Palla al centro e fischio d’inizio, ma le regole sono cambiate. A marzo di quest’anno, la notizia dell’acquisizione dei diritti televisivi per la serie A da parte di Dazn (840 milioni di euro annui) ha destato scalpore: per la prima volta nella sua storia, il campionato sportivo di maggiore seguito in Italia sarebbe stato trasmesso da una piattaforma di servizio streaming che si appoggia a internet.
A un mese dall’inizio delle partite – in aggiunta alle critiche per la scarsa qualità tecnica della trasmissione -, la vicenda ha preso una piega inaspettata: sabato 18 settembre, Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) ha ufficializzato l’avvio di un’istruttoria sulla metodologia con cui Dazn effettua la rilevazione degli ascolti.
Come specificato nel punto 11 del documento reso pubblico da Agcom, «i dati di audience complessiva forniti da Dazn non sono misurati da un ente certificatore terzo […] Gli ascolti generati dagli altri device, pur rilevabili da Auditel, non rientrano nell’attuale perimetro di rilevazione richiesto da Dazn».
Insomma, l’azienda britannica che opera In Italia non si basa sulle rilevazioni “ufficiali” per quanto concerne la sua audience; per lo meno, non completamente. Dazn, infatti, demanda la rilevazione ad Auditel solo per i dati di audience di coloro che accedono ai contenuti attraverso l’app smart tv, il canale 409 del digitale terrestre o un dispositivo Timvision. I numeri delle visualizzazioni effettuate con supporti digitali come pc, smartphone o console da gioco, sono gestite invece da un’azienda privata, Nielsen, resi disponibili a pagamento e solo successivamente forniti ad Auditel.
Ma perché è importante che i dati sull’audience siano certificati da Auditel? L’affidabilità dell’ente di rilevazioni italiano è dovuta alla sua stessa natura. Auditel nasce nel 1984 come Joint industry committee (Jic), ovvero un’azienda di proprietà condivisa tra più realtà, le cui quote societarie sono ripartite tra Rai (33%), Reti Televisive Italiane, (26,7% con Mediaset che detiene la quota di controllo), Upa (Utenti Pubblicità Associati, 20%) e altre agenzie e centri di media.

Avere un soggetto Jic che si occupa di misurazioni dell’audience è considerato un tipo di governance più affidabile e trasparente all’interno di un mercato televisivo plurale come quello italiano. Una politica di matrice e tradizione europea, da sempre contrapposta a quella americana che si autogestisce, appoggiandosi a rilevatori privati.
Il metodo utilizzato per le misurazioni Auditel è basato su una vasta indagine sociale e su un sistema campionario chiamato SuperPanel, composto da più di 16mila famiglie in tutta Italia. Per stare al passo con un mercato che è cambiato rapidamente, dal 16 dicembre 2018 Auditel utilizza – oltre a quello campionario – anche un sistema censuario, dedicato alla rilevazione delle visualizzazioni effettuate tramite device digitali; la rilevazione è possibile attraverso l’installazione di un programma (Software development kit) applicato direttamente ai contenuti emessi dai broadcaster: ciò rende possibile tracciare il consumo di tv su smartphone, tablet e console di gioco. I due sistemi non si escludono a vicenda, bensì si integrano.
È proprio qui che sta il problema: Dazn ha delegato la misurazione degli ascolti su dispositivi digitali a un fornitore privato (Conviva) e la rielaborazione a un’altra azienda, l’americana Nielsen.
«Una scelta che non comprendo», commenta Massimo Scaglioni, direttore del Certa (Centro di ricerca sulla televisione e gli audiotelevisivi) e collaboratore – dal 1999 – del Corriere della Sera, per il quale scrive di analisi quantitativa dei consumi televisivi nella rubrica “La tv in numeri”. «È chiaro che siamo di fronte a un passaggio tecnologico notevole: questa transizione della fruizione televisiva deve però portare a un adeguamento della rilevazione dei dati di visualizzazione. Dazn, pur avendo aderito al metodo Auditel per le tv connesse, ha deciso di misurarsi da sola una parte del consumo, quella sui device», spiega Scaglioni.
A questo punto, risultano chiari i motivi alla base dell’intervento di Agcom, che ha deciso di procedere duramente contro Dazn. Il presidente di Agcom Giacomo Lasorella, sentito dalla commissione Trasporti della Camera dei deputati, ha lanciato un monito severo: «Dazn non è conforme al Codice delle comunicazioni elettroniche […] poiché la metodologia utilizzata (nella rilevazione degli ascolti, ndr.) non appare conforme all’atto di indirizzo di Agcom».
Ma cosa c’è davvero alla base dell’allarmismo generale? La chiave di lettura si chiama Decreto Lotti. Inserite nella legge di bilancio 2018 e firmato dall’allora ministro dello Sport Luca Lotti, le misure introdotte dal decreto hanno cambiato la legge Melandri, fatta a suo tempo per ridurre il dislivello dei guadagni tra le squadre della serie A. La legge impone la spartizione dell’8% dei ricavi ottenuti dalla vendita dei diritti televisivi tra tutti i club del campionato, in rapporto alle performance tv «certificate». Il nodo della questione sta proprio nel termine «certificate»: solo un Jic – Auditel, nel caso italiano – può certificare gli ascolti a livello legale.
Attualmente, Dazn non effettua questa “autenticazione” per la parte relativa ai dispositivi digitali, ma con l’istruttoria di Agcom le cose potrebbero cambiare. Secondo Scaglioni, le due parti troveranno una soluzione sensata a partire da un accordo: «Dazn è comunque già misurata anche da Auditel (solo per quanto riguarda i dati da app smart tv, canale 409 o dispositivo Timvision, ndr). Per questo mi sembrerebbe più sensata una riconciliazione secondo la strada indicata da Agcom».
E per quanto riguarda le altre piattaforme di streaming che operano in Italia? Netflix, Amazon Prime Video, Disney+, Discovey+: la lista di player che operano nel mercato dei contenuti televisivi si è andata man mano ampliando nell’arco di pochi anni. Netflix, colosso californiano da 25 miliardi di fatturato nel mondo, ha sciolto la riserva relativa ai guadagni generati in Italia solo quest’anno: dal 2022 saranno contabilizzati nel nostro paese e non più all’estero (in Olanda), diventando quindi di pubblico dominio. Pur sfatando il tabù sui ricavi, resterà comunque quello dei dati di ascolto del pubblico italiano, che continueranno a non essere noti.
Altrove, le istituzioni dimostrano di monitorare con maggiore attenzione: a giugno di quest’anno Barb (Broadcaster Audience Research Board), l’Auditel del Regno Unito, ha dichiarato di aver firmato nuovi contratti per la rilevazione dell’audience: con accordi che diventeranno effettivi a gennaio 2024, amplierà il suo raggio d’azione anche a tutti i servizi on demand. Questo permetterà di raccogliere e riportare i dati aggregati di visualizzazione delle piattaforme streaming.
In Italia, Dazn a parte, la situazione è statuaria. Su questo fronte, Auditel è conscia del problema e ha palesato preoccupazione nella sua relazione annuale del 2021.

Nel testo si parla di «corsa mondiale al “nuovo oro televisivo”» e di «giganti tecnologici», che «operano su dimensioni di scala globali e in un regime di concorrenza a loro estremamente favorevole». Ciononostante, il recente intervento di Agcom ha riguardato solo Dazn e all’orizzonte non sembrano esserci limitazioni normative per Netflix e compagnia. Perché è solo Dazn a subire, mentre gli altri attori Ott (Over-the-top, come li definisce Agcom) continuando a operare in riservatezza? Semplice: si tratta di pubblicità.
Come riportato in un articolo di TvZoom, Digitalia ’08, proprietà di Mediaset, è la concessionaria pubblicitaria di Dazn. Dopo l’acquisizione dei diritti della Serie A da parte della piattaforma creata da Len Blavatnik, Mediaset (attraverso Digitalia) ha fatto l’offerta più alta per diventare il suo nuovo partner commerciale: anche a costo di perderci – dicono analisti di mercato – 20 milioni di euro.
In veste di leader del mercato pubblicitario, Mediaset ha convinto Dazn ad affidarsi a una rilevazione fai-da-te (insieme a Coviva e Nielsen) per i device digitali. Per capire il perché, basta immaginare Auditel come una gigantesca torta: la base di pastafrolla è rappresentata dagli ascolti, ma la crema è il mercato pubblicitario. Le fette (e i relativi ricavi) vengono distribuite sulla base dei dati dell’audience: chi ha più pubblico, guadagna di più, perché mobilita maggiormente a livello pubblicitario.
Attualmente, la “crema” è quasi tutta nelle mani di Rai e Mediaset. Ma se le cose dovessero cambiare con la certificazione e l’ufficializzazione degli ascolti degli Ott – che ormai fanno numeri enormi – e il loro conseguente ingresso in Auditel, il vecchio oligopolio potrebbe cadere (20% in meno di quota di mercato), con gravi ripercussioni soprattutto per Mediaset, che non gode dei “privilegi” della Rai (come il canone) in quanto tv commerciale e non pubblica.
Da una parte, quindi, c’è la reticenza delle piattaforme di streaming ad aprire le loro “scatole nere” e farsi rilevare l’audience; dall’altra ci sono Rai, Mediaset e tutti gli attori “classici”, consapevoli che con l’ingresso degli Ott in Auditel rischierebbero di perdere un bel po’ di “crema”. Ecco perché Stefano Sala, amministratore delegato di Publitalia ‘80 (Mediaset), in un’intervista al Sole 24 ore ha parlato a favore della doppia misurazione Dazn, definendola una «provocazione costruttiva».
Per gli altri Ott, quindi, che futuro si prospetta? Secondo Scaglioni, Agcom non è ancora intervenuta contro Netflix, Amazon e gli altri «perché si tratta di servizi che hanno adottato modelli di business Svod (subscription video on demand, cioè basati su sottoscrizioni di abbonamenti, ndr), quindi non incidono ancora sul mercato legato agli spazi pubblicitari. A un certo punto però, il tema della pubblicità si porrà e quindi anche il tema della misurazione certificata. Finora, i grandi attori globali non sono stati trasparenti rispetto agli obblighi imposti dai paesi ospitanti».