe di ogni tipo.

«Uno dei problemi, per le autorità nazionali, è che non sempre hanno gli strumenti e le risorse per trattare con società di asset digitali che affermano di non essere domiciliate da nessuna parte», spiega il Financial Times, citando il caso della banca centrale dello Zimbabwe – altro Paese in cui le criptovalute sono molto diffuse – che ha annunciato di aver elaborato una normativa per la regolamentazione del settore dopo aver vietato alle banche locali di effettuare transazioni con criptovalute nel 2018.

In Nigeria, invece, la banca centrale ha vietato alle banche commerciali di trattare con società coinvolte in transazioni di criptovaluta: decisioni diametralmente opposte rispetto a quelle prese da governi come quello del Salvador – già citato – che invece vorrebbero farsi portatori di una rivoluzione più o meno profonda del loro sistema economico.

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